Quando tutto è (quasi) cominciato

CALTANISSETTA- C’è una voce «dal di dentro» che rompe un silenzio di tomba in Confindustria Sicilia. Per la prima volta una figura rappresentativa degli imprenditori dell’isola parla dell’indagato di mafia Antonello Montante e del «grande inganno della rivoluzione» portata avanti dalla sua associazione, confessa di «avere paura per quello che mi può succedere», racconta di «episodi inquietanti» intorno all’inchiesta giudiziaria aperta sul delegato nazionale per la legalità di Confindustria. Testi avvicinati, pretese di lettere riservate dove si chiedeva di certificare il falso, pressioni «per condizionare l’azione di pulizia nelle aree industriali e fermare Alfonso Cicero, un funzionario regionale che è sempre più a rischio di vita».
Si presenta: «Sono Marco Venturi, ho 53 anni, sono il presidente di Confindustria Centro-Sicilia e uno degli imprenditori che nel 2005 insieme a Montante, Ivan Lo Bello e Giuseppe Catanzaro ha creduto nella battaglia contro il racket del pizzo per spazzare via la nomenclatura che governava la Cupola degli industriali siciliani. Quelle che da tempo erano perplessità adesso sono diventate certezze. Così da mesi vivo in uno stato di profonda inquietudine che mi ha spinto a uscire allo scoperto».
Perché questa paura?
«Vivo con angoscia dentro un mondo pericoloso che non mi appartiene».
Di cosa sta parlando? Perché non prova a spiegarsi meglio?
«Lo farò con i magistrati che indagano sul caso Montante, ci sono vicende molto gravi che riguardano Confindustria Sicilia e delle quali nessuno ancora è a conoscenza».
Ma lei è uno di quegli imprenditori del nuovo corso siciliano, cosa è accaduto di tanto intollerabile per fare questo passo?
«L’iniziale battaglia contro le estorsioni dei boss ha portato alla ribalta nazionale il nostro movimento, però quando dal livello basso del pizzo ci siamo inoltrati nel cuore del vero potere mafioso siciliano – cioè dentro i grovigli delle aree industriali – ho capito chiaramente che non tutti i miei compagni di viaggio erano interessati ad andare avanti. Al contrario, alcuni me li sono ritrovati contro».
Eppure tutti in Confindustria Sicilia sbandierano il vessillo dell’antimafia..
«E’ il doppiogioco. A parole qualcuno – che dimostra chiaramente di essere condizionato – sostiene una certa azione, il risultato però è che con i fatti favorisce interessi di mafia. Emblematico è il caso dell’azione legalitaria che conduce da anni Alfonso Cicero, il presidente dell’Irsap, l’ente che ha sostituito gli undici carrozzoni dei consorzi industriali. Quell’azione non è mai piaciuta – nonostante le dichiarazioni di circostanza – al presidente di Confindustria Sicilia Montante. Montante ha sempre tentato di utilizzare per i suoi scopi l’opera di pulizia di Cicero, nell’ombra ha sempre cercato di neutralizzarlo anche se consapevole degli altissimi rischi che corre. Chi non vuole Cicero oggi in Sicilia lo sta trasformando in un bersaglio facile».
Montante ha conquistato una sproporzionata credibilità istituzionale nonostante le dubbie origini per i suoi contatti con la Cosa Nostra, a cosa sta mirando realmente Confindustria Sicilia?
«A un certo punto c’è stata una inversione di rotta. Montante non ha fatto come doveva gli interessi degli imprenditori siciliani ma ha intrecciato trame. Commistioni con apparati polizieschi di ogni livello. Per colpa sua Confindustria Sicilia è diventata un centro di potere a Palermo e a Roma, un giro stretto, lui e pochi devoti».
In Confindustria Sicilia ci sono alcuni indagati per reati di mafia e rinviati a giudizio per truffa alla Regione, tutti sempre ai loro posti. E il vostro codice etico?
«Il codice etico non lo si può far valere per gli altri e ignorarlo al nostro interno. Confindustria nazionale è stata zitta per molti mesi: ora mi aspetto che il presidente Squinzi intervenga a tutela della onorabilità della nostra associazione. E’ il momento di farlo, non si può più attendere. Chiedo solo il rispetto delle regole, cambiare pagina, offrire di noi stessi un’altra immagine».
Quante espulsioni per mafia ha fatto Confindustria in questi anni?
«Che io ricordi nessuna».
Lei è stato assessore regionale alle Attività Produttive – insieme a magistrati come Chinnici e Russo,  prefetti come Marino e altri «tecnici» – quando presidente era Raffaele Lombardo, un condannato per mafia. Non si è mai accorto di nulla delle manovre che si facevano in quel governo?
«Il mio obiettivo era quello di bonificare le aree industriali degradate dagli appetiti mafiosi, quando però Lombardo ha rimosso Cicero, che aveva denunciato ai procuratori il malaffare, mi sono dimesso e ho presentato un esposto in procura accusando il governatore di salvaguardare gli interessi dei boss. Dopo di me, con il governo Crocetta, è venuta Linda Vancheri: un assessore che era al servizio totale di Montante».
Ma in sostanza lei cosa andrà a raccontare ai magistrati?
«Episodi inquietanti che mi sono capitati. E sono sicuro che nei prossimi giorni non sarò il solo ad andarci, ci sarà qualcun altro che vorrà parlare con i procuratori. Qualche mese fa Montante e un suo amico esperto in security volevano che io facessi loro da sponda per un’operazione torbida. Sono anche a conoscenza di movimenti strani intorno a chi è tenuto a dire la verità ai magistrati che indagano sul presidente di Confindustria Sicilia».
Sta riferendo vicende molto gravi..
«Non è finita. Montante ha chiesto ripetutamente a un rappresentante delle istituzioni che aveva deposto in commissione parlamentare antimafia una lettera riservata,  ma soprattutto retrodatata con tanto di firma».
Cosa voleva esattamente da quel personaggio?
«Che dichiarasse per iscritto a lui una cosa impossibile: e cioè che tutto quello che aveva già riferito alla presidente Bindi nel luglio del 2014 sulle sue denunce e in particolare su Dario Di Francesco – un mafioso che poi si è pentito chiamando in causa lo stesso presidente di Confindustria Sicilia – , era stato suggerito da lui, Montante. Naturalmente non era vero e naturalmente quel rappresentante delle istituzioni si è rifiutato».
Ha parlato tanto di Montante, ma che fine hanno fatto Lo Bello e Catanzaro?
Marco Venturi non risponde.

 

fonte http://mafie.blogautore.repubblica.it/