La tela dei boss

Ci sono ferite che il tempo non rimargina. Stanno lì a perenne memoria dello scempio mafioso. Uno scempio che ha travolto uomini e cose. La mafia non ha ammazzato soltanto i nemici, ha sfregiato anche l’arte.
C’è un mistero, a Palermo, che resiste da quasi cinquant’anni: il furto di un capolavoro di Caravaggio, commesso nel 1969, in un oratorio della vecchia Palermo.
I ladri entrarono, tagliarono la tela e lasciarono una chiazza nera tra gli stucchi del Serpotta. I carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico di Roma non hanno smesso di indagare.
Nel maggio 2017 avviene qualcosa che può cambiare il corso delle cose. Il pentito Francesco Marino Mannoia cambia versione. “Il quadro è stato bruciato”, disse a Giovanni Falcone. Era una balla, raccontata per levarsi di torno il magistrato. Mannoia aveva altro a cui pensare, in quegli anni gli sterminarono la famiglia.
Non è tutto, un altro collaboratore di giustizia, Gaetano Grado, killer di decine di omicidi, prosegue il racconto: il quadro è stato venduto a un mercante svizzero.
Nella storia del dipinto ad un certo punto compare Gaetano Badalamenti, boss di Cinisi, quel “Tano seduto” deriso da Peppino Impastato che pagò con la vita il suo coraggio.
Nel 1969 qualcuno rubava la “Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi” dall’oratorio di San Lorenzo, nel rione Kalsa. Quasi cinquant’anni dopo si riaccende la speranza di potere recuperare il quadro. Il libro “La tela dei boss”, edito da Novantacento, prova a ricostruire il percorso investigativo di cinque decenni.
Perché fidarsi dei pentiti, specie se ritrattano? Chi mente una volta, può farlo altre cento. Stavolta ci sono elementi che confermerebbero i loro racconti. A cominciare dai nomi di chi avrebbe rubato il quadro.
È un giallo che parte dal retrobottega di un giocattolaio di Massafra, in provincia di Taranto, per ritornare nel cuore della vecchia Palermo dominata dai padrini quando ancora non era iniziata la mattanza voluta da Totò Riina. I corleonesi si presero tutto, ma non il quadro.
Qualche tempo fa la Commissione parlamentare antimafia ha regalato una piccola copia della grande tela a Papa Francesco. Un impegno solenne a non smettere di cercare un bene prezioso che è patrimonio della Chiesa e del mondo intero.
Non ci sono solo i racconti dei collaboratori di giustizia, ma anche le rivelazioni di vecchi boss che hanno affidato le loro confidenze ai carabinieri. Alcuni hanno giocato chissà quale partita personale, altri hanno detto la verità. Di sicuro hanno parlato, a verbale chiuso, violando il codice d’onore di Cosa nostra che impone il silenzio.
Ne è venuto fuori un intrigo internazionale che parte in Sicilia e giunge in Svizzera. Alcuni personaggi di quella stagione sono ancora vivi ed è seguendo le rotte dei traffici di droga e del denaro sporco su cui indagava Falcone che si potrebbe recuperare il quadro.
La Procura di Palermo ha riaperto l’inchiesta. I magistrati ci credono. Si può restituire alla collettività un capolavoro dell’arte. Una collettività che a volte, ed è capitato di riscontrarlo, non conosce la storia del quadro. Allora un libro può essere utile anche per il solo scopo divulgativo.
La Natività è stata rubata a Palermo e venduta in Svizzera: lo hanno detto i pentiti e lo confermano gli investigatori. Il libro contiene degli atti giudiziari: dal primo verbale di sopralluogo alle relazioni di servizio sui racconti dei boss, e guai a chiamarli pentiti.  Un modo per consentire al lettore di verificare su quali binari si muove l’inchiesta giornalistica. Ciascuno potrà farsi la propria idea.

 

fonte http://mafie.blogautore.repubblica.it/