Mentre l’orchestrina suonava gelosia

ualche anno fa, cadevano i 30 anni dall’assassinio del mio “maestro” (questo è stato per me) di giornalismo, Giuseppe Fava, ho scritto un libro su quella vicenda. Da dove cominciare? Dico, per spiegare perché ho sentito il bisogno di raccontare me, I Siciliani, Fava e a storia un gruppo di ragazzi che imparano a fare i cronisti e gridano in piazza la verità che, nella Catania e nella Sicilia dei cupi anni 80, tutti sanno ma nessuno confessa?
Riparto dal titolo. Nelle mie bozze, avevo scelto un titolo hard, anni 50: “Cronache da morire”. Ma ai miei editor non piaceva. il mio sottotitolo arrivò invece indenne fino alla libreria (“Crescere e ribellarsi in una tranquilla città di mafia”), ma il titolo no, bocciato, “troppo vecchio e cupo”.
Ripartimmo, con l’editor, dal titolo di un capitolo. Mentre l’orchestrina suonava “Gelosia”…
Ecco, io ho iniziato lì, in una piazza, piazza Bovio, nel centro storico di Catania, nei giorni della popolare festa della Madonna del Carmelo. Al centro di quella piazza, vicina alla casa in cui sono nato e cresciuto fino ai 15 anni, c’erano e ci sono un distributore di benzina tutto in marmo e vetri, modernista per gli anni 50 in cui fu costruito, un chiosco per il seltz-limone-e-sale e una fontana.
Era metà luglio, 1980, e da una mese era in edicola il nuovo quotidiano “il Giornale del Sud”. Diretto da Giuseppe Fava e uscito per fare quello che il grande scrittore inglese George Orwell raccomanda a tutti i giornalisti per fare il proprio mestiere bene: “La vera libertà di stampa è dire alla gente quel che la gente non vuol sentirsi dire”.
A Catania e in Sicilia, in quel tempo, la “mafia non esiste” e men che meno i rapporti mafia e politica. Pura delinquenza.
Ma a Catania, in quegli anni, la mafia c’era, il giornale storico della città negava e quel piccolo quotidiano gridava una cosa che solo trenta anni dopo sarà data per  scontata.
Avevo appena compiuto 22 anni e quel giorno di luglio mi toccò la mia prima cronaca nera. Delitto in piazza Bovio.
“Vai e non bucare niente, mi raccomando”, disse il mio caposervizio, che era Claudio Fava, un anno e qualche mese più grande di me.
Non sapevo da dove iniziare e non avevo visto mai un morto ammazzato. In città, nonostante la mafia non esistesse, i delitti erano decine al mese. E quella sera, piazza Bovio, accanto al benzinaio dove avevo fatto mille volte carburante e al chiosco dove avevo bevuto per anni i miei sciroppi, era zeppa: due uomini si erano contesi una donna, mentre tutta la piazza ballava al suono di musica napoletana e i fuochi di artificio esplodevano. I due erano finiti nella fontana, dandosele di santa ragione. Uno aveva cavato di tasca un coltello, l’altro la pistola. Finale in obitorio. Delitto d’onore, l’ultimo di quel vecchio genere che la città ricordi.
Non sapevo come attaccare il pezzo, da dove iniziare.
In redazione, arrivai tardissimo. “Hai venti minuti!”, mi disse Claudio.
Scrissi (male) quel mio primo pezzo di nera. Credo di aver sbagliato tutto: il ritmo, la gerarchia delle notizie, misi subito le voci e dimenticai di dare la notizia in breve e subito. “il pezzo te lo sta riscrivendo il direttore”, disse Claudio, figlio del direttore.
Davanti a Pippo che cancellava e massacrava il mio testo, ho appreso la prima regola: dai un senso a quel che hai visto. Pezzo riscritto totalmente. E titolo romanzato: “Mentre l’orchestrina suonava Gelosia…”. Feci notare che quella musica non veniva suonata. Mario Merola, piuttosto che tango, quella sera in piazza Bovio. E Fava, affettuoso ma severo: “Vabbé, è un delitto d’onore, no? E allora, la licenza musicale ci sta bene…”.
La volta dopo e l’altra ancora andò meglio. Poi, sempre più sciolto.
Ho avuto la fortuna di avere un bravo maestro di giornalismo e di imparare a raccontare la mia città insieme a miei coetanei. E ho avuto l’opportunità di fare quella esperienza giovanile in una città silenziosa di fronte a quel che accadeva. Noi , in quel quotidiano e poi nel mensile I Siciliani, avevamo autostrade deserte davanti, per raccontare. Non avevamo concorrenza, nello scrivere la “cronaca”.
Ecco quel libro racconta questo nostro “romanzo storico” di formazione.
Fava fu ucciso dalla mafia, politica ed economica, di cui tutti negavano l’esistenza e di cui solo  noi, cronisti ragazzini, scrivevamo insieme a lui.
La piccola grande storia di un giornale nel sud, anni 80.
Il mio libro è uscito 34 anni dopo quel mio incerto esordio in cronaca. Ho messo molti anni a elaborare quelle vicende, anche (ma non solo) drammatiche, della mia gioventù professionale.
Avevo scritto, sul finire degli anni 80, un testo di getto e di pancia. E lo avevo fatto leggere a due grandi editori, compreso quello che nel 2011 lo ha poi pubblicato. L’altro, Carlo Feltrinelli, ricordo che mi disse schietto: “Sei ancora troppo giovane per scrivere le tue memorie”. Aveva ragione.
Ho abbandonato quelle bozze in un vecchio floppy disk del 1990.
Poi, una mattina di venti anni dopo e dopo il sesto o settimo trasloco tra Roma e altrove, mia moglie si presenta con quel dischetto. “Ci sono dentro tue cose….c’è un file che si chiama cronache da morire…ma cosa è?” e mi allunga l’oggetto, nel frattempo ormai desueto tecnologicamente.
Ho trascodificato il testo e riscritto tutto a partire da quella antica base di partenza; non avevo più 30 ma 50 anni. Ma quella vicenda di giovani cronisti, forse, ora potevo raccontarla. Almeno ai miei figli e a quelli della loro età.
Non le mie “memorie” e nemmeno l’apologia di una Storia. Ma una storia utile oggi a chi, da ragazzo, va ancora alla ricerca di parole libere.

Fonte mafieblog.larepubblica