Sbirri e Padreterni

Il grande inganno perpretato sul sangue delle vittime delle stragi, l’iea di una mafia che si vendica e basta. Non previene ma regola solo conti. L’illusione che solo un gruppo, per quanto elitario, di boss e picciotti abbia potuto escogitare e realizzare un piano terroristico figlio di una trattativa conclusa e di altre ancora in corso.
Da queste idee nacque Sbirri e Padreterni, il libro che pubblicai per Laterza nel 2016. Era una sorta di ideale conclusione di un percorso che era iniziato nel 2002 quando per la prima volta, con il collega di Repubblica, Salvo Palazzolo, mandammo in stampa per le edizioni della Battaglia, la casa editrice guidata da quella straordinaria donna che è Letizia Battaglia, Falcone e Borsellino, Mistero di Stato. Sbirri e Padreterni, per me, andava a chiudere il cerchio: gettava, spero, una luce su molti degli interrogativi lasciati aperti dal primo libro.
L’ovvia evidenza che in molti avessero tramato e trattato nel campo dei buoni agevolando il lavoro dei cattivi, si completava di nomi, storie e testimonianze.
Per quanto mi riguarda si trattava di una sfida nel campo aperto di indagini ancora in corso e di altre che forse non saranno mai aperte. Fidava sul contributo di un collaboratore di giustizia, Francesco Di Carlo, con il quale avevo realizzato una sorta di sua biografia, Un Uomo d’onore, edito da Rizzoli.
Sbirri e padreterni focalizzava l’attenzione sugli uomini dello Stato che lavoravano ai fianchi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per fiaccarne l’azione fino a impedirgli di proseguire.
Di Carlo raccontò nel libro i dettagli di un incontro avuto nel supercarcere inglese dove era detenuto con Arnaldo La Barbera, il capo della Squadra Mobile di Palermo, ormai per tutti legato a una doppia obbedienza: alla polizia e al Sisde dal quale era regolarmente pagato, come hanno scoperto i magistrati di Caltanissetta.
Cosa avevano da chiedere La Barbera e altri uomini dei servizi a Di Carlo? Di adoperarsi per mettere in contatto gli apparati statali con i corleonesi. Accadeva prima del fallito attentato all’Addaura con il ritrovamento dell’esplosivo destinato a  Falcone sulla scogliera.
L’attentato era un segnale per Falcone: doveva indurlo a mollare la presa e andare via da Palermo.
Accadde, qualche anno più tardi, quando il giudice, fiaccato dalle molte resistenze e dal muro eretto dai suoi colleghi di fronte alla possibilità di un qualsivoglia riconoscimento, intravide nella scelta di andare al lavorare al ministero, l’opportunità di cambiare una volta per tutte le regole di un gioco truccato che aveva come posta la vita di tanti innocenti.
Iniziò a farlo sovvertendo l’automatica assegnazione dei processi alla prima sezione penale della Cassazione dove un Corrado Carnevale, animato da una furia garantista che un processo non è riuscito a provare come ispirata dalla mafia stessa, faceva a brandelli le istruttorie su Cosa nostra.
Anche per questo morì Falcone e non solo perché i mafiosi gliel’avessero giurata. Lui guardava avanti e loro anche. Preoccupati non solo per ciò che aveva fatto ma anche per ciò che avrebbe potuto ancora fare.
Paolo Borsellino in vita significava lasciare il lavoro a metà, consentirgli di proseguire quell’opera.
In ballo c’erano la Dia e la Dna, i due progetti paralleli, di una struttura investigativa interforze, capace di concentrare le informazioni sulle mafie e farne tesoro, al pari della struttura giudiziaria centralizzata che avrebbe dovuto coordinare le indagini.
Saltava un’intera catena di comando che aveva fatto del Sisde, il servizio segreto civile, la cassaforte dei mille misteri e dei mille intrighi in terra di mafia con le articolazioni di quel carrozzone che fu l’Alto commissariato per la lotta alla mafia.
Di questo e molto altro si racconta in Sbirri e padreterni. Un contributo sul cammino della verità non necessariamente giudiziaria e spesso a prescindere da quella. Per comprendere che la trattativa Stato-mafia non fu un episodio ma il compimento di un patto eterno tra coppole e divise.

 

fonte http://mafie.blogautore.repubblica.it/