Per ricordare un grande siciliano

La Fondazione Giuseppe Fava è nata l’8 aprile del 2002. In un pomeriggio di pioggerella primaverile, da un giovane notaio di provincia, che sapeva qualcosa di Fondazioni.
Perché è nata? Per scommessa e per rabbia. Contro tutti, o quasi.
Con Elena, che del padre custodiva oltre alla memoria anche i quadri, i libri, i manoscritti che non si erano perduti nei giorni e negli anni di sbandamento dopo l’uccisione, e altri quattro membri che costituivano il Consiglio di amministrazione. Nome imposto per ragioni burocratiche, visto che da amministrare c’era poco e di soldi niente, tranne le rimesse dei soci. Nessuna sovvenzione è mai venuta dalla Regione siciliana, che pure l’ha riconosciuta e iscritta nel suo registro. Erano gli anni d’oro della tabella H, ma la Fondazione era sempre in lista di attesa.
Nel 2002 i pochi studenti, quasi tutti di Nando Dalla Chiesa, che decidevano di fare una tesi su Giuseppe Fava prendevano un treno e venivano a fotocopiare il materiale che gli serviva. Tutto era introvabile e Fava illeggibile, e per uno scrittore è come morire una seconda volta. E questa è stata la scommessa: chiunque abbia bisogno di qualcosa di Fava:i romanzi, i libri di inchiesta, i giornali, la serie televisiva I Siciliani (soggetto di Giuseppe Fava, regia di Vittorio Sindoni, girata per Rai Tre,) riceve ciò di cui ha bisogno, in cartaceo se è stato ristampato o, nel caso dei giornali, digitalizzato.
Rimane da spiegare la rabbia. Dopo l’omicidio la città si è molto impegnata per rimuovere anche il sospetto che potesse essere stato un omicidio di mafia. Ci sono voluti dieci anni per arrivare a una verità giudiziaria, dopo ben orchestrate,oggi si direbbe negazioniste, campagne del quotidiano La Sicilia, illustri disquisizioni di intellettuali che spiegavano come a Catania la mafia non esisteva, che i trecento morti di un solo anno certificavano che eravamo di fronte a una criminalità volgare e aggressiva, che la mafia vera è a Palermo, città punica, mentre noi siamo greci. I salotti si impegnavano nel riferire che avevano saputo da fonte sicura che era stato ucciso per questioni di corna, perché aveva ricattato qualcuno e pettegolezzi sussurrati e ancor più vergognosi.
Dal 2002 al 2014 con Elena abbiamo iniziato ad andare nelle scuole, nelle Università, anche se non Catania, a seguire tesi di laurea, di cui una magistrale all’Università di Anversa, a incontrare chi su Fava voleva scrivere, e anche bene come nel caso di Massimo Gamba o di Massimiliano Scuriatti, a raccogliere tutto quello che mancava. Film, documentari, interviste e a stampare quello che avevamo trovato già predisposto per andare in stampa, a ristampare e digitalizzare Il giornale del Sud e il mensile I siciliani. Lo abbiamo fatto con l’aiuto dei molti amici che Fava ha lasciato e che spontaneamente ci hanno offerto quello che avevano di materiale, con l’aiuto dei giovani che all’improvviso lo hanno scoperto.
Da undici anni, su proposta di Claudio, che ha sempre seguito e curato l’opera giornalistica del padre, è stato istituito un Premio nazionale Giuseppe Fava riservato al giornalismo di inchiesta, che viene assegnato il 5 gennaio, anniversario dell’assassinio.
Solo da tre anni il premio si assegna dentro il Teatro stabile, per il quale Fava aveva scritto quasi ogni anno un nuovo testo teatrale, e davanti al quale è stato ammazzato. Cioè da quando ha avuto una gestione commissariale e, da quest’anno un direttore non catanese.
Per trentadue anni abbiamo deposto i fiori sotto la lapide, il teatro è rimasto chiuso e spento e i fiori sono stati rubati.
Nel dicembre 2015 Elena è morta e con lei la voce instancabile, ferma e dolce insieme, che aveva raccontato il Fava uomo, la sua allegria, la sua dignità, la sua capacità di dare, in qualsiasi momento, un valore nobile al giornalismo.
La Fondazione ha continuato a vivere, ovviamente in maniera diversa non avendo più la voce narrante. Ha deciso di fare parlare solamente Fava, attraverso i suoi testi (letti gratuitamente, nell’anniversario della nascita, da amici attori quali Luigi Lo Cascio, Leo Gullotta, Pippo Pattavina, Alessandra Costanzo, Andreazzurra Gullotta, Alfio Guzzetta,Gregorio Lui) attraverso la pubblicazione di inediti che nel frattempo vengono riportati alla luce dalla puntigliosa ricostruzione dell’archivio (dichiarato di interesse storico culturale dalla Soprintendenza ai Beni Culturali dell’Archivio di Stato di Palermo il 27 giugno 2018) fatta da Giuseppe M. Andreozzi, marito di Elena.
Attraverso i suoi quadri, dei quali si sta organizzando una monografia ragionata e, a partire dal 2019, due o tre mostre in diverse città italiane e, infine, attraverso la sua attività di critico cinematografico, le cui recensioni stanno per essere raccolte in un volume dedicato.
E con Fava andiamo nelle scuole a parlare di come si può combattere la mafia e di come si deve imparare a riconoscerla, perché “Tutto quello che vi accadrà nella vita dipenderà da come voi sarete capaci di stare con la mafia o di lottare contro la mafia.” (Giuseppe Fava: Lezione sulla mafia, Catania 2017, pag.15)

 

fonte http://mafie.blogautore.repubblica.it/