Ecco cosa è stato il progetto C.A.S.E.

l Progetto C.A.S.E. – dove l’acronimo, spesso dimenticato o trascurato, sta per Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili – è, ad oggi, il più importante intervento edilizio pubblico realizzato in Italia in questo primo scorcio di XXI° secolo e, per modalità di realizzazione e tempi di esecuzione, uno dei più interessanti e controversi mai dispiegati a seguito di un’emergenza, nella nostra Penisola. Ad onta di tale dato, il «progetto di ricostruzione unico al mondo che ha consentito di dare alloggio a quindicimila persone in soli nove mesi» (la definizione è del Consorzio ForCase – entità senza fine di lucro costituita dalla Fondazione Eucentre e da due imprese di costruzione, la ICOP e la Damiani Costruzioni – che tale progetto ha gestito), messo in pratica, quale stazione appaltante, dal Dipartimento della Protezione Civile a seguito del sisma aquilano del 6 aprile 2009, non è stato oggetto, negli anni, di particolari studi specialistici di approfondimento (da quelli prettamente tecnici a quelli sociologici), ed è salito all’onore delle cronache, sino a questi giorni, soprattutto per il crollo subitaneo di alcuni balconi; e gode, nell’opinione pubblica nazionale, di disputata fama, soprattutto in seguito alla diffusione, qualche anno fa, del rapporto Sondergaard, contenente la rivelazione, di fonte europea – Europa che parte di queste costruzioni finanziò, per quanto i danari stanziati da Bruxelles non fossero destinati all’emergenza abitativa durevole – sull’ingente costo a metro quadro delle abitazioni realizzate.
È bastato, in occasione della recente campagna elettorale regionale abruzzese, che Silvio Berlusconi si palesasse, commosso, a fine gennaio 2019, sul balcone di una delle 185 (centottantacinque) strutture alla fine realizzate, in diciannove aree del tenimento del Comune dell’Aquila, per risvegliare un dissidio da sempre presente sugli esiti – e persino sulla natura – del Progetto C.A.S.E.. Il giorno successivo a tale apparizione di Berlusconi a L’Aquila (salutato, ci racconta la cronaca del maggiore quotidiano regionale, a conferma della scivolosità del tema, all’uscita dal complesso C.A.S.E. di Sant’Antonio, da una signora che lo ha definito genio: «è riuscito a darci una casa provvisoria in pochi mesi») (vedi nota i), Tomaso Montanari, dolendosi della circostanza che il centro storico dell’Aquila – unico vero luogo, aggiungiamo noi, forse perché non interessato dalle C.A.S.E., ove la ricostruzione è tangibile – corra il concreto pericolo di ridursi ad una quinta monumentale, ha levato alto il grido sui «cittadini chiusi nelle 19 ‘not town’ di cemento mangia-campagna e mangia-anima volute da Berlusconi e Bertolaso all’inizio del peggior terremoto della storia nazionale» (vedi nota ii), in quello che parrebbe configurarsi come un rapporto effetto-causa. Pochi giorni dopo, è Alessandro De Angelis, direttore dell’Huffington Post (e, incidentalmente, aquilano di nascita) a rincarare la dose, dinanzi a quel Silvio Berlusconi
«[…] ricomparso all’Aquila a dieci anni dal terremoto, ancora convinto del “miracolo” della sua ricostruzione, perché “le mie case sono belle e solide, siete stati fortunati”. Eccolo, affacciato con accanto Marsilio da uno dei balconi delle famose “new town”, quegli straordinari cantieri della propaganda dall’allora governo, diventati le nuove aree di degrado urbano tra isolatori sismici fallati, infiltrazioni d’acqua, cedimenti di intonaco, e nessun servizio intorno, né pubblico né privato. In questi anni interi condomini sono stati evacuati di fronte al rischio crolli e, all’ordine del giorno, c’è l’esigenza di abbattere alcuni dei 19 siti costruiti in piena emergenza post terremoto […]» (vedi nota iii).
Fatto salvo, per quanto detto sopra, che le case di Berlusconi non sono, peraltro impropriamente, riferibili solo a costui ma anche alla tanto vituperata Europa (e per una notevole porzione, prossima alla metà, degli oltre settecento milioni di euro in tale intervento impiegati), qui, evidentemente, non è più disputato l’aspetto tecnico del Progetto C.A.S.E. – che pure meriterebbe grande attenzione, per ogni edificio dei 185 complessivi dei quali si compone, formati sostanzialmente da due parti: la porzione inferiore, costituita dalle due piastre strutturali e dall’innovativo sistema di isolamento; e la porzione superiore, costituita da un edificio (prefabbricato) di tre piani – ma il suo complessivo impatto sul Territorio: quello direttamente urbanizzato, e sottratto alla sua destinazione originaria, come quello delle zone prossime e delle vie di collegamento alle C.A.S.E., interessate nel tempo da opere connesse ai servizi e al commercio di media e grande distribuzione che hanno finito per modificare profondamente l’aspetto della periferia del capoluogo di regione. La visione del suo futuro. E qui il peccato, ammesso che di colpa si tratti, l’aver concepito e realizzato il Progetto C.A.S.E., sarebbe da indagarsi all’origine.
Tale stigma del peccato, nell’immaginario collettivo, in specie abruzzese e locale, assolutamente non è dato riscontrare, e non solo nel caso, pure esemplare, della signora che ha insignito Berlusconi del titolo di genio: prova ne sia il continuo raffronto che si ascolta, certamente anche di ispirazione politica, con i provvedimenti avutisi nei frangenti delle emergenze successive occorse negli Appennini, e gli insediamenti provvisori ivi (non) realizzati; o l’ossessivo richiamarsi, da parte del ceto dirigente locale, al “modello L’Aquila”, ancor oggi, per la ricorrenza del decennale: in ciò riprendendo pedissequamente le parole e il messaggio dell’allora responsabile della Protezione civile nonché Commissario delegato per l’emergenza Guido Bertolaso, e del prefetto Franco Gabrielli, altra figura che ebbe grande rilievo nella gestione dell’immediato post-terremoto. Non a caso lo stesso Berlusconi, nell’ultima visita aquilana di cui sopra, fa espresso riferimento a «gli interventi post-terremoto effettuati dal nostro governo, ai quali mi dedicai personalmente e che ancora oggi sono un modello studiato e replicato nel mondo» (vedi nota iv). Sulla medesima linea si sono attestati l’attuale sindaco aquilano, Biondi e, con qualche prudenza, il neopresidente della Regione Abruzzo, Marsilio. Di tale “modello” il Progetto C.A.S.E. è componente essenziale, per dimensione ed effetti (e costi finali), e certamente non ripudiabile, o trascurabile, dell’asse ereditario materiale e immateriale del sisma del 6 aprile: la riprova di tale assunto si è avuta in prossimità della commemorazione delle ore 3.32, del decennale, quando in diretta nazionale, in prime time, il detto Marsilio e il senatore Primo Di Nicola hanno vivacemente discusso sulle C.A.S.E., mostrando pareri del tutto opposti, per buona parte del tempo messo a disposizione dall’approfondimento del Tg2.
Di quanto il Progetto C.A.S.E. rappresenti nella gestione del post-terremoto aquilano, fanno fede le parole, pronunziate nel 2010, dal professor Gian Michele Calvi, responsabile della Fondazione Eucentre ed eminenza grigia nella realizzazione dell’intervento:
«[…] Al metro quadro abbiamo speso 1.318 euro. Avrebbero dovuto gridare al miracolo per quanto poco è stato speso per realizzare i 4.449 alloggi. Viviamo in un grande paese che, però, è anche autolesionista. Invece di criticare non si sa cosa, dovrebbe esportare un modello di grande successo quale è quello realizzato in Abruzzo […]» (vedi nota v).
Come si può vedere, la parola d’ordine del “modello” nasce da lontano, ed è lungi dal tramontare se è vero che nel decennale è risultata perfettamente spendibile.

NOTE:
i Monica Pelliccione, Berlusconi: Marsilio il candidato giusto, in «Il Centro», 27 gennaio 2019, p. 3.
ii Tomaso Montanari, L’Aquila, dopo il terremoto è il cemento a distruggere, in «Il Fatto Quotidiano», 28 gennaio 2019, p. 16.
iii Alessandro De Angelis, Gran Cinema Abruzzo, www.huffingtonpost.it/2019/02/03…
iv Monica Pelliccione, Berlusconi: Marsilio il candidato giusto, cit.
v In Sabrina Pisu-Alessandro Zardetto, L’Aquila 2010. Il miracolo che non c’è, Castelvecchi 2010, p. 31.

( 1 – continua)

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