La Cassazione: “Caputo non ingannò gli elettori”

La Cassazione ha depositato le motivazioni per le quali, lo scorso 20 dicembre, respingendo il ricorso della Procura di Termini Imerese, ha confermato l’annullamento della misura cautelare dell’arresto ai domiciliari a carico dell’ex deputato regionale e sindaco di Monreale, Salvino Caputo. Mario, fratello dell’ex parlamentare regionale del centrodestra Salvino, è stato candidato alle Regionali del 5 novembre scorso, nella lista della Lega, in sostituzione di Salvino non candidabile per effetto della legge Severino poiché condannato per tentato abuso d’ufficio. Secondo la Procura di Termini Imerese sarebbe stato appositamente generato un equivoco durante la campagna elettorale affinchè si credesse che il candidato fosse Salvino. Ebbene, secondo la Cassazione non ricorrono indizi di colpevolezza così gravi da giustificare la misura cautelare. E i giudici della Suprema Corte spiegano il perché e scrivono: “Perché plurimi elementi indicano che Salvatore Caputo si era vigorosamente impegnato a favore del fratello. Esistevano anche volantini con l’indicazione del nome Mario Caputo e comunque l’indicazione del solo cognome del candidato non costituisce una falsa indicazione di elementi identificativi. Quanto alle telefonate ricevute da Salvatore Caputo da parte di elettori che gli comunicavano di averlo votato, può trattarsi di telefonate genericamente espressive di una volontà, da parte degli elettori in questione, di mantenersi fedeli al più famoso dei Caputo, nella consapevolezza che dietro il fratello Mario vi fosse la figura, più riconosciuta ed autorevole, di Salvatore e che, dunque, il voto dato al primo era stato, comunque, un voto dato al politico non candidabile, della cui volontà il fratello sarebbe stato il fedele esecutore. Gli elettori che gli dicevano di averlo accontentato si riferivano al fatto, non infrequente, a elezioni concluse, che gli elettori informino del proprio voto colui il quale si sia speso in prima persona per un determinato candidato”, come avevano rilevato i giudici del riesame con motivazione ritenuta non illogica”.