Rocco che rompe l’omertà

Se è vero che, di solito, la Calabria viene descritta come una terra omertosa, dove per paura si tace, dove per paura non si vede né si sente nulla, è anche vero che, certe volte, proprio quella può essere terra di eroi. Se è vero che di solito, quando si pensa agli eroi, si pensa a grandi uomini, a combattenti che compiono imprese maestose per aiutare chi li circonda, è anche vero che, certe volte, non serve essere quel tipo di grande uomo per essere un eroe; infatti, spesso, sono proprio le azioni di un piccolo (grande) uomo ad avere un forte impatto nella storia e nella vita delle persone a loro più o meno vicine, nel tempo e nello spazio.
Ed è proprio unendo questi due fili che prende forma la storia di Rocco Gatto di Gioiosa Ionica, un uomo onesto che, nella Locride degli anni 70, si è opposto con fermezza ed orgoglio alle ingiustizie e ai soprusi attuati sulle sue terre dal clan degli Ursini.
Rocco Gatto era un mugnaio, il primo di quindici fratelli che nel ’64 diventa proprietario dell’attività del padre. Dal padre non aveva, però, ereditato solo l’attività, ma anche il carattere fiero e coraggioso nonché i valori di integrità ed onestà che avrebbero poi sempre orientato la sua vita e le sue azioni. Per questo motivo Rocco non si è mai piegato alle richieste avanzategli da parte degli Ursini che da sempre avevano disteso i tentacoli, stringendo nella loro morsa le terre della Locride, le terre di Rocco Gatto. Con coraggio e fermezza, infatti, il mugnaio di Gioiosa Ionica si oppose sempre al pagamento del pizzo. Questo comportamento agli Ursini non piacque: la mafia mal accetta di essere sfregiata nel suo prestigio e nella sua autorità. La reazione fu quella di voler ottenere comunque il pizzo e la sottomissione di Rocco Gatto, ma seguendo altre strade e impiegando altri mezzi. Iniziarono quindi con gli incendi al mulino, per poi passare alle minacce ed ai furti degli orologi da collezione che Rocco, mugnaio raffinato, riparava per passione. Nonostante tutte queste intimidazioni, la risposta di Rocco rimase sempre la stessa: “mi oppongo, fino alla morte”.
Vi è una data, quella del 6 novembre 1976, che costituisce il punto di svolta nella storia di Rocco Gatto e di Gioiosa Ionica: quel giorno infatti, il reggente del clan Vincenzo Ursini rimase ucciso in una sparatoria con i carabinieri. Il clan reagì istituendo il lutto cittadino e imponendo alla città il coprifuoco; l’indomani sarebbero dovuti arrivare gli ambulanti per il mercato della domenica ma gli ‘ndranghetisti non lo permisero. Bloccarono l’accesso alla città e rispedirono a casa i commercianti. Ma Rocco Gatto non aveva paura: seguendo il suo naturale istinto di dovere sociale che da sempre lo caratterizzava, decise di denunciarli facendo i loro nomi, prima, al comandante dei carabinieri, e confermandoli, poi, di fronte al giudice istruttore.
Purtroppo, però, il compimento di quello che per Rocco era un semplice dovere civile, corrispondeva a una violazione di una quella che era una delle regole fondamentali della mafia: denunciando i loro nomi, Rocco stava firmando la sua condanna a morte.
Era il 12 marzo 1977, Rocco Gatto si stava dirigendo verso Roccella Ionica guidando il suo furgone; quella era la strada che faceva ogni giorno, per raccogliere i sacchi di grano e per portare la farina fuori città. Rocco era consapevole del pericolo a cui le sue azioni avrebbero potuto portarlo, e infatti, quella stessa giornata aveva con sé il suo fucile, con il colpo già in canna. Eppure, questa sua precauzione non riuscì a salvarlo dall’inevitabile esito di quello che era l’agguato tesogli dalla cosca degli Ursini. Due o tre colpi di lupara in sequenza posero fine alla vita di Rocco, il suo furgone si fermò pochi metri dopo sulla statale, all’altezza di Contrada d’Armo di Gioiosa Ionica ed il suo cadavere viene ritrovato poche ore dopo, appoggiato su un muretto, dagli stessi ufficiali che avevano ricevuto la denuncia da egli sporta il 7 novembre.
La storia di Rocco, però, non finì con la sua morte. Le sue idee, i suoi valori, nonché la portata delle sue azioni ebbero un impatto ed una risonanza nella storia, di Gioiosa Ionica e nella storia d’Italia che egli stesso non si sarebbe mai aspettato; in fondo, non voleva fare l’eroe, si stava semplicemente comportando da cittadino onesto. Eppure, è come se la morte di Rocco Gatto, in quella terra calabra, caratterizzata dalla paura e dalla omertà, avesse improvvisamente scosso gli animi portando ad una maggiore consapevolezza e presa di coscienza. L’eredità del coraggio e del senso civico di Rocco fu tale che Gioiosa Ionica divenne il primo comune a costituirsi parte civile in un processo per mafia, schierandosi apertamente dalla parte della giustizia. Quando giunse la notizia della sua morte, la gente non rimase a guardare, ma scese in piazza, alzò la voce, si batté per Rocco e per la giustizia. Proprio quella stessa gente di Calabria che aveva sempre avuto la tendenza a tacere e a non proferire parola quando si trattava di mafia. Tra tutti il padre, Pasquale Gatto chiese giustizia per il figlio, alzò la voce davanti e sotto i riflettori, con coraggio, con fermezza e senza paura, proprio come aveva insegnato a Rocco.
Un anno dopo la sua morte arrivò la sentenza relativa all’episodio del mercato di Gioiosa Ionica. Ma Mario Simonetta e Luigi Ursini, i “picciotti” che Rocco aveva denunciato, nel 1979 vennero assolti in primo grado per insufficienza di prove. Sette anni dopo i due boss vennero condannati, rispettivamente, a sette e dieci anni per il solo reato di estorsione; questa condanna sarebbe stata poi confermata in Cassazione nell’88. Un lettore disattento, partendo da queste premesse, potrebbe concludere che, in fondo, giustizia non fu fatta; che in fondo, queste sono solo belle parole che però concretamente non portano a nulla. I cattivi, dunque, vincono, e gli eroi invece vengono schiacciati sotto l’intangibilità dei potenti. Ma è davvero così? Non proprio, perché le aule di tribunale non sono l’unico luogo dove viene fatta giustizia. Quando gli ideali non muoiono ma vengono tramandati, quando le lotte di Rocco e di quelli prima di lui vengono combattute come se fossero le proprie, quando il tempo e lo spazio non fermano i progetti, quella è la giustizia.
Il presidente Sandro Pertini questo lo sapeva bene quando, nel 1980, si recò nella Locride di Rocco Gatto per consegnare la medaglia d’oro al valore civile ai suoi familiari.
È per questo che possiamo concludere che le battaglie di Rocco sono diventate le nostre e che, nonostante la sentenza pronunciata abbia lasciato a desiderare, la memoria di Rocco è stata comunque onorata. La giustizia per Rocco Gatto, il piccolo grande uomo di Gioiosa Ionica che sfidò la mafia fino alla morte, pur essendo mancata in aula, passa a maggior ragione per ognuno di noi. Fintanto che il suo messaggio resterà nelle menti di coloro che hanno conosciuto la sua storia e ne hanno tratto un insegnamento, gli sarà resa giustizia nel modo migliore possibile. Probabilmente quello che avrebbe voluto anche lui.

 

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