Il pensiero di Giovanni Falcone

Sintesi di Annamaria Nuzzolese tratta da interventi di Giovanni Falcone
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Leggendo queste righe la sensazione che assale il lettore è di stanchezza, nella seduta del 31 Luglio 1988, Falcone tiene un discorso al Consiglio Superiore della Magistratura, i toni sono quelli equilibrati dell’uomo di sempre ma si nota ormai la fatica nel resoconto finale di tutti i macigni che si è dovuto addossare e di tutti i silenzi che ha dovuto mantenere per evitare polemiche passate o più o meno contemporanee all’epoca del suo discorso.
La delusione fa riferimento alla mancata collaborazione evinta da episodi di lettere di richiamo durante la direzione Meli dell’ufficio istruzione di Palermo, il primo discorso del nuovo direttore dopo l’insediamento ha avuto come unico perno la titolarità del più grande processo in atto ovvero quello che aveva in esame Cosa Nostra, nessuno scambio di idee, nessun confronto con chi fino ad allora aveva portato avanti le indagini, una palese e ferma opposizione basata su ragioni di puro formalismo per cui l’istruttoria non poteva essere assegnata congiuntamente a più giudici istruttori, convinzione a cui nulla è valsa l’opposizione della sentenza della Corte di Assise di Palermo che affermava invece la regolarità congiunta.
In questa situazione onore al merito di chi cerca di mantenere viva la filosofia del pool rinnovando sempre la stima e la cordialità nei confronti del consigliere che sembra però bocciare qualsiasi tipo di proposta alternativa, senonché la disgregazione del metodo fino ad allora seguito raggiunge la massima evidenza con l’assegnazione dei vari processi attraverso un criterio totalmente oscuro agli altri membri del pool e in contrasto con i criteri tabellari predisposti e approvati dal CSM. Per riportare alcuni esempi: processo sull’omicidio di Tommaso Marsala affidato a Lacommare giustificando l’assegnazione con la tesi per cui tutti dovevano occuparsi in parte di indagini di mafia. Iter identico per il sequestro di Claudio Fiorentino assegnato dal consigliere a se stesso senza spiegazioni in merito, nonostante la gravità del sequestro che metteva in dubbio le regole di Cosa Nostra.
Viene richiesta una copia degli atti appellandosi all’art 165 bis del codice di procedura penale, che non viene accolta, affermando che dovevano prima essere chiesti degli atti specifici e poi, che la richiesta costituiva indebita sovrapposizione a un potere dalla legge attribuito al solo capo dell’ufficio, questo è riportato in una lettera del 12 Maggio mentre nel frattempo erano state fatte assegnazioni congiunte di due processi.
La risposta merita la più pacata decantazione, ed arriva infatti a meditazione conclusa dodici giorni dopo con i consueti riguardi rispettosi. La situazione presto sembra prendere una piega astrusa, omicidio Casella, ancora una volta confusione nell’assegnazione fatta senza leggere il rapporto, mentre ai colleghi del gruppo antimafia vengono assegnati processi ordinari che portano ad un appesantimento del lavoro di interrogatorio, di indagini e di esami testimoniali che si addossano sulle spalle del solo Falcone.
Pendono in questo momento circa 2500 processi e Falcone qui richiama un altro episodio di gravità inaudita, cioè il processo Calderone, il cui mandato di cattura in cui si spiegano i motivi dello stesso e la competenza propria dell’ufficio di Palermo è stato pretermesso e sballottato tra il consigliere istruttore e il procuratore della Repubblica di Marsala, tutto ciò senza consultare alcun collega del pool quando Falcone stesso era fuori Italia.
Queste sono grosso modo le controversie di cui si fa portavoce il magistrato palermitano che in un intervento del 17 Dicembre 1984 in occasione di un dibattito organizzato da Unità per la Costituzione, una corrente dell’Associazione Nazionale Magistrati, rivisita ampiamente il concetto di “emergenza mafiosa” ponendo l’accento sulla componente storica della mafia che precede la nascita dello Stato Unitario.
La mafia come fenomeno interno e soprattutto economico-sociale riguardante vari strati della popolazione del Mezzogiorno non può essere utilizzato come “alibi per giustificare le carenze dei poteri statuali”, tuttora affermazione attuale e visionaria. L’organizzazione strategica nello studio del fenomeno mafioso e nell’attuazione della repressione attraverso strumenti più incisivi e compatti muove i primi passi in quell’Italia che vive le più grandi sofferenze e insieme somministra e sperimenta i più potenti farmaci per curarsi, tra cui il testimone, il giudice ed infine quello da cui più possiamo imparare: l’uomo, Giovanni Falcone.

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