Caso Palamara, nella guerra dei veleni spunta il consigliere giuridico del Quirinale

Veleni. Spifferi. Suggestioni. Le nuove intercettazioni sul tavolo della procura di Perugia promettono ulteriori destabilizzazioni al Csm e nei palazzi del potere.

Il procuratore generale della Cassazione apre un’indagine disciplinare sul poker di consiglieri coinvolti 

Fino a lambire il Quirinale. Ormai il telefonino di Luca Palamara è una mina vagante e un pericolo per le istituzioni.
Si dice che i pm di Perugia, che avevano installato un trojan nel cellulare dell’ex presidente dell’Anm, siano rimasti sconcertati dalla lettura del colossale tomo consegnato dal Gico della Guardia di finanza. Si deve decidere in che direzione procedere e non è facile quando i primi assaggi, pubblicati ieri da Repubblica e Corriere della sera, tirano in ballo su diversi versanti il Colle. Le carte, in partenza nei prossimi giorni per il Csm, raccontano le presunte, tortuose manovre di Luca Lotti. L’ex ministro, infuriato con la procura di Roma che ha chiesto il suo rinvio a giudizio, spiega al suo interlocutore di essere andato a sfogarsi al Quirinale, dipingendosi come vittima di una sorta di persecuzione. Non solo, avrebbe confidato a Palamara, nei loro incontri carbonari in piena notte, un progetto sconsiderato: salire di nuovo al Quirinale per cercare una sponda nella guerra in corso per la nomina del nuovo capo della procura di Roma. Insomma, fra indiscrezioni e notizie tutte da verificare, il complotto dentro la magistratura afferra con i suoi tentacoli la presidenza della Repubblica.

Due giorni dopo,  Palamara sarebbe stato perquisito e i veleni dell’inchiesta di Perugia, che hanno investito il Consiglio superiore della magistratura e la procura di Roma, sarebbero diventati pubblici. Ma intanto l’ex consigliere del Csm parlava con il parlamentare Cosimo Ferri. Un’intercettazione ambientale, captata poco prima della discovery, registra la conversazione nella quale il deputato informa Palamara che nel suo telefono è stato piazzato un trojan, un virus che trasforma il cellulare in un microfono, come prevede la nuova legge spazzacorrotti.

A riferire la notizia riservata, dice Ferri, sono dei consiglieri del Csm, che gli hanno spifferato quell’informazione avvalorandola anche con l’indicazione di una fonte illustre: Stefano Erbani, il consigliere giuridico del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La conversazione è stata fatta ascoltare a Palamara (che poco prima aveva detto: «Sapete già di Erbani») durante il suo interrogatorio in due round dai pm di Perugia. Una circostanza rispetto alla quale il magistrato non ha avuto molto da aggiungere, dicendo di non aver mai avuto nulla da nascondere, perché i suoi incontri con i colleghi, anche per discutere delle future nomine, non costituivano un reato. Palamara ha precisato, ovviamente, di non conoscere Erbani. Netta la smentita del consigliere giuridico di Mattarella, dopo la precisazione diffusa ieri dal Quirinale che ha smentito di disporre di informazioni relative alle indagini. «Sono estraneo a questi fatti – ha dichiarato Erbani attraverso i canali ufficiali del Colle – e sono pronto a denunciare per calunnia chiunque li riferisca e li abbia riferiti».
Aumenta così la tensione con registrazioni, atti e dichiarazioni che travolgono la magistratura e fanno crescere l’imbarazzo istituzionale. Adesso la procura punta a individuare i due consiglieri, per stabilire come una simile fuga di notizie si possa essere verificata. Intanto la Guardia di Finanza ha depositato altri atti che presto dovrebbero essere trasmessi al Csm.
I FASCICOLI A CASA
Per quanto riguarda le indagini su Palamara gli investigatori stanno cercando di capire perché il pm avesse a disposizione alcuni atti della procura di Roma che non erano di sua competenza. I militari li hanno sequestrati al momento della perquisizione. In sede di interrogatorio, il magistrato ha chiarito che si trattava per lo più di documenti che gli venivano mandati, insieme alla richiesta di aiuto su come affrontare vicende giudiziarie, da parte di conoscenti. Fascicoli di nessun peso, dei quali non si è mai interessato. Ma i finanzieri indagano anche su un appunto trovato nell’ufficio del pm in cui, sotto a un numero di procedimento, c’era scritto: «Non fissare».
L’inchiesta non si ferma e se dal punto di vista penale potrebbero emergere altri elementi, di certo sono già annunciati atti che, dal punto di vista istituzionale, creeranno ulteriore imbarazzo. Nelle intercettazioni, infatti, emerge che nel risiko delle nomine tra consiglieri e magistrati, pronti a promuovere accordi per decidere i vertici delle procure di Roma, Perugia e Brescia, sono coinvolte altre toghe. Veleni che non si arrestano e si diffondono ancora. La nomina di Marcello Viola, attuale procuratore generale di Firenze, voluta da tre correnti, Unicost, Magistratura Indipendente e Autonomia e indipendenza di Piercamillo Davigo, doveva avviare una nuova era all’insegna della discontinuità con la gestione di Giuseppe Pignatone negli uffici della Capitale. Ma nella partita erano entrati anche componenti esterni alla magistratura, come Luca Lotti, mandato a processo proprio da Pignatone per rivelazione del segreto istruttorio e favoreggiamento nell’ambito dell’inchiesta Consip. Dall’altra parte, solo una corrente, quella di sinistra, Area, auspicava l’arrivo di Francesco Lo Voi, capo dei pm di Palermo e naturale successore di Pignatone. La guerra è cominciata così. A margine, il desiderio da parte di Palamara di vendicarsi del collega Paolo Ielo, l’aggiunto che aveva mandato a Perugia gli atti sui suoi rapporti con l’imprenditore Fabrizio Centofanti.

Fonte: Messaggero, IL Giornale