Storia dell’Italia corrotta

Quali sono le tipicità della corruzione in Italia? Studiando la storia del nostro Paese dal 1861 ad oggi è possibile evidenziarne alcuni tratti ricorrenti: la corruzione non è un fenomeno transitorio, legato solo ad alcuni periodi delle nostre vicende politiche; non è un reato a spiccata caratterizzazione meridionale; non è un fenomeno in cui qualcuno dei coinvolti può definirsi a ragione come vittima; ha spesso legami con le mafie.
Oltre a singoli cittadini che talora ricorrono a metodi corruttivi per ottenerne dei vantaggi si sono  consolidati sistemi di potere, i cui protagonisti sono insospettabili colletti bianchi, per i quali aggirare la legge per perseguire scopi economici personali è diventata la regola. Sono sorti cioè sistemi corruttivi in cui si stabiliscono regole e punizioni per chi non le rispetta e si fissano tasse di accesso e di permanenza, si fa cioè “diritto”, un diritto che pur andando oltre quello dello Stato e contro di esso, è efficace ed effettivo. E questa non è una novità dei nostri giorni: la grande corruzione è presente anche in quelle epoche storiche generalmente considerate immuni, come il fascismo, che ad esempio nel delitto Matteotti esplica tutta la forza di un sistema corruttivo consolidato.
Dunque, sistemi corruttivi che si ripropongono nel tempo,  seppur con differenze, seppur ognuno con le sue regole e le sue tasse,  e nello spazio, da nord  a sud del Paese indifferentemente.
È del tutto priva di fondamento la teoria che considera la corruzione come problema di territori arretrati. L’uso delle tangenti non è una peculiarità del Mezzogiorno ma un metodo abituale nella competizione di mercato delle realtà economiche più sviluppate. Nella storia d’Italia la corruzione ha inciso molto di più a Milano che a Napoli, molto di più a Roma che a Palermo.Si pensi solo al fatto che durante l’inchiesta “Mani pulite” nessun ufficio meneghino, nessun ente di derivazione o partecipazione comunale si salvò dal coinvolgimento in atti di corruzione e quasi nessuna impresa che aveva rapporti con l’amministrazione comunale. E se la Lombardia si è affermata per essere la regione a maggiore esposizione alla corruzione nell’ambito del comparto sanitario, altre regioni del nord hanno fatto registrare scandali importanti, si pensi solo al Veneto e alle tangenti pagate per la costruzione del Mose.
E da nord a sud,  a fine Ottocento come oggi, gli attori dei sistemi corruttivi hanno avuto bisogno gli uni degli altri per fare i propri interessi,  hanno stretto accordi, hanno stabilito rapporti biunivoci, non di subalternità o di predominio. Nel corso della storia molte teorie hanno provato a giustificare la corruzione, indicandola come un sistema per velocizzare pratiche, per alleggerire la burocrazia o come una imposizione a cui i corruttori sono sottoposti. Niente di più falso! Quelli che pagano le mazzette non sono vittime, pagare non può essere una necessità per imprese che hanno spesso una grande forza economica, pagare è solo un modo comodo per aggirare la legge e le regole della concorrenza imprenditoriali, pagare è conveniente. Pagare è diventato per molti imprenditori una legge di mercato, una competizione sul mercato.
Gli attori della grande corruzione preferiscono rischiare una pena statale piuttosto che la sanzione del ristretto gruppo di appartenenza che risulta essere più efficace poiché sancirebbe la inesorabile fuoriuscita da un  modo di aggiramento delle regole statali che garantisce vantaggi economici. All’interno dei sistemi corruttivi si affermano dunque “valori” alternativi, definizioni positive di alcuni atti devianti e modalità pratiche per aggirare la regole normalmente seguite dal resto della società. Non c’è nessuna riprovazione morale e corrotti e corruttori non si sentono criminali, ma tutt’al più disonesti, furbi. E i comportamenti nella legalità, se non portano profitti rilevanti, sono considerati stolti.
La linea di confine tra giusto e sbagliato è perciò sottile fino a diventare evanescente, e individuare gli attori di questi sistemi criminali è complicato soprattutto per il cittadino comune che dovrebbe misurarsi con importanti operazioni finanziarie e algoritmi matematici.
La corruzione allora appare un reato senza vittima: i comportamenti corruttivi sono generalmente nascosti o complicati da decifrare e le conseguenze sembrano inesistenti. Invece di vittime ne miete molte, sia nel senso proprio del termine, come nel caso in cui appalti affidati secondo criteri di convenienza e non di sicurezza producono opere pericolose, sia in senso più ampio in quanto fiacca il senso dello Stato e la fiducia in esso.
Opacità, confusione, dissolvenza: le caratteristiche di questi gruppi corruttivi che sempre più spesso accolgono come loro membri i mafiosi. “Mafirruzione” è un neologismo che può aiutare ad identificare la vicinanza, compenetrazione e dissolvenza delle mafie nella corruzione, di mafie cioè che non sporcano mercati “puliti” ma di mercati già “sporchi” che accolgono le mafie.
In ogni caso si può tranquillamente affermare che non sono state le mafie a determinare la crescita della corruzione in Italia, né tantomeno nel Centro-Nord; esse sono arrivate dove già c’era.
Mafie e corruzione, due reati diversi, due modi diversi di azione che hanno trovato spazi di comune interesse e affari nell’economia opaca e finanziarizzata della modernità: c’è poco da stare sicuri!

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