Matteo Collura “fuori dal coro” su Andrea Camilleri

giornalista e scrittore agrigentino, Matteo Collura, editorialista de “Il Messaggero” e del “Corriere della Sera”, autore oggi sul “Messaggero” di un editoriale, del tutto “fuori dal coro”, su Andrea Camilleri.
Ecco il testo integrale:

Anomalie di un successo: gara tra pagina e schermo.

Non è facile collocare Andrea Camilleri nell’ambito della letteratura siciliana del secolo scorso e in quello attuale. È stato un fenomeno editoriale, e come tutti i fenomeni non credo il suo successo si possa spiegare. A un certo punto certi scrittori entrano nel raggio d’azione di una sorta di “benevolenza cosmica” (per citare il titolo di un romanzo da poco in circolazione), ed è un esplodere di consensi, un’accelerazione parossistica delle vendite dei loro libri. A prescindere dal contenuto. Camilleri è uno di questi scrittori dal successo, tutto sommato, inspiegabile. Inspiegabile perché in Italia, come diceva Luigi Natoli, autore dei “Beati Paoli”, per farsi leggere è necessario procurarsi un nome straniero. E difatti lui firmava i suoi libri con lo pseudonimo di William Galt.
Camilleri, pur avendo un cognome che più siciliano non si potrebbe, non ha avuto bisogno di pseudonimi. Anzi, quel suono, come anche la sua parlata e l’ammiccare da uomo che ne ha viste tante e sa come “raccontarla”, gli hanno giovato. In una recente intervista si era definito un cantastorie. E credo abbia detto il vero. È non è soltanto il suo monologo dedicato a Tiresia a dimostrarlo, ma i suoi tanti colloqui con i giornalisti. Era un fiume in piena di ricordi, Camilleri, un interlocutore prezioso con quanti lo ascoltavano, taccuino o registratore in mano.
È stato, dopo Luigi Natoli (ma il dopo è soltanto temporale), lo scrittore siciliano più prolifico e popolare. Era come se non gli bastasse mai di pescare nella memoria. E come tutti i cantastorie, il più delle volte inventava. E credo che spesso la sua capacità inventiva finiva per convincere lui stesso a considerare vero quello che inventava. Ha scritto libri di memorie in cui racconta che, giovanotto, si imbatté nel generale Patton; che fu sequestrato dalla banda di Salvatore Giuliano, che bambino, aperta la porta di casa, si trovò di fronte a Pirandello, di cui in seguito – è sempre Camilleri a raccontare – avrebbe organizzato proprio lui il funerale ad Agrigento. Tutto narrativamente verosimile. E l’avverbio “narrativamente” qui vuol essere la sua cifra, il suo segreto, il suo talento.
Spesso fece il nome di Leonardo Sciascia, come suo amico e maestro. Quando Sciascia si trovava a Roma, soprattutto nel periodo in cui fu deputato alla Camera (1979-1983), Camilleri lo incontrava, gli parlava delle sue (allora deludenti) esperienze di scrittore. Credo che Sciascia lo abbia incoraggiato a continuare a scrivere, narrare. Camilleri, come sappiamo, lo ha fatto, ma non ci potrebbe essere autore più lontano da Sciascia, pamphlétaire legato alla letteratura dei Lumi, manzoniano cultore della scrittura come azione morale, questi; narratore, dalla lunga esperienza teatrale, Camilleri, per questo in grado di produrre un numero impressionante di intricate storie con finali a sorpresa. La televisione ha avuto un ruolo importante nella sua fortuna di narratore. Il commissario Montalbano, nelle versioni televisive è personaggio che oscura ogni altro, è la voce, il gesticolare, il pensiero stesso di Andrea Camilleri, immaginato dai suoi lettori in angoli di Sicilia, dove lui, sì e no, sarà stato qualche volta in visita turistica. E qui va detto che le versioni televisive dei suoi romanzi sono creazione in proprio degli sceneggiatori e del regista, un Camilleri aggiunto, che parla la lingua degli sceneggiati tv più popolari. E a proposito di lingua: Camilleri usò un dialetto siculo tutto suo, un inciampo non da poco per i lettori, anche siciliani. Ma lui, ho tentato di spiegarlo, è stato un fenomeno.
Matteo Collura