Il covo di don Piddu e degli altri latitanti

Nel Blog Mafie abbiamo già parlato dei mafiosi mandati in soggiorno obbligato in Veneto; è bene ribadire che tali personaggi non sono la causa principale dell’attuale presenza delle mafie in regione ma sicuramente si possono considerare come una sorta di “acceleratore sociale” per le dinamiche criminogene e gli interessi illeciti delle organizzazioni criminali. Ma in Veneto, così come in altre regioni, hanno trovato spazio d’azione anche altri mafiosi, latitanti o apparentemente cittadini normali. Nel libro “Mafia come M” abbiamo raccontato chi sono questi mafiosi e cosa ci facevano o cosa ci fanno nel Nordest. “Alcuni mafiosi, anche ricercati, si sono mescolati e adattati al tessuto sociale del Triveneto o hanno tentato di farlo; altri hanno intrattenuto rapporti, anche di affari, con la società civile; e nessuno – di fronte alla possibilità di lavorare e guadagnare – sembrava obiettare alla loro presenza, sempre discreta, lontana dalla ribalta delle grandi città, nei piccoli comuni di provincia. Inoltre, il fatto che alcuni mafiosi, latitanti, abbiano deciso di trascorrere parte della propria vita in Veneto o in Friuli Venezia Giulia, presuppone che si siano sentiti tranquilli nel farlo. In altre parole ci sono state alcune condizioni – contatti con individui già in loco; scarsa informazione e mancanza di comunicazione riguardo i suddetti individui – che hanno permesso agli stessi di stare o transire nel Nordest indisturbati”.
Nell’estate del 1992, subito dopo le stragi di Capaci e di Via D’Amelio, veniva arrestato dalla Squadra Mobile di Vicenza Giuseppe “Piddu” Madonia, braccio destro di Totò Riina, a Longare.  “Sempre in provincia di Vicenza, a San Pietro di Rosà, ci sono stati i fratelli Agizza, camorristi affiliati al clan Nuvoletta. Molte loro aziende, di costruzione e di pulizia, avevano ottenuto appalti pubblici, anche se non erano iscritte ad alcun albo di costruttori; per giunta alcuni istituti di credito avevano finanziato le loro attività senza chiedere garanzie. In Veneto l’azienda che portava il cognome dei due fratelli, aveva ottenuto lavori per centinaia di milioni di lire dalle Ferrovie dello Stato e da enti pubblici a Venezia, Mestre e San Donà di Piave, oltre che a Roma e Bari”. Sempre nel 1992, a fine maggio, a Thiene viene arrestato Nunzio Perrella, il famigerato colletto bianco della Camorra, businessman dello smaltimento illecito di rifiuti.
Ma non sarebbe stato l’ultimo mafioso arrestato nel vicentino. Poi c’è Verona e la zona del Garda dove hanno trovato terreno fertile uomini legati al clan Licciardi e Grimaldi, ma anche Gioacchino la Barbera, colui che con la sua macchina, il 23 maggio 1992 affiancaò l’auto in cui c’erano Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, per misurarne la velocità di viaggio e a dare poi il segnale ai mafiosi appostati poco più avanti per azionare il radiocomando a distanza che avrebbe ucciso il giudice, sua moglie e i tre agenti di scorta.
Nel veronese ci sono nomi di criminali noti, come Domenico Multari “Gheddafi”, e di altri meno noti. Anche nel trevigiano “scopriamo che qualche anno fa ci sono stati due importanti fermi: Vito Zappalà a Mogliano Veneto nel 2010 e Valerio Crivello a Preganziol nel 2012 e nel 2017. […] Sia Zappalà che Crivello hanno in comune la modalità d’arresto: sono stati fermati definitivamente mentre si apprestavano a fare jogging”.
“A Mestre nel 2014 veniva arrestato Vito Galatolo, arrivato in città due anni prima, dopo una condanna per associazione mafiosa, e sottoposto a sorveglianza speciale. Galatolo, considerato un elemento di primo piano all’interno di Cosa Nostra, ha intrapreso di recente la strada della collaborazione con la giustizia e ha parlato del tritolo arrivato in Sicilia per eliminare il pm Nino Di Matteo. A Venezia Galatolo aveva trovato lavoro da Otello Novello, soprannominato “Coco Cinese”. Costui, con precedenti penali, è indicato come dominus della zona del Tronchetto, in grado di gestire i flussi turistici attraverso alcune società d’imbarcazione e attualmente si trova a processo per concorso esterno in associazione mafiosa.
In Veneto Galatolo aveva messo in piedi un’organizzazione dedita a rapine – per cui è stato condannato – senza dimenticare di gestire i traffici della propria famiglia, come dimostrato dagli incontri avvenuti a Venezia con Giuseppe Corona, arrestato nel 2018 nell’ambito dell’operazione “Delirio”; Raffaele Favaloro, figlio di Marco, uno dei responsabili dell’omicidio di Libero Grassi e attualmente collaboratore di giustizia, arrestato anche lui nell’operazione “Delirio”; alcuni rampolli della famiglia Graziano, coinvolti nell’operazione “Apocalisse”; e Maurizio Caponnetto, suo complice anche in alcune rapine. Il cognome Caponetto, però, si collega a un altro fatto. Nel dicembre del 2018 è stato arrestato, durante l’operazione “Cupola” – che ha fatto luce sul tentativo di riorganizzazione del vertice di Cosa Nostra dopo la morte di Totò Riina – il fratello di Maurizio, Francesco Caponetto, della famiglia mafiosa di Villabate. Il soggetto in questione, una decina di anni fa, abitava a Mirano e qui era stato arrestato; dopo aver scontato la pena, aveva fatto ritorno sempre in Veneto, ben inserito nel tessuto sociale della città, salvo poi decidere di trasferirsi definitivamente a Palermo nel 2016”.
E in effetti il Veneto orientale non sono mai mancati personaggi di un certo spessore criminale, come Costantino Sarno, Vincenzo Pernice, Antonio Barra e Luigi Cimmino, il cui nome si lega all’omicidio di Silvia Ruotolo.
Anche nella provincia di Padova le ultime operazioni condotte dall’autorità giudiziaria hanno portato all’arresto di esponenti o personaggi comunque legati alla ‘Ndrangheta ma vogliamo concludere questo contributo ricordando un fatto di qualche anno fa, ancora tutto da chiarire.
“Negli anni Novanta, nel pieno della stagione delle “bombe in continente” i fratelli Graviano, Giuseppe e Filippo, si trovavano in Veneto, in provincia di Padova. I Graviano non sono mafiosi qualunque; coinvolti nella Strage di Via D’Amelio, sono ritenuti responsabili proprio della strategia terroristica delle “bombe in continente” e sono stati condannati all’ergastolo, in qualità di mandanti, per l’omicidio di Don Pino Puglisi, il prete di Brancaccio che voleva salvare i giovani dalle strade, quelle stesse governate dai fratelli Graviano. Sicuramente fino al 6 ottobre del 1993 i due mafiosi sono stati ospitati ad Abano Terme dall’imprenditore ed editore televisivo palermitano Antonino Vallone, che qui abitava e che sarebbe stato condannato a quattro anni di carcere per favoreggiamento. Ma i Graviano in Veneto non vivevano nascosti. È certo che trascorressero una vita “normale”, accompagnando le allora fidanzate (che poi sarebbero diventate mogli e madri dei loro figli – nonostante fossero già in carcere, i Graviano riuscirono a fecondare le rispettive donne; un’impresa non da poco) a fare shopping nei negozi del centro di Padova, come in quello “Versace”. Allora non può non sorgere una domanda: cosa ci facevano i Graviano in Veneto?”

[Tratto da “Mafia come M. La criminalità organizzata nel Nordest spiegata ai ragazzi” – Linea Edizioni, 2019]

 

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