Le ricchezze dei “re” della monnezza

La premessa è che la questione del rapporto mafia-rifiuti in Veneto è ancora quasi tutta da scoprire. Eppure i segnali non sembrano essere proprio dei più positivi. Nel libro “Mafia come M” abbiamo ricordato le due vicende più importanti. La prima riguarda l’avvocato campano Cipriano Chianese, al quale si attribuisce addirittura l’invenzione di questa attività criminale. Chianese, già condannato in primo grado a 20 anni di reclusione per associazione mafiosa, disastro ambientale, avvelenamento delle falde acquifere ed estorsione. Ha avuto un potere che si può definire “tentacolare, ramificato anche al nord Italia tanto da coinvolgere nelle sue attività, tra gli altri, un imprenditore padovano di Santa Giustina in Colle. Franco Caccaro, questo è il suo nome, nell’aprile del 2011 viene inquisito nell’ambito dell’inchiesta “Ferrari come Back”.
Gli viene sequestrato un capannone della sua azienda specializzata “Tpa Tritarifiuti” e viene anche accusato di essere un prestanome di Chianese. L’imprenditore aveva beneficiato di ingenti somme di denaro da parte del “Re dei rifiuti” – si parla di circa tre milioni di euro, che agli inquirenti aveva giustificato come crediti personali”. “[…] Nel 2016 Caccaro è stato condannato per false fatture e bancarotta fraudolenta a più di quattro anni di carcere. Anche in questa vicenda riscontriamo il modus operandi mafioso, ossia quando l’enorme disponibilità economica, dovuta ai proventi illeciti, viene utilizzata per sostenere le imprese in difficoltà. Cipriano Chianese, in effetti, aveva ricapitalizzato l’azienda di Caccaro, che aveva debiti per 20 milioni di euro, con tre milioni di euro; una mossa apparentemente illogica che sarebbe servita solo alla commissione di reati di natura fiscale a meno che, tra le righe, non volessimo leggere anche il tentativo di un clan camorrista di inserirsi nel tessuto economico della regione, minando la sana concorrenza del mercato. Per di più, in un settore a forte rischio, come quello dei rifiuti”.
La seconda vicenda da ricordare è quella del padovano Sandro Rossato. “Il signore in questione, con un curriculum imprenditoriale di tutto rispetto e varie società di rifiuti messe in piedi e operanti tutt’ora in Veneto, anche se non più sotto la sua egida, nel primo decennio del Duemila viene rinviato a giudizio nell’ambito dell’inchiesta “Rifiuti spa” per associazione di stampo mafioso, ma assolto nel 2008. Passa qualche anno e di nuovo nel 2014 Rossato ricompare in un’inchiesta della magistratura di Reggio Calabria. Stesso capo di imputazione: 416bis; stessi affari: rifiuti; stesso partner: ‘Ndrangheta. I magistrati reggini hanno evidenziato gli stretti legami tra Rossato e la cosca Alampi, legata alla famiglia ‘ndranghetista dei Libri, “a tal punto che Mamone Lauro, definito alter ego di Alampi Matteo, capo indiscusso della cosca mafiosa, era l’amministratore unico della Rossato Sud srl”, con la piena consapevolezza di Rossato.
L’inchiesta del 2014 è la prosecuzione di quella del 2006 in cui si era sancita per la prima volta l’esistenza della cosca di matrice ‘ndranghetista facente capo alle famiglie Alampi/Siclari, la quale, con un modus operandi diverso da altre cosche, aveva condotto la sua attività criminale esclusivamente per l’accaparramento e la gestione delle gare di appalto, attraverso la propria impresa-cosca, per assicurarsi risorse pubbliche. In questo contesto emerge il ruolo “strategico” di Rossato, che si attiva e si mette a disposizione dell’associazione mafiosa, la quale non ha bisogno di intimidire o di condizionare dall’esterno l’impresa, ma agisce dall’interno di essa; un salto di qualità criminale enorme, con la compiacenza dell’imprenditore del Nord. Rossato, posto agli arresti domiciliari, è deceduto per cause naturali nel 2015”.
Concludiamo questo articolo sottolineando il grave problema dei tantissimi incendi di natura dolosa o dalle cause non chiare, che hanno colpito negli ultimi anni  un numero impressionante di strutture edili, impianti e veicoli, per lo più di imprese dedite alla gestione dei rifiuti o al trasporto.
“Se in certi casi si sono esclusi collegamenti con il crimine organizzato di stampo mafioso, la stessa tipologia di azione – ossia l’incendio doloso – richiama alla modalità mafiosa con cui si conducono avvertimenti e minacce”. Tali vicende non possono essere sottovalutate. Infatti sempre più spesso capannoni (dati in affitto o comprati), lautamente assicurati, vengono stipati con carichi di rifiuti tossico-nocivi e poi “prendono” fuoco. Pare che dietro questo fenomeno ci sia la ‘Ndrangheta…

*Il nome di Rossato, soprannominato “il calabrese”, è tornato di recente alla ribalta grazie all’inchiesta di Fanpage sul compost prodotto dalla società SESA spa, fondata nel 1995 proprio da Rossato.

[I virgolettati sono tratti da “Mafia come M. La criminalità organizzata nel Nordest spiegata ai ragazzi” – Linea Edizioni, 2019]

 

http://mafie.blogautore.repubblica.it/