Il rapporto Svimez. Emergenza emigrazione. E i soldi pubblici s’investono nelle zone più ricche
Nel giorno in cui lo Svimez ha pubblicato il suo rapporto annuale sul Mezzogiorno, fotografando un disastro che dovrebbe togliere il sonno a chi governa, l’opinione pubblica nazionale era impegnata a discutere dello “stai buona zingaraccia” scappato di bocca, si fa per dire, al vicepremier Matteo Salvini. E a forza di parlare di porti chiusi e di altri divertissment che distraggono dalla prima emergenza del Paese, che è appunto l’agonia del Mezzogiorno, si va avanti su una strada che trasformerà la Sicilia e tutto il Sud in un ospizio senza speranza e senza futuro.
Secondo lo Svimez, sopo un triennio 2015-2017 di pur debole ripresa del Mezzogiorno, si è riallargata la forbice con il Centro-Nord. Al Sud mancano quasi 3 milioni di posti di lavoro per colmare il gap occupazionale col Centro-Nord. E il dramma maggiore è l’emigrazione verso il Centro-Nord e verso l’estero. Che ha ormai i contorni di una fuga di massa, generazionale. Le persone che sono emigrate dal Mezzogiorno tra il 2002 e il 2017 sono state oltre 2 milioni, di cui 132.187 nel solo 2017. Di queste ultime 66.557 sono giovani (50,4%, di cui il 33,0% laureati, pari a 21.970). La meglio gioventùdel Sud se ne va. E le regioni meridionali sono depauperate due volte. Perché le famiglie spendono tanti soldi per far studiare i figli e questo investimento finisce per arricchire altri territori. Il saldo migratorio interno, al netto dei rientri, è negativo per 852 mila unità. Come se fossero spariti tutti gli abitanti di Palermo e Siracusa. Nel solo 2017 sono andati via 132 mila meridionali, con un saldo negativo di circa 70 mila unità. Sempre Svimez l’anno scorso calcolava che la Sicilia da qui a 50 anni rischia di perdere un milione di abitanti, ritrovandosi con una popolazione molto vecchia.
Sì, mentre continuiamo a parlare e straparlare di immigrazione, non mettiamo a fuoco che il vero problema sta tornando a essere l’emigrazione. E non può certo stupire nessuno questo abbandono di massa del Sud che riporta alla memoria stagioni che sembravano ormai lontane della nostra storia. Nel Mezzogiorno i consumi ristagnano, crescono dello 0,2 per cento, mezzo punto in meno del Nord. Mentre il Centro-Nord ha ormai recuperato e superato i livelli pre crisi, fa notare il rapporto Svimez, nel decennio 2008-2018 la contrazione dei consumi meridionali risulta pari al -9%. E le ultime tendenze sono agghiaccianti: gli occupati al Sud negli ultimi due trimestri del 2018 e nel primo del 2019 sono calati complessivamente di 107 mila unità (-1,7%); nel Centro-Nord, invece, nello stesso periodo, sono cresciuti di 48 mila unità (+0,3%).
Colpa del destino cinico e baro o dei meridionali buoni a nulla? Scrostando un po’ di luoghi comuni, ci sono dei numeri, ostinati, che raccontano un’altra storia. E gridano vendetta al cielo. Sono quelli degli investimenti pubblici. Nel 2018, stima la Svimez, sono stati investiti in opere pubbliche nel Mezzogiorno 102 euro pro capite rispetto a 278 nel Centro-Nord (nel 1970 erano rispettivamente 677 euro e 452 euro pro capite). Cioè, per esser chiari, il pubblico spende molto di più in investimenti per persona nella parte nettamente più ricca del Pese a scapito di quella più povera. Un odioso Robin Hood al contrario. Di questo si dovrebbe chiedere conto ai partiti a trazione nordista che hanno governato ieri e che governano oggi. Ma è certo più comodo parlare di pacchia, crociere e ruspe.
Fonte livesicilia