Cosa ne è stato dell’Isis?

Scomparso dalle cronache, sconfitto nei discorsi dei politici delle più grandi nazioni, l’Isis – dopo la perdita del territorio del cosiddetto Califfato-  in realtà ha soltanto diversificato l’area della sua espansione.

Non si sconfigge il terrorismo a colpi di tweet, così come ha fatto il presidente americano Trump, secondo il quale l’Isis aveva perso la guerra e non rappresentava più una minaccia per l’Occidente.

Tutt’altro, proprio la decisione di Donald Trump di un accordo con i talebani, ritirando le truppe americane, ha spinto i terroristi dell’Isis a espandere le proprie basi in Afghanistan, in particolare nelle aree montuose della parte orientale, da dove riorganizzare le proprie milizie e pianificare nuovi attacchi in altre nazioni.

Tornato a prendere il controllo di alcune aree dell’Africa occidentale, grazie ai legami con formazioni paramilitari di  jihadisti locali, l’Isis mira a trasformarsi in forza d’opposizione nell’Afghanistan post-americano, potendo contare anche sul supporto di molti paramilitari talebani orientati verso l’estremismo jihadista che vedrebbero nell’Isis l’alternativa al regime talebano, ritenuto debole e più aperto all’Occidente.

Nonostante la perdita dei territori occupati in Siria e in Iraq, l’organizzazione può ancora contare su una forza militare che gli Stati Uniti stimano in almeno 18.000 unità, alle quali andrebbero ad aggiungersi  molti dei 10.000 combattenti  attualmente detenuti che potrebbero essere rilasciati.

Senza contare inoltre le decine di migliaia di persone che si trovano nei campi di sfollati, tra i quali molti parenti e amici di jihadisti uccisi, pronti ad andare a ingrossare le fila dei mujahideen.

È proprio tra questi ultimi che l’Isis ha avviato un vero e proprio programma di reclutamento, alimentando la loro rabbia e il desiderio di vendetta per i lutti subiti (circa 60.000 in quattro anni) e foraggiando economicamente i nuovi arrivati.

Non bisogna infatti dimenticare che l’organizzazione terroristica può ancora contare sui proventi di alcune aree dell’Iraq e della Siria non ancora governate, dalle quali riceve denaro proveniente da estorsioni, coltivazione della cannabis e investimenti in vari settori commerciali, che si accumulano ai circa 400 milioni di dollari provenienti da offerte in denaro e custoditi in luoghi sicuri.

Le risorse economiche, oltre che a servire per nuovi reclutamenti, sono necessarie alla creazione di un mini-califfato in Africa occidentale. Un progetto, come accadde per i mini stati-sharia bosniaci (delle cui radici e sviluppi ha narrato Antonio Evangelista nei suoi libri) realizzabile grazie al finanziamento di gruppi wahhabiti che operano in Occidente.

L’attentato a Kabul (Afghanistan), nel corso di una festa di matrimonio, è un chiaro segnale di come l’Isis abbia realizzato le sue basi più velocemente del previsto, a tal punto da essere in grado si colpire nel cuore della città, in un quartiere sciita, dove il presidente Ashraf Ghani avrebbe dovuto celebrare una festa nazionale due giorni dopo.

La creazione di basi in Afghanistan e il progetto di un mini-califfato in Africa occidentale, rappresentano una seria minaccia per l’Occidente.

A favorire nelle nostre nazioni nuove adesioni alle teorie jihadiste, il pregiudizio anti-musulmano alimentato a soli fini politici, che viene strumentalizzato dai terroristi che  hanno avviato una campagna di controinformazione semplificando e politicizzando la fede cristiana come origine degli estremismi ideologici alla base dei gruppi di destra.

Se a breve termine le politiche dell’odio potranno portare a qualche vantaggio politico e aiutare qualche elezione, il bigottismo di matrice religiosa, il fanatismo anti-musulmano (le cui conseguenze abbiamo visto con la nascita di gruppi di suprematisti bianchi e con le stragi compiute negli Stati Uniti) unitamente all’assenza di una politica realmente in grado di prevenire e combattere sia il fanatismo islamico, sia quello suprematista, saranno il detonatore per nuove esplosioni di violenza.

Sarebbe un grave considerare l’apparente pausa – durante un conflitto molto lungo – come fosse una vittoria. L’Isis, nonostante le plateali dichiarazioni di molti politici, a partire da Donald Trump, non è ancora sconfitto e l’ideologia che lo muove, non lo sarà certamente per chi sa quanti decenni ancora.

Gian J. Morici