Paolo Bellini e i “piani alti” dello Stato

E’ necessario, però, a questo punto, ancora prima di affrontare il tema delle risposte date da Riina alle sollecitazioni che gli pervennero tramite Vito Ciancimino, esaminare anche un’altra vicenda che in parallelo si svolse nella stessa estate del 1992.
Ci si intende riferire a quel tentativo di trattativa tra le cosche mafiose ed i Carabinieri portato avanti da Paolo Bellini, “un ambiguo personaggio legato ad ambienti dell’estrema destra eversiva” […]. Anche su tale vicenda è stata svolta un’intensa attività istruttoria di cui deve darsi conto, muovendo proprio dalle dichiarazioni rese dal Bellini.
[…] L’esame ha preso le mosse dall’avvio della collaborazione iniziata, prima, come testimone di giustizia affidato al Servizio centrale di protezione, e poi come collaboratore di giustizia, tra il 1999 ed il 2002 […]. Nell’ambito della detta collaborazione il Bellini ha riferito spontaneamente di
omicidi commessi per conto proprio e di omicidi commessi per la ‘ndrangheta, quale consigliere killer della ‘ndrina; questi ultimi omicidi sono stati commessi nel territorio di Reggio Emilia […].
Bellini ha chiarito, quindi, come era iniziata la sua appartenenza alla ‘ndrangheta, allorché, dopo un arresto subito a Firenze per un omicidio, si era trovato in cella, nel carcere di Prato, con tale Vasapollo Nicola, inserito in una “famiglia” di Cutro, Dragone, un clan calabrese, e che viveva a Reggio Emilia, avendo ivi anche parenti; il Vasapollo conosceva i trascorsi criminali del Bellini
e gli aveva chiesto uno scambio di favori, il Bellini avrebbe dovuto uccidere una persona per conto della ‘ndrangheta e questa avrebbe ucciso una persona per conto del Bellini […].
Indi, il Bellini ha raccontato dei periodi di latitanza trascorsi all’estero, in particolare in Brasile dove si era recato dopo un delitto grazie all’appoggio fornitogli da Avanguardia Nazionale e, in particolare, dalla sezione di Massa Carrara di Pietro Fioroni, che gli aveva procurato un passaporto falso per consentirgli l’espatrio, mentre, poi, in Brasile egli non aveva più avuto contatti con tale organizzazione ed aveva utilizzato documenti con una identità brasiliana ottenuti sfruttando una legge locale […].
Bellini ha riferito ancora più dettagliatamente dei suoi rapporti con Avanguardia Nazionale, fondata da Stefano delle Chiaie, che Belllini, però, non aveva mai conosciuto, avendo avuto contatti solo con la sezione di Massa Carrara […].
Bellini si è soffermato, a questo punto, sulla sua detenzione a Sciacca negli anni ’80 con il nome falso utilizzato in Brasile, ovvero Roberto Da Silva, fin dal primo arresto di Firenze per furto di opere d’arte […].
Bellini, quindi, ha riferito dei suoi rapporti con Antonino Gioè, da lui conosciuto in carcere a Sciacca nel periodo di detenzione tra il 1981 e il 1982, dopo il proprio trasferimento da Firenze […],
precisando che inizialmente anche il Gioè lo conosceva con l’identità falsa di Roberto Da Silva, ma che, poi, egli gli aveva comunicato la sua vera identità in occasione del trasferimento a Palermo […] ove già si trovava Gioé, che, peraltro, in quella occasione gli ebbe a dare l’impressione di essere già precedentemente a conoscenza di quel trasferimento […].
In particolare, egli aveva confidato al Gioè di essere italiano e questi gli aveva risposto che lo aveva già intuito, ma che per riservatezza non gli aveva chiesto niente […], mantenendo, da quel momento, i contatti col Gioé anche per via epistolare quando entrambi erano stati trasferiti in altri carceri […].
I contatti con Gioè, quando entrambi erano ormai liberi, erano ripresi nel 1991, forse dicembre, allorché Bellini si era recato in Sicilia per effettuare il recupero crediti o la gestione degli stessi per conto della propria azienda Finbelco e, dovendo, in particolare, recuperare due crediti, uno su Palermo e uno su Catania del notevole importo di circa tre miliardi di lire provenienti da forniture
dentistiche e non sapendo con quali soggetti si sarebbe dovuto confrontare in Sicilia, aveva pensato di contattare il Gioè per chiedergli informazioni sui debitori ed eventualmente un aiuto per quell’attività di recupero; pertanto, dopo essere sbarcato a Messina, nell’intento di recarsi ad Altofonte per rintracciare il Gioè di cui non aveva il numero di telefono, aveva preso l’autostrada per Catania e, il 6 dicembre 1991, si era fermato a dormire ad Enna nell’albergo principale, Hotel Sicilia, negando, nonostante le domande incalzanti del Pubblico Ministero, di avere avuto altre ragioni per raggiungere Palermo attraverso l’autostrada da Catania e per effettuare quella sosta ad Enna […].
Da Enna Bellini aveva telefonato a casa di Gioé e gli aveva risposto la moglie di quest’ultimo informandolo che il marito si trovava presso il distributore di carburanti da lui gestito […], ove forse lo aveva raggiunto il giorno dopo […] e gli aveva esposto le ragioni del suo viaggio […].
Tale versione dei fatti è stata ribadita dal Bellini nonostante le contestazioni del Pubblico Ministero che ha invitato più volte il teste a spiegare come mai si fosse recato in Sicilia senza preventivo contatto con i clienti e senza preventivo contatto con il Gioè, con il rischio quindi di fare un viaggio a vuoto […].
Bellini, poi, ha riferito dei suoi successivi viaggi in Sicilia ancora per incontrare  Gioé, ma, questa volta, per ragioni diverse relative ad una vicenda di droga ed al recupero di opere d’arte trafugate dal museo di Modena, che, poi, aveva avuto ben altri sviluppi […].
In particolare, Bellini ha, innanzitutto, ricordato di avere contattato Gioè probabilmente dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio […], poiché, precedentemente, sia l’Ispettore Procaccia della Polizia che conosceva da tempo, sia il M.llo Tempesta del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico che aveva conosciuto tramite un ricettatore di San Benedetto del Tronto, tale Agostino Valorani, lo avevano interpellato per il recupero delle opere d’arte rapinate qualche mese prima alla
Pinacoteca di Modena […].
Bellini ha riferito, quindi, che, manifestando il proprio sentimento di sconcerto per le stragi in cui avevano perso la vita Falcone e Borsellino, aveva proposto al M.llo Tempesta di infiltrarsi in “cosa nostra” […].
L’epoca di tale incontro è stato oggetto di specifica contestazione del P.M., a seguito della quale Bellini ha dichiarato che il riferimento alle elezioni politiche del 1992 che aveva fatto in occasione del suo esame del 29 novembre 1994 riguardava l’incontro con l’ispettore Procaccia (d’altra parte, facilmente databile in relazione ad un articolo apparso sui giornali emiliani, dallo stesso Bellini
sollecitato, relativo alla pubblicità del suo interessamento per il recupero delle opere d’arte della Pinacoteca di Modena) e non quello con il Maresciallo Tempesta, che, invece, doveva collocarsi o dopo entrambe le stragi o almeno dopo la strage di Capaci […].
Bellini ha anche raccontato che il M.llo Tempesta gli aveva fornito alcune fotografie raffiguranti opere d’arte rubate poste all’interno di una busta gialla intestata “Nucleo Tutela Patrimonio Artistico” o “Patrimonio Artistico” affinché egli potesse interessarsi al recupero attraverso i suoi contatti con mafiosi siciliani e veneti […].
Bellini ha, quindi, riferito di un successivo incontro col M.lIo Tempesta avvenuto, dopo che questi aveva parlato con il Col. Mori, in agosto a Roma presso un distributore di benzina sul raccordo anulare ove il Tempesta era arrivato a bordo di una autovettura Fiat Uno rossa turbo con un collega, che però era stato fatto allontanare durante il loro colloquio privato, e lo aveva informato
dell’autorizzazione data dal Col. Mori senza la quale egli non avrebbe proceduto nell’intento di infiltrarsi in “cosa nostra” […].
Bellini non ha saputo indicare quanto tempo fosse trascorso tra il primo incontro con il Tempesta ed il secondo presso l’autogrill […], ma ha ribadito che il M.llo Tempesta gli disse che il Col. Mori aveva autorizzato l’operazione […] e che per infiltrarsi avrebbe potuto sfruttare la vicenda del furto delle opere della Pinacoteca, pur raccomandandogli di non prendere con i mafiosi impegni che poi non si sarebbero potuto rispettare e chiedendogli, nella occasione, se egli faceva parte dei servizi segreti […].
Bellini ha aggiunto che ad Antonino Gioè, non potendo dire che la vicenda del recupero delle opere d’arte interessava i Carabinieri, sfruttando il timbro del Ministero dei Beni Culturali apposto sulla busta gialla contenente le fotografie, aveva detto che la richiesta di informazioni ed il recupero delle opere interessava sia i politici locali di Modena, sia, su contestazione del P.M., il Ministero dei Beni Culturali […], negando, però, di avere fatto al Gioè il nome di Spadolini, che peraltro non conosceva, perché sarebbe stato un’arma a doppio taglio qualora fosse stato richiesto in cambio proprio qualche favore da realizzare attraverso l’intervento di quel politico […].
Nel secondo incontro, invece, Gioè gli aveva consegnato un foglio con alcuni nomi di soggetti ai quali far avere gli arresti domiciliari o ospedali eri, che egli non conosceva, ma che avevano allarmato il M.llo Tempesta quando gli aveva consegnato quel biglietto per farlo avere al Col. Mori […]. Bellini, poi, su suggerimento del M.llo Tempesta, al fine di mantenere aperto quel canale di contatto, aveva detto al Gioé che, forse, soltanto per uno o due di quei nomi si poteva vedere di ottenere gli arresti domiciliari […], anche perché lo stesso Gioè non gli aveva proposto la cosa in termini assoluti […].
Bellini ha, altresì, raccontato che anche Gioè, non ricorda se nel secondo o terzo incontro, gli aveva consegnato alcune fotografie di opere d’arte, che avrebbero potuto recuperare, diverse da quelle rapinate a Modena e che egli aveva consegnato al M.llo Tempesta […], precisando, poi, che si trattava di quadri rubati in Sicilia […] e che, d’altra parte, lo stesso Gioè era in possesso di opere d’arte,tra cui un trittico di particolare valore, detenute presso una sua casa ancora in costruzione, che gli aveva mostrato […].
Bellini ha detto di non ha ricordare, però, ove aveva incontrato il M.llo Tempesta per consegnargli il bigliettino con i nomi e la busta con le fotografie delle opere d’arte che aveva ricevuto da Gioè […].
Ancora Bellini ha ribadito che il M.llo Tempesta non intendeva far da referente e che per tale ragione gli aveva rappresentato che sarebbe stato contattato da qualcuno del ROS, anche se sino a quel momento ciò non era avvenuto […], avendo già parlato con il Col. Mori […] e per tale ragione
invitandolo a mantenere aperto il canale con i mafiosi[…].
Bellini, poi, ha ricordato che tale incontro presso la cava era avvenuto dopo che egli aveva riportato al Gioé la risposta parzialmente negativa del Tempesta sui cinque nomi contenuti nel biglietto e che, proprio in occasione dell’incontro presso la cava, Gioè si era lamentato della poca serietà dei suoi interlocutori istituzionali ed aveva fatto un cenno ad un possibile attentato ai
danni della Torre di Pisa (“lo mi ricordo che gli ho dato la risposta per quel che mi avevano detto, cioè che non si poteva, praticamente, per tutte queste persone, che però forse, sempre questo forse, suggeritomi tra l’altro da Tempesta, si poteva vedere per una forma più leggera ospedaliera, per uno o due di quei nominativi. Tutto qua. Si è preso atto, poi non se ne parlò più. Poi ci fu cava
Buttidda dove Gioè mi disse che quella gente non era gente seria, che comunque così, “che ne direste se un giorno scomparisse la Torre di Pisa” e non su sollecitazioni mie, ma parole sue, testuali, verbali, che io poi ho riferito subito al maresciallo Tempesta”), sollecitando il suo parere […]. Ancora ai fini della collocazione temporale di tale incontro Bellini ha riferito che subito dopo egli aveva telefonato al Ministero dei Beni Culturali per rintracciare il M.llo Tempesta, presentandosi a chi gli aveva risposto con il solito pseudonimo di “Aquila Selvaggia” […].
[…] In proposito, dopo esplicita contestazione, il Bellini ha confermato quanto già dichiarato al P.M. di Firenze il 7 giugno 1997 […], pur non riuscendo a collocare con certezza nel tempo l’occasione in cui aveva avuto quel colloquio con Gioé […] anche se, d’altra parte, negli ultimi mesi del 1992 il discorso sull’ipotizzato scambio tra opere d’arte e arresti ospedalieri per qualche esponente mafioso si era, di fatto, ormai concluso, a dire del Gioé, per la poca serietà degli interlocutori istituzionali […] e non per l’instaurarsi di altra trattativa con i “piani alti” dello Stato […].
La circostanza che di tale trattativa con i “piani alti” dello Stato fosse stata riferita dal Bellini per la prima volta soltanto quando era stato esaminato in sede di udienza preliminare è stata, quindi, oggetto di contestazione da parte del P.M. […] ed in tale contesto Bellini ha riferito che, però, della questione aveva già parlato con un giornalista dopo una deposizione di Brusca a Firenze ed in tale occasione Bellini aveva suggerito al giornalista di chiedere a Brusca della seconda trattativa di cui egli aveva appreso dal Gioé, come risultava dagli articoli di stampa pubblicati da quel giornalista […].
[…] Bellini ha ricordato, quindi, di essere rientrato dal Portogallo intorno a giugno 1993 e che dopo qualche giorno era stato arrestato […]. Il Bellini, inoltre, ha riferito di avere appreso dalla stampa della lettera lasciata dal Gioè e che nella stessa veniva fatto il suo nome […] e che il Gioé si era sbagliato nell’indicarlo come creditore, essendo egli debitore del Gioè […], mentre il fratello citato dal Gioè doveva essere verosimilmente la persona che si era presentata ai familiari del Bellini […].
Ancora riguardo a quella lettera, Bellini ha confermato di avere effettivamente svolto un ruolo da infiltrato […] e che la conoscenza della verità attribuitagli dal Gioé doveva riferirsi a ciò che, infine, egli stava raccontando a proposito della seconda trattativa […].
Bellini, invece, ha dichiarato di ignorare chi fosse quel Domenico Papalia citato dal Gioè, pur non escludendo di averlo potuto conoscere durante qualche detenzione carceraria (“non ho mai parlato con Antonino Gioè di boss della ‘Ndrangheta, lui non sapeva che io facevo parte di ‘ndrina, non conosco persone che potessero essere in contatto della ‘Ndrangheta con Antonino Gioè […]”).
Bellini, poi, ha riferito di un colloquio avuto con Gioé a proposito dell’omicidio Lima allorché il predetto gli aveva detto che con l’uccisione di Lima si erano raggiunti due risultati, quello di eliminare chi non aveva rispettato i patti a Roma in relazione al maxi-processo e quello di mandare un messaggio a Giulio Andreotti […].
Quanto a nuovi referenti politici a cui eventualmente aveva fatto riferimento il Gioè, il Bellini ha chiarito che questi gli aveva parlato dell’aiuto dato al Partito Socialista durante le elezioni e dei collegamenti con la massoneria di Trapani […].
Bellini, quindi, ha detto di non ricordare di avere mai parlato con Gioè della strage di via D’Amelio, anche se, dopo tale strage, aveva notato che Gioè appariva cambiato, molto nervoso, agitato e temeva di morire in un conflitto a fuoco o in carcere […].
Quanto alla sigla Falange Armata, Bellini ha riferito di averne sentito parlare soltanto sulla stampa, non ricordando se ne avesse parlato con Gioè […] e ignorando, comunque, se tale organizzazione sia
effettivamente esistente […].
[…] Bellini ha ribadito ancora che era stato Gioè a ipotizzare attentati verso monumenti (“lo non ho mai avanzato di queste cose, fu Antonino Gioè che mi disse molto stizzito… innanzitutto bisogna precisare che era il momento in cui, secondo loro, non c’era la possibilità di una trattativa reale, e lui mi disse: “Quella è gente che non è seria “, riferita a quelli che io … chi praticamente mi mandava per fare il recupero delle opere. E lui mi proferì proprio la frase precisa “Che ne diresti se un giorno scomparisse o saltasse o si sgretolasse la Torre di Pisa? “, fu lui, non fu io certamente”) e che, quando, dopo le stragi, egli aveva proposto al M.llo Tempesta di infiltrarsi in “cosa nostra” quest’ultimo gli aveva detto che ne avrebbe dovuto parlare con il Col. Mori […].
[…] Bellini, poi, ha detto di non avere mai conosciuto Giovanni Brusca e di non sapere cosa dichiarato dal predetto a proposito del “papello”, pur non escludendo di avere letto qualche notizie di stampa sul punto […].
Ancora, Bellini ha ricordato che, sia pure genericamente, Gioè gli aveva riferito di una trattativa che loro stavano conducendo con americani forse parenti di Riina […] di cui aveva già fatto cenno nel medesimo verbale del 20 novembre 2011 […].
Sul motivo per quale il riferimento alla trattativa con i piani alti sia stato fatto dal Bellini solo nei verbali dell ‘anno 200 l resi innanzi al Dott. Ingroia ed invece non ne abbia parlato nei precedenti interrogatori innanzi ad altre autorità, Bellini ha risposto che tali specifiche domande gli sono state poste in quella sede per la prima volta e che, comunque, vi era anche una ragione di prudenza come per la vicenda del Carabiniere […], precisando, poi, che della trattativa con i “piani alti” e del filone americano aveva parlato con il Gioè in occasioni diverse […], avendo fatto diversi viaggi in Sicilia e avendo parlato con il Gioè di tante cose, compresi problemi personali e familiari, nel 1992 […].
[…] Bellini ha detto, poi, di avere saputo di alcuni viaggi in Inghilterra del Gioé […].
* * *
[…] Successivamente, invece, all’udienza del 17 aprile 2014, col consenso delle parti, sono state, altresì, acquisite le seguenti quattro informative di P.G. Relative ad attività di ricerca di riscontri alle dichiarazioni del Bellini prodotte dal P.M. alla precedente udienza del 10 aprile 2014.
In particolare, l’informativa della Questura di Firenze – D.LG.O.S. in data 7 aprile 1994 con relativi allegati, dalla quale risulta, tra l’altro, che: – sono state accertate due presenze Di Bellini Paolo presso il Motel Agip di Palermo, la prima il 6 agosto 1992 e la seconda il 30 dicembre 1992, in entrambi i casi da solo;
– è stato accertato che il Bellini, ancora da solo, ha soggiornato presso l’Hotel Sicilia di Enna il giorno 6 dicembre 1991, contestualmente alla presenza di Giammanco Vincenzo (nato a Palermo il 24 ottobre 1956) e di Inguì Francesco (nato a Marineo il 15 ottobre 1952);
– il Bellini ha soggiornato presso l’Hotel Calura di Cefalù l’ 11 luglio 1992 ed è stato accertato che “nello stesso contesto temporale” ha soggiornato presso l’Hotel Baia del Capitano di Cefalù “l’estremista di destra Coletti Duilio”, mentre presso I ‘Hotel Calura hanno soggiornato il 27 luglio 1992 Maiorana Alberto e il 30 luglio 1992 Cacciola Biagio Renato, “entrambi con precedenti
per reati di natura eversiva”.
L’informativa della D.I.A. n. 125/RM3°SETT/H2-24/4746 in data 7 giugno 1996, alla quale è allegata, innanzi tutto, una scheda “biografico-criminale di Bellini”, dalla quale, tra l’altro, risulta:
– che il nominativo del predetto era emerso perché citato da Gioé Antonino nello scritto redatto in occasione del suo suicidio il 29 luglio 1993 ed il medesimo era stato, poi, identificato su indicazione di La Barbera Gioacchino;
– che Bellini era “segnalato come pluripregiudicato e pericoloso estremista di destra militante prima nel Fronte della Gioventù e poi ad Avanguardia Nazionale”, che “nel 1977 aveva iniziato la sua latitanza fuggendo in Brasile ave aveva assunto il nome di Roberto Da Silva”, rientrando in Italia il 16 giugno 1977; […].

Gli elementi probatori raccolti non hanno sicuramente consentito una compiuta ricostruzione dell’intera vicenda emersa a seguito delle dichiarazioni rese da Paolo Bellini e ciò, da un lato, per i contrasti su alcuni punti (anche non secondari) di tali dichiarazioni con quelle del teste Tempesta, e, dall’altro, per i contrasti tra queste ultime dichiarazioni e quelle, rimaste senza contraddittorio,
dell’imputato Mori.
A ciò si aggiunga che le conoscenze dei collaboratori di Giustizia sopra ricordati sono tutte necessariamente parziali, perché l’unico altro vero protagonista della vicenda è stato Antonino Gioé, che, però, si è suicidato prima di potere essere interrogato (anche) su tali fatti.
In ogni caso, però, la rilevanza di tale vicenda in questo processo è alquanto limitata perché, per quanto è emerso, del tutto parallela e non collegata alla vicenda della “trattativa” sollecitata attraverso Vito Ciancimino e, soprattutto, a differenza di questa, priva di concreto sbocco.
Tuttavia alcuni spunti di quanto emerso riguardo alla “vicenda Bellini” sono utili a comprendere meglio ciò che in parallelo avveniva riguardo ai fatti più propriamente oggetto di questo processo.
Sul fronte di “cosa nostra” v’è, innanzitutto, la conferma che in quella fase (estate del 1992) Riina aveva deciso di aprire alle sollecitazioni che da più parte gli provenivano (o che, quanto meno, gli apparivano provenire) per metterle a frutto ed ottenere benefici per l’organizzazione mafiosa da lui guidata che gli avrebbero, tra l’altro, consentito di riacquistare il prestigio interno intaccato dalla conclusione per lui negativa del “maxi processo” e di riaffermare anche nei confronti dello Stato il potere che per molti decenni (sino ai primi anni ottanta) “cosa nostra” aveva esercitato incontrastata.
Si è visto sopra, infatti, che l’iniziativa partita dal Bellini e la proposta di operare per ottenere benefici per importanti esponenti dell’associazione mafiosa anche particolarmente vicini ai “corleonesi” fu portata direttamente alla conoscenza di Riina e Bagarella da Brusca e che Riina autorizzò l’eventuale “scambio” tra quei benefici e la riconsegna di opere d’arte per il cui recupero si adoperò.
V’è da dire che si trattava di un canale, comunque, diverso da quello apertosi con l’approccio di De Donno con Vito Ciancimino, dal momento che, per quanto emerso, né Brusca e, quindi, né Riina ebbero a sapere che il M.llo Tempesta si era rivolto, o aveva intenzione di rivolgersi, al Col. Mori.
Tutti i collaboranti esaminati hanno confermato che, appunto, si trattava di due canali di “trattativa” del tutto diversi, anche se certo non può essere dubbio che il canale Bellini, per quanto sicuramente secondario e del tutto ipotetico rispetto a quello principale certamente più autorevole per la caratura di Vito Ciancimino, abbia confermato nel Riina l’intendimento delle Istituzioni di venire a patti con
lui (“si sono fatti sotto”).
Sul fronte opposto v’è la conferma, anche in questo caso, di una condotta non soltanto “opaca”, ma addirittura contra legem, del Col. Mori, il quale, infatti, pur promettendo al M.llo Tempesta che si sarebbe attivato per approfondire l’iniziativa del Bellini, ebbe ad evitare, come nel caso dei contatti con Vito Ciancimino, di lasciare qualsiasi traccia documentale, sia dissuadendo il M.llo Tempesta dal redigere una relazione di servizio[…], condotta che vanifica il tentativo della difesa dell’imputato Mori di “scaricare” sul Tempesta la relativa omissione […], sia, soprattutto, trattenendo per sé un documento che certamente costituiva “corpo di reato”.
Ci si intende riferire a quel bigliettino con annotati i nomi dei mafiosi detenuti oggetto della richiesta di benefici penitenziari, che, secondo Bellini, era stato redatto di proprio pugno da Gioé […] e che il M.llo Tempesta ha riferito di avere consegnato al Col. Mori (sul punto, come si è già detto sopra, la testimonianza del M.llo Tempesta è confortata da quanto quest’ultimo ebbe allora a riferire a Bellini secondo quanto questi ha, a sua volta, raccontato: “… un biglietto ……. ….. che io ho consegnato al maresciallo Tempesta, il quale mi ha detto che l ‘aveva consegnato al colonnello Mori…”).
Peraltro, la consegna di tale bigliettino a Mori è stata riferita da quest’ultimo già con la testimonianza che ebbe a rendere dinanzi alla Corte di Assise di Firenze il 7 giugno 1997 nel procedimento n. 12/96 R.G. a carico di Bagarella ed altri […] e poi ancora confermata con le dichiarazioni spontanee rese dal medesimo imputato in questo processo il 26 giugno 2014[…] e, quindi, riconosciuta anche dalla sua difesa in sede di discussione (v. ancora trascrizione discussione all’udienza del 9 marzo 2018).
Eppure, il Col. Mori, pur trattenendo a sé quel biglietto manoscritto o, comunque, non conservandolo […] ha omesso, oltre che di sequestrare un documento costituente corpo del reato, sia di informare l’Autorità Giudiziaria, sia, comunque, di svolgere qualsiasi indagine, certamente doverosa, diretta a individuare l’autore di quello scritto e, quindi, i soggetti (Gioé e coloro
che lo supportavano in quell’iniziativa) partecipi dell’associazione mafiosa “cosa nostra” nel cui interesse quel medesimo biglietto era stato redatto e consegnato al Bellini.
Ed è appena il caso di osservare che, di certo, una simile indagine non poteva di certo apparire impossibile (ancor meno ad un navigato ed esperto investigatore qual era già all’epoca il Col. Mori), non essendo ovviamente difficile (ove anche non si fosse voluto utilizzare la collaborazione offerta dal Bellini) seguire i movimenti del Bellini medesimo per individuare il suo contatto con gli ambienti mafiosi ed eventualmente, a quel punto, identificare l’autore dello scritto mediante accertamento grafico, fatto che, peraltro, non è secondario rilevarlo, avrebbe consentito di disarticolare già nell’estate del 1992 una delle “famiglie” mafiose (quella di Altofonte) più vicine e fedeli ai “corleonesi”, partecipe di efferati crimini già compiuti (la strage di Capaci) e di ulteriori progetti criminosi già allora in cantiere (basti pensare al progettato attentato al Dott. Grasso poi
non portato a termine, nell’autunno del 1992, soltanto per difficoltà tecniche: v.
dichiarazioni di Gioacchino La Barbera).
[…] Ora, in assenza di qualsiasi spiegazione da parte dell’interessato [Mori ndr.] (che non può
essere certo quella dell’impraticabilità della richiesta veicolata dal Bellini, né la personalità di quest’ultimo in assenza di qualsiasi indagine finalizzata a verificare se questi avesse o meno effettivamente millantato i contatti con esponenti mafiosi), è inevitabile ritenere che il Col. Mori, a costo di violare i suoi più elementari doveri (persino, come si dirà meglio più avanti, il sequestro
di un “corpo di reato” assimilabile ad un “mini papello” di richieste di provenienza mafiosa e ciò in palese contrasto con quanto dallo stesso affermato per negare di essere stato mai in possesso dell’altro “papello”, allorché, infatti, ha dichiarato dinanzi alla Corte di Assise di Firenze che tale documento “non è mai passato per le mie mani, perché altrimenti sarebbe agli atti in qualche Procura”), non abbia voluto che la vicenda interferisse con quel tentativo già in corso (il 25 agosto 1992, data dell ‘incontro del Col. Mori con il M.llo Tempesta, vi erano stati numerosi incontri di De Donno con Vito Ciancimino ed almeno un incontro del Col. Mori col medesimo Vito Ciancimino secondo quanto riferito dagli stessi imputati) di interloquire con i vertici dell’associazione mafiosa che evidentemente si prospettava fruttuoso e che sarebbe stato inevitabilmente interrotto da una azione investigativa diretta a colpire coloro che, sia pure attraverso una diversa via, si ponevano nel solco della “trattativa” con le Istituzioni.
In sostanza ed in conclusione, dalla “vicenda Bellini” si ricavano, oltre che alcune considerazioni sulla condotta dell’imputato Mori che, come detto, saranno successivamente sviluppate esaminando più specificamente la posizione del predetto […], anche la conferma del mutamento della situazione di contrapposizione allo Stato da parte dell’organizzazione mafiosa “cosa nostra” che precedentemente si era cristallizzata con la strage di Capaci e, conseguentemente, dell’intendimento di Riina di accettare le richieste di dialogo che via via gli pervenivano ad iniziare da quella, più concreta e riscontrata, veicolatagli da Vito Ciancimino.

 

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