I due “partiti” mafiosi dopo le stragi

Si è già visto che Salvatore Riina fu, di fatto, il vero artefice di tutte le decisioni strategiche assunte da “cosa nostra” riguardo alle risposte ed alle reazioni da opporre al grave colpo subito dalle cosche mafiose per effetto delle condanne inflitte all’esito del “maxi processo” (v. sopra Capitolo 2 di questa Terza Parte della sentenza).
Certo, tutte le decisioni, come pure si è visto sopra, venivano comunicate nelle riunioni degli organi di vertice dell’associazione mafiosa e, quindi, da questi ratificate e fatte proprie, ma spesso nel silenzio dei presenti che non avevano il coraggio – né la forza – di opporsi al volere di colui che, dopo la seconda guerra di mafia dei primi anni ottanta, aveva, di fatto, assunto, inizialmente con il suo alter ego corleonese Bernardo Provenzano e poi progressivamente in modo sempre più autonomo ed egemonico, l’effettiva direzione dell’associazione mafiosa (si vedano, in proposito, anche le intercettazioni dei colloqui in carcere di Salvatore Riina di cui si dirà approfonditamente nella Parte Quinta della sentenza, Capitolo 1).
Al volere del Riina, dunque, soprattutto, devono essere ricondotti sia la contrapposizione stragista allo Stato, sia, dopo la strage di Capaci, l’almeno apparente disponibilità al dialogo finalizzata ad ottenere benefici per gli associati mafiosi, accompagnata, però, pur sempre da ulteriori manifestazioni di forza che potessero indurre lo Stato a cedere alle sue richieste.
In tale ottica, e anche di ciò si è detto sopra nel Capitolo 4 di questa Terza Parte della sentenza, si inquadra la strage di via D’Amelio, ma non solo.
Pur “accettando la trattativa” (v. sopra Capitoli 5-9), infatti, Riina, per evitare che la stessa si arenasse, continua nella sua strategia di attacco allo Stato, cui vanno ricondotti, oltre che la strage di via D’Amelio di cui si è detto, anche il tentato omicidio del Commissario Calogero Germanà nel luglio 1992 […] e l’uccisione di Ignazio Salvo nel settembre 1992 (v. sentenze in atti), oltre che alcuni progetti omicidiari dell’autunno 1992 per varie evenienze fortunatamente non portati a termine (tra questi soprattutto quelli ai danni del Dott. Pietro Grasso e, dopo la sospensione del primo progetto del luglio 1992, ancora dell’On. Calogero Mannino di cui hanno riferito, anche in
questo dibattimento, alcuni di coloro che ne furono incaricati, successivamente divenuti collaboratori di Giustizia […]).
La spirale senza prevedibile fine della violenta reazione voluta da Salvatore Riina, unitamente alla conseguenze negative che in quel momento si erano manifestate soprattutto con l’irrigidimento delle condizioni carcerarie dei detenuti di “cosa nostra” (tale questione sarà oggetto di successivo specifico esame in successivi Capitoli), aveva determinato in una parte di “cosa nostra”
malcontento e disapprovazione per quella strategia, che, tuttavia, non aveva trovato alcuno sbocco in aperte manifestazioni di dissenso sino all’arresto di Riina per timore delle usuali violente reazioni che questi, come da molti riferito anche in questo dibattimento, non disdegnava certo di adottare, non soltanto nei confronti di coloro che gli erano “nemici”, ma persino nei confronti di coloro
che pure gli manifestavano amicizia se solo avessero osato dissentire dal suo volere.
Soltanto dopo l’arresto di Riina, dunque, v’è un chiaro ed aperto confronto tra due opposte fazioni interne a “cosa nostra” per decidere quale strategia portare avanti e cioè se proseguire nell ‘attacco frontale allo Stato sino a che questo, piegandosi, non avesse accolto le condizioni poste da Riina (v. sopra Capitolo 12) così ribadendo la supremazia di “cosa nostra”, ovvero adottare la diversa
strategia della “sommersione”, in attesa che la reazione dello Stato si attenuasse, di modo da riprendere le “ordinarie” attività e la convivenza (rectius, connivenza) che avrebbero consentito il più tranquillo protrarsi degli affari illeciti propri dell’associazione mafiosa (traffico di stupefacenti, estorsioni, accaparramento di lavori e fondi pubblici e così via).
Nel dibattimento sono state acquisite, in proposito, molteplici e concordi fonti di prova di cui si dirà qui di seguito […].
[…] Tra le dette fonti di prova acquisite nel corso del dibattimento si vuole qui iniziare proprio dalle dichiarazioni rese da Giovanni Brusca, perché queste, come già sopra accennato, grazie ad un inatteso, imprevedibile e straordinario riscontro per bocca direttamente di Salvatore Riina, assurgono già da sole a piena prova dei fatti oggetto del presente Capitolo.
Ma è bene muovere da ciò che Brusca ha raccontato riguardo alle dinamiche interne a “cosa nostra” successive all’arresto di Salvatore Riina.
Ebbene, nel corso del suo esame nelle udienze dell’11 e 12 dicembre 2013 Brusca, in sintesi, ha riferito:
– che dopo il suo arresto, Riina gli fece comunicare, per il tramite del figlio Giovanni, la volontà di proseguire nella strategia stragista (“…l’unico messaggio da parte di Totò Riina, con il figlio Giovanni, di continuare nelle stragi, no gli attentati, Magistrati e politici locali”);
– che, però, già poco dopo l’arresto di Riina, v’era stata una prima riunione di esponenti dell’associazione mafiosa per decidere il da farsi ed in tale occasione Raffaele Ganci aveva mosso critiche all’operato del Riina medesimo e successivamente aveva riferito a Giuseppe Graviano che anche Brusca, che, invece, era rimasto semplicemente silente, condivideva tali critiche (“Allora, nell’immediato, come avevo accennato stamattina, la prima riunione che io faccio la faccio con Raffaele Ganci, Biondino, Biondo Salvatore “il Corto”, Cancemi Salvatore e Angelo La Barbera che io non avevo mai visto nelle fasi esecutive, attenzione, quando si stabiliva il da farsi. Quindi io in quella fase mi limito solo ad ascoltare e il primo che rinnega l’operato di Totò Riina e lo critica in maniera molto… non dice parole, però che non condivideva la sostanza, gli effetti o quello che stava facendo, fu Raffàele Ganci, dice: “Ormai quello che abbiamo fatto fatto, sbagliato o giusto non lo so, però ci dobbiamo calmare”. Quindi il primo che si defila dal progetto di andare avanti, quelle che erano le indicazioni di Riina. Queste parole che io solo li ascolto, Raffaele Ganci li tramuta, li trasferisce a Giuseppe Graviano dicendo che io ero d’accordo a questa fase di stallo ed io … “), tanto che, poi, egli aveva dovuto spiegare a Bagarella, che per quel comportamento silente lo aveva rimproverato, che non era intervenuto in quella occasione per ragioni di prudenza, ma che condivideva la volontà del medesimo Bagarella di portare avanti la strategia stragista (“…Bagarella è venuto da me rimproverandomi, dice: “Ma tu, come, ti sei ritirato indietro in questa strategia?” Ci dissi: “No, io non mi sono ritirato indietro, se facciamo un confronto, chi sbaglia paga, io mi sono limitato ad ascoltare, non ho parlato perché c’era Angelo La Barbera e non sapevo se sapeva, se non sapeva, cosa gli avevano detto, io prima di avventurarmi su fatti che non mi riguardano ci vado un po’ cauto, quindi facciamo un confronto che io non intendo … cinque minuti nella fase più convincente di andare avanti quella che era la strategia di Totò Riina”);
– che, nel frattempo, sempre a seguito dell’arresto di Riina, v’era stata una riunione della “famiglia” mafiosa di Corleone nella quale Bagarella aveva offerto a Provenzano di prendere il posto di Riina purché concordasse con lui (Bagarella) qualsiasi decisione così come prima Riina concordava il da farsi con lo stesso Provenzano (” ….. Allora, io ho saputo che avevano avuto, al solito loro, dopo l’arresto di Riina, una riunione della famiglia di Corleone per stabilire chi doveva prendere il posto di Totò Riina. Allora per rispetto e per garanzia Bagarella ha detto: “Lo prendi tu, Bernardo Provenzano, però, al solito, prima che tu prendi impegni con chicchessia devi concordare con me “.
Cioè, prima Riina-Provenzano, ora Provenzano-Bagarella”);
– che successivamente, dopo la riunione che Brusca aveva fatto con Raffaele Ganci e gli altri e il conseguente chiarimento che il medesimo Brusca aveva avuto con Bagarella, entrambi questi ultimi si erano recati a incontrare Bernardo Provenzano per decidere sulla prosecuzione della strategia stragi sta (“… Era successo che nel frattempo, dopo l’arresto di Riina io faccio un ‘altra riunione con Raffaele Ganci, Angelo La Barbera, Raffaele Ganci e Angelo La Barbera … … .. Dopo questa riunione, che poi vi spiego il motivo, a causa di … in base a questa discussione, questa con Provenzano fu oggetto di discussione tra me e Bagarella, dopodiché siamo andati da Provenzano per stabilire la strategia stragista, se continuare o meno con quello che stava portando avanti Totò
Riina. Bernardo Provenzano pensava che lui aveva preso non solo il mandamento di Corleone, ma pensava di essere diventato il capo provincia, aveva in sostanza preso il ruolo di Salvatore Riina”) e, quindi, ad informarlo che avevano deciso di portare avanti tale strategia per far sì che coloro che già
“si erano fatti sotto” con Riina, tornassero a trattare (“…Allora proprio io gli ho detto … ci dissi: “Guardi, ci sono persone che sono venute … si sono fatte sotto, quindi noi vorremmo portare questa cosa avanti affinché questi tornano”. Bagarella e lui non è che mi hanno risposto e hanno detto: “Ah, sì?” Provenzano, Bagarella mi asseconda e dice: “Noi vogliamo andare” a questa strategia stragista ancora da stabilire gli obiettivi e via dicendo”);
– che allora Provenzano aveva manifestato apertamente il proprio disappunto dicendo che non avrebbe saputo come giustificarsi con gli altri esponenti mafiosi a lui vicini che già si erano detti contrari a proseguire nella strategia di Riina, ma, poi, di fronte all’attacco anche canzonatorio e provocatorio di Bagarella che, per il tono, aveva sorpreso lo stesso Brusca, il Provenzano non
aveva avuto la forza di opporsi al volere di Bagarella (“[…] Provenzano, come ho
detto poco fa, quando abbiamo avuto quel confronto dopo l’arresto… … …. … subisce, subisce la volontà di Bagarella e di tutto il resto. Però non è che era allo scuro, sapeva quello che stavamo facendo … …… Sono stato io per primo a parlare del cosiddetto … che si sono fatti sotto. È avvenuto a Belmonte Mezzagno, oggetto poi di sopralluogo con le Forze di Polizia, con la DIA, che li ho individuati, quindi è stato individuato e trovato, credo che siamo febbraio, marzo, dopo l’arresto di Riina … …. … Che Bernardo Provenzano non era d’accordo con la strategia stragista, quella portata avanti da Totò Riina, al solito suo voleva fare le cose, ma sempre in modo con effetti meno… meno … Non mi viene la parola, meno … … …. Eclatanti, dimostrativi e andare avanti. Invece Bagarella dice: “No, noi andiamo avanti, non facciamo niente in Sicilia, però al nord possiamo fare quello che vogliamo e tu ti metti il cartello e ci scrivi «lo non so niente»”…. …. … Ma totale provocazione e un. per dire: “Sei miserabile “, in sostanza, dice: “Noi andiamo avanti, tu al solito tuo”, tutte e due le cose”);
– che, in tale contesto, fu deciso dallo stesso Brusca, da Bagarella e da Messina Denaro di spostare il luogo degli attentati al di fuori dalla Sicilia […];
– che, comunque, la finalità degli attentati nel continente era sempre quella di indurre i politici a trattare sulle richieste di Riina (“Era la finalità a far ritornare questi… appunto questi attentati al nord sono tutti finalizzati a fare tornare questi a trattare. Questi contatti che aveva avuto Riina … …. … che si erano bloccati. a un dato punto dice: “Sono assai”, poi non ha avuto modo di potere specificare. Con Riina erano assai e cioè qualche cosa gliela potevano dare, poi non so gli sviluppi dove sono arrivati, so solo che con Bagarella, con Provenzano prima e con Bagarella dopo questi attentati erano per fare riaprire questo dialogo. Costringere chi era di competenza a o trovare un altro soggetto o andare a trovare a Totò Riina in carcere, un po’ come ai tempi della guerra …
tra le Seconda Guerra Mondiale”);
[…]
* * *
Orbene, come si è già anticipato, il racconto del Brusca ha trovato un inatteso, imprevedibile e straordinario riscontro riguardo al dissenso di Provenzano sulla decisione di proseguire la strategia stragista anche dopo l’arresto di Riina proprio nelle parole di quest’ultimo intercettate il 18 agosto 2013 all’interno del carcere nel quale era detenuto.
[…] In proposito, a prescindere dagli altri molteplici elementi che ne confermano genuinità, può già anticiparsi che anche il passo dell’intercettazione qui in esame costituisce da solo una incontestabile ed insuperabile conferma, poiché, Riina, nel raccontare al suo interlocutore l’episodio che di seguito sarà ricordato e soprattutto quello specifico particolare di cui si dirà, non poteva di certo sapere – e prevedere – che tale particolare sarebbe stato, poi, raccontato anche da Brusca nel successivo dicembre di quell’anno in questo dibattimento e ove, invece, fosse stato a conoscenza dell’analoga dichiarazione già precedentemente resa dal Brusca in altre occasioni, giammai, evidentemente, avrebbe volutamente e falsamente confermato una circostanza riferita dal predetto collaborante che il Riina ha sempre avversato, tanto da definirlo nelle stesse intercettazioni un “pallista”.
E, nel contempo, poiché quando Brusca ha raccontato a sua volta il medesimo particolare della vicenda non era ancora noto il contenuto delle intercettazioni di Riina, l’intercettazione costituisce un incontestabile riscontro della attendibilità del Brusca medesimo che fa assurgere la sua propalazione sul fatto qui in esame al rango di piena prova senza necessità di ricercare ulteriori riscontri (che pure, però, vi sono, come si vedrà esaminando le dichiarazioni di altri collaboratori di
Giustizia) e ciò tanto più se si considera che, come risulta dalla sentenza in atti della Corte di Assise di Firenze del 6 giugno 1998, Brusca ebbe a raccontare l’episodio di cui si dirà (sia pure con qualche oscillazione sul fatto di essere stato presente al colloquio tra Bagarella e Provenzano) non soltanto in quel processo, ma addirittura sin dagli interrogatori dell’ Il agosto 1996 e del 10 settembre
1996 e, quindi, sin dall’inizio della sua collaborazione con la Giustizia.
Ci si intende qui riferire soprattutto a quel passo delle dichiarazioni di Brusca nel quale riferisce la reazione canzonatoria e provocatoria di Bagarella al tentativo di Provenzano di prendere le distanze, insieme ai suoi alleati con i quali altrimenti non avrebbe saputo come giustificarsi, dalla decisione comunicatagli dallo stesso Bagarella e da Brusca di proseguire nella strategia stragista.
Ebbene, a fronte della titubanza manifestata da Provenzano[…] ed all’imbarazzo di questi per le spiegazioni che avrebbe dovuto dare, appunto, ai suoi alleati, Bagarella, secondo quanto raccontato da Brusca, ebbe ad apostrofare Provenzano dicendogli “Ti metti un cartellone così, prendi un
pennello e gli scrivi: «lo non so niente»”[…].
Ebbene, balza del tutto evidente l’assoluta coincidenza di tale racconto del Brusca con quel passo di un’intercettazione effettuata all’interno del carcere nel quale era detenuto Riina, allorché quest’ultimo, a sua volta, racconta al suo interlocutore le perplessità che Provenzano aveva manifestato sulla strategia stragista.
Riina, infatti, ad un certo punto racconta di avere invitato il Provenzano a mettersi un cartellino al collo con la scritta “io non ne so niente” (v. intercettazione del 18 agosto 2013[…]).
E’ appena il caso di evidenziare che, ovviamente, Riina in quel momento era detenuto e, quindi, non aveva colloqui diretti con Provenzano, ma ciò non era certamente d’ostacolo per veicolare i suoi voleri attraverso i familiari che andavano al colloquio in carcere con lui, prima fra tutti la moglie Antonietta Bagarella, che, essendo sorella di Leoluca Bagarella, non aveva di certo alcuna
difficoltà a comunicare al fratello il volere del marito.
Ed, infatti, è proprio Leoluca Bagarella che, evidentemente facendo le veci del cognato detenuto, apostrofa Provenzano esattamente con quella frase pronunziata da Riina.
In ogni caso, per la precisione del riscontro, non può minimamente dubitarsi che Riina, tramite i familiari comuni con Bagarella, sia stato esattamente informato del colloquio intercorso tra quest’ultimo e Provenzano in ordine alla strategia futura di “cosa nostra”.
Si tratta, dunque, di un riscontro straordinario ed eccezionale che ha una triplice valenza, perché contemporaneamente comprova:
– la genuinità delle intercettazioni […] perché giammai Riina, che ha sempre avversato Brusca in
quanto divenuto collaboratore di Giustizia e che lo ha definito nel corso delle stesse intercettazioni un “pallista”, avrebbe falsamente confermato la veridicità di un episodio già riferito da Brusca ove fosse stato a conoscenza delle precedenti propalazioni dello stesso, mentre in caso contrario (mancata conoscenza da parte di Riina della precedente analoga dichiarazione di Brusca) non avrebbe potuto, in quel momento, Riina, sapere e prevedere ciò che soltanto alcuni mesi dopo Brusca, alla presenza dello stesso coimputato Riina, avrebbe raccontato in questo dibattimento;
– l’attendibilità di Brusca non essendo nota, quando questi ha raccontato quel fatto in questo dibattimento, l’intercettazione in questione e non potendo, ovviamente, prevedere il medesimo Brusca, quando per la prima volta ebbe a raccontare lo stesso episodio nell’interrogatorio dell’11 agosto 1996 […], che ben diciassette anni dopo avrebbe trovato una conferma nelle parole dell’irriducibile Salvatore Riina;
– e, infine, soprattutto la formazione all’ interno di “cosa nostra” di due opposte fazioni sull’opportunità di proseguire nella strategia stragi sta, la prima facente capo a Provenzano che, tuttavia, in quella prima fase non aveva potuto opporsi al volere dei fedelissimi del Riina, e la seconda facente capo a quest’ultimi e, quindi, innanzitutto a Bagarella, che, in virtù del suo rapporto parentale, rappresentava, di fatto (al di là della soltanto formale investitura a Provenzano della guida dei “corleonesi”), la continuità operativa del volere del Riina.
* * *
Peraltro, come si è già anticipato, la formazione di quei due schieramenti emerge anche dalle dichiarazioni di altri collaboratori di Giustizia che ne hanno riferito nel dibattimento e, principalmente, per la profondità e la diretta fonte delle sue conoscenze, dalle dichiarazioni di Antonino Giuffrè.
[…] Ed invero, in occasione dell’esame effettuato nelle udienze del 21, 22 e 28 novembre 2013, Giuffré, riguardo alle dinamiche successive all’arresto di Riina, in sintesi, ha riferito:
– che dopo l’arresto di Salvatore Riina cominciò a delinearsi un cambio di strategia del quale egli prese contezza allorché ebbe ad incontrare Bernardo Provenzano a Belmonte Mezzagno […];
– che in occasione di tale incontro egli, infatti, rimase sorpreso dal nuovo atteggiamento di Provenzano, prima non certo alieno alle violenze, che, però, in quel momento gli prospettò la necessità della “sommersione” e, quindi, di porre termine alla contrapposizione frontale con lo Stato […];
– che Provenzano, pertanto, in quel periodo subiva il volere di Bagarella (“Diciamo che per lo stesso Provenzano, il 93 non sarà … il 93 e il 94 non sarà un periodo tranquillo, perché troverà in Luchino Bagarella diciamo la persona che lo contrasta abbastanza bene, anche nei suoi movimenti il Provenzano diciamo che è limitato, tanto è vero che come ho detto in altre circostanze il Bagarella e il Brusca, nell’ambito della Regione Siciliana, vanno prendendo sempre più spazio, vanno prendendo sempre più consensi su Trapani, con Matteo Messina Denaro su Agrigento con un Fragapane che è l’ultimo dei provinciali nominati da Riina, quindi prima con Fragapane e poi con Fanara”), il quale, di fatto, aveva assunto il ruolo di Riina per la prosecuzione della strategia stragista insieme ai suoi più stretti alleati, Brusca e Graviano […];
– che Provenzano, tuttavia, per non fare definitivamente prevalere Bagarella nella guida di “cosa nostra”, continuava a dialogare con lo stesso Bagarella […];
[…] Come si vede, dunque, v’è piena coincidenza nel racconto del Giuffré riguardo agli schieramenti già indicati da Brusca, al ruolo-guida assunto di fatto da Bagarella dopo l’arresto di Riina ed alla accettazione, più o meno forzata, del volere di Bagarella da parte di Provenzano, il quale, però, nel contempo, con i suoi alleati propugna la linea della “sommersione” che, tuttavia, riuscirà a fare prevalere soltanto dopo l’arresto dei principali oppositori (Graviano nel 1994,
Bagarella nel 1995 e Brusca nel 1996).
[…] Tra gli altri elementi di prova ugualmente confermativi delle risultanze appena esposte (che, come detto, però, sono già autonomamente sufficienti per provare i fatti nel senso sopra riferito), v’è, innanzitutto, la conferma, anche da parte di Gioacchino La Barbera, che effettivamente Brusca ebbe ad incontrare Provenzano e che all’esito di tale incontro era stato deciso di andare avanti con
la strategia stragista […].
[…] L’accertata contrapposizione creatasi all’interno di “cosa nostra” dopo l’arresto di Riina, o, per meglio dire, l’emergere di una opposizione alla strategia stragi sta di Riina sino al predetto momento rimasta pressoché silente e latente, dimostra, indirettamente ma con ineludibile forza logica, l’esattezza della ricostruzione sin qui operata anche con specifico riferimento alla c.d. “trattativa” accettata dal medesimo Riina e, soprattutto, per quel che rileva in questa sede in relazione al reato contestato, la formulazione di richieste alla cui soddisfazione veniva condizionata la cessazione della strategia stragi sta e, quindi, in definitiva, la minaccia indirizzata da “cosa nostra” nei confronti del Governo cui quelle richieste erano inevitabilmente indirizzate.
Si vuole dire, in altre parole, che se, dopo l’arresto di Salvatore Riina, una parte di “cosa nostra”, quella più fedele a quest’ultimo capeggiata dal cognato Leoluca Bagarella, intendeva portare avanti la strategia stragi sta (cosa che, poi, è effettivamente accaduta con le gravissime stragi del 1993) per far sì che coloro che già “si erano fatti sotto” con Riina tornassero a riprendere i contatti e, comunque, di fronte alla ripresa delle stragi, accogliessero le condizioni della cessazione della contrapposizione frontale poste dal medesimo Riina, significa inevitabilmente, sotto il profilo logico, che tali condizioni erano state già effettivamente e concretamente comunicate da Riina ai suoi interlocutori.
Significa, cioè, che Riina aveva, appunto, accettato la “trattativa” (nel senso, ovviamente, non di un possibile “patteggiamento” assolutamente contrario alla sua mentalità […]) che, a prescindere da quali fossero le intenzioni dei promotori, di fatto, gli era stata sollecitata tramite Vito Ciancimino ed aveva, quindi, appunto, posto le sue condizioni per porre termine alla contrapposizione frontale con lo Stato decisa e scatenata dopo la conclusione del maxi processo.
Significa ancora, dunque, che Riina aveva già effettivamente minacciato i suoi interlocutori istituzionali (si vedrà nel prosieguo, come anticipato, se tale minaccia abbia raggiunto i suoi destinatari finali inevitabilmente individuabili nel Governo della Repubblica che disponeva dei poteri esecutivi necessari) delle implicite conseguenze negative che sarebbero derivate per lo Stato ove non fossero stati adottati i provvedimenti richiesti, soprattutto attinenti, in senso lato, alla situazione carceraria dei detenuti di “cosa nostra”.

 

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