Processo Montante: quando Conte non autorizzò il Viminale a costituirsi parte civile al processo per mafia

Sono passati appena quattro mesi dalla condanna inflitta ad Antonello Montante: il 10 maggio 2019 viene condannato dal Gup di Caltanissetta a quattordici anni di reclusione. È riconosciuto colpevole di aver organizzato un elaborato sistema di dossieraggio. 

Per chi segue la vicenda dell’ex paladino nazionale dell’antimafia, la sentenza di primo grado è un punto fermo. Tutti, o quasi, sono convinti che il sistema Montante era un dato di fatto. E, ora, la Commissione nazionale Antimafia si spera possa dare la caccia ai “traditori dello Stato” evocati dal presidente Nicola Morra. Chi sono? Dove sono? Si aggirano ancora nelle istituzioni?

C’è, parallelamente all’inchiesta su Montante, un’altra indagine che, nei mesi scorsi, ha visto sul banco degli imputati con rito ordinario, fra gli altri, l’ex presidente del Senato, Renato Schifani, e l’ex capo dei servizi civili dell’Aisi, Giuseppe D’Agata proprio sul sistema messo in piedi da Montante. Il gup Luparello ha trasmesso in procura i verbali di due testimoni “per le valutazioni di competenza”: si tratta di Mario Parente e Valerio Blengini, rispettivamente direttore e vicedirettore dell’Aisi, il servizio segreto civile. Dai verbali di pentiti e di imprenditori, sono usciti nuovi elementi: la pista della contiguità di Montante a Cosa Nostra. Ma non è la sola. Ci sarebbe anche la tranche sulla corruzione finalizzata al finanziamento illecito dei partiti (fra gli indagati, oltre a Montante, l’ex governatore Rosario Crocetta, le ex assessore Linda Vancheri e Mariella Lo Bello, la neo-sindaca di Naro Maria Grazia Brandara, il presidente autosospeso di Sicindustria Giuseppe Catanzaro e altri imprenditori di griffe confindustriale) che proprio l’ex paladino della legalità avrebbe raccontato.  

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