La “distensione” e il ministro Conso

II “manifesto” del nuovo indirizzo che i rinnovati vertici del D.A.P. Intesero adottare all’indomani del loro insediamento si rinviene in un “appunto” per il Capo di Gabinetto del Ministro datato 26 giugno 1993 (Doc. 5c della produzione del P.M. del 26 settembre 2013 acquisito con ordinanza del 17 ottobre 2013).
[…]
E’ stato acquisito al fascicolo del dibattimento un “Appunto per il Signor Capo di Gabinetto dell’On. Ministro” a firma del Direttore Generale del D.A.P. Capriotti datato 26 giugno 1993 avente ad oggetto “Regime detentivo speciale ex art. 41 bis, n. 2, vigente ordinamento penitenziario. Eventuale proroga. Proposte” nel quale si legge: “Dal prossimo mese di luglio inizieranno a scadere i decreti ministeriali a suo tempo emessi per la sottoposizione di alcuni detenuti al regime speciale in oggetto indicato. Appare quindi opportuno rappresentare alla S. v., un riepilogo relativo a tale
situazione. I detenuti attualmente sottoposti a regime speciale sono n. 909. […]
Più delicata e più complessa invece è la situazione dei soggetti (alla data del 25.6.1993 n. 536) sottoposti a regime speciale con decreto ministeriale a firma dell’On.le Ministro.
Di regola sono detenuti di particolare pericolosità, con posizione di preminenza nell’ambito dell’organizzazione criminale di appartenenza, capaci, se ristretti negli istituti ubicati nelle sedi di origine o comunque in istituti non adeguati, di ripristinare in qualche modo il controllo del territorio e quindi i traffici illeciti e la preparazione ed esecuzione di cruenti atti criminali.
E, per altro verso, non si può ignorare che tale regime detentivo speciale ha contribuito in modo significativo allo sviluppo di numerose attività di indagine giacché proprio alcuni detenuti ad esso sottoposti hanno deciso di collaborare con le Autorità giudiziarie e di Polizia.
Nel periodo che va dal 20 luglio al 15 settembre 1993 scadranno i provvedimenti relativi a n. 400 di questi detenuti. E’ quindi necessario ed urgente individuare un indirizzo unitario, all’esito delle valutazioni tecniche e politiche, relativo alla opportunità di prorogare o meno tale regime detentivo ad alle eventuali modalità da seguire. […]”.
Orbene, appare del tutto evidente che già all’indomani del suo insediamento, il nuovo vertice del D.A.P., in linea con il “mandato” di attenuare in qualche modo il rigore carcerario sostanzialmente ricevuto dal Presidente della Repubblica Scalfaro su sollecitazione del Capo della Polizia Parisi (il quale, d’altra parte, come si ricava dal precedente “appunto” a firma di Nicolò Amato del 6 marzo
1993[…]”), delinea e sottopone al Ministro un nuovo indirizzo di politica carceraria certamente meno rigoroso se è vero che la finalità dichiarata era quella di “non inasprire inutilmente il “clima”
ali ‘interno degli istituti di pena”.
Infatti, con quel documento si propone al Ministro di non rinnovare, senza alcuna preventiva verifica e, quindi, senza alcun aggiornamento delle relative posizioni, tutti i decreti (relativi a ben 373 detenuti) che erano stati firmati, a decorrere dal settembre dell’anno precedente, dal Direttore Generale o dal Vice Direttore Generale del Dipartimento su delega del Ministro, mentre per gli altri
decreti, quelli che erano stati firmati dal Ministro, si propone, invece, a parte la riduzione della durata dell’applicazione del regime del 41 bis da un anno a sei mesi, la preventiva richiesta di collaborazione alla D.N.A., alla D.I.A., al Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione Centrale Polizia Criminale – ed all’Ufficio Coordinamento dei Servizi di Sicurezza degli II.PP. al fine della acquisizione di notizie utili per individuare eventuali soggetti per i quali non fosse stata più necessaria la sottoposizione al regime speciale, prefiggendosi, comunque, però, l’obiettivo di ridurre di circa il 10% il numero dei soggetti sottoposti al regime speciale aggravato, di modo da lanciare “un segnale positivo di distensione”.
Appare del tutto evidente, in sostanza, dalla lettura del predetto atto di indirizzo proposto al Ministro il mutamento dell’ottica che sino ad allora aveva condotto alla applicazione ed al mantenimento del regime carcerario di estremo rigore: non più quella della tutela delle esigenze primarie di sicurezza necessarie per interrompere i collegamenti tra i detenuti e l’organizzazione criminale di appartenenza responsabile di efferati delitti e, nel contempo, della necessità per
le Istituzioni di dare una forte risposta che potesse far comprendere alle organizzazioni mafiose l’improduttività dell’attacco sferrato contro lo Stato, facendone derivare soltanto conseguenze negative che potessero dissuaderle dalla prosecuzione dell’attacco medesimo; ma, adesso, al contrario, quella della sostanziale “mano tesa” delle Istituzioni, che, a fronte di quell’escalation di violenza senza precedenti culminata, neppure un anno prima, nella strage di via D’Amelio e, poi, ripresa ancora neanche un mese prima con la strage di via Georgofili a Firenze del 27 maggio 1993, che aveva visto perire persino una bambina (di 9 anni) e una neonata (di appena 50 giorni), e senza dimenticare tutti gli altri non meno gravi fatti delittuosi del periodo intermedio (dalla uccisione di agenti della polizia penitenziari a sino all’attentato – per fortuna non riuscito – ai danni del giornalista Maurizio Costanzo del 14 maggio 1993 nella via Fauro a Roma), proponeva ora di ridurre, quanto meno nel numero dei soggetti destinatari, il regime di rigore carcerario con il solo fine di lanciare “segnali di distensione” e di “non inasprire il clima”.
Ed è bene precisare che tale mutamento, contrariamente a quanto sostenuto dalle difese degli imputati, non può attribuirsi al mutamento della giurisprudenza della magistratura di sorveglianza sull’applicazione del regime del 41 bis, che, infatti, non viene in alcun modo citato nel documento qui in esame quale ragione delle determinazioni proposte.
[…] Ciò detto, deve chiedersi se tale programma sia attribuibile al (solo) Dott. Capriotti che ebbe a firmare il documento, perché se così fosse troverebbe smentita la conclusione del Capitolo precedente.
Il Dott. Calabria, vice direttore dell’Ufficio detenuti del D.A.P., sentito il 20 febbraio 2015, il cui nome è annotato nel documento in alto a destra, ha spiegato che quel documento certamente venne redatto, come di consueto stante la materia, nell’ambito dell’Ufficio Detenuti, ma, altrettanto certamente, su indicazione dei vertici del D.A.P. (sia il Direttore Capriotti che il Vice Direttore
Di Maggio) e dopo averlo con questi concordato, tanto che il funzionario incaricato – in questo caso, appunto, lo stesso Dott. Calabria – vi apponeva la propria firma per conferma che il testo redatto corrispondesse alle indicazioni ricevute e per consentire, nel contempo, ai vertici del D.A.P. di individuare l’interlocutore per eventuali correzioni […].
Come si vede, dunque, il Dott. Calabria, che, stante la sigla apposta su quel documento deve individuarsi quale funzionario incaricato di sovraintendere alla sua redazione da parte dei dipendenti dell’Ufficio Detenuti, non ha manifestato alcun dubbio sul fatto che la paternità del documento medesimo debba farsi risalire non solo al Direttore Capriotti che, ovviamente, per il suo ruolo lo sottoscrisse, ma espressamente anche al Vice Direttore Di Maggio.
Ciò indipendentemente da quanto il medesimo Dott. Calabria, poi, a conferma, ha ricavato da un’annotazione nel documento (in alto a destra), nella quale ha egli ha ritenuto di riconoscere la grafia di Di Maggio e che, ancora secondo il teste, avrebbe, appunto, confermato che quest’ultimo ebbe a concordare con quanto scritto al Ministro[…].
E deve dirsi, in proposito, che, ancorché il Dott. Calabria abbia erroneamente individuato la grafia del Dott. Di Maggio, la conclusione da lui tratta è stata, comunque, confermata da Livia Pomodoro, Capo di Gabinetto del Ministro, allorché ha riconosciuto la propria grafia.
All’udienza del 27 febbraio 2015, infatti, anche alla predetta teste è stato mostrato l’appunto per il Ministro del 26 giugno 1993 con l’annotazione a margine di cui si è detto, in forza della quale la teste medesima ha dichiarato che doveva necessariamente da questa ricavarsi che ella aveva informato il Ministro e che questi, poi, le aveva restituito il documento, dicendole di restare in attesa di ulteriori informazioni già richieste al Dott. Di Maggio […].
Ed è opportuno, in ogni caso, evidenziare sin d’ora, per dirimere qualsiasi dubbio sulla annotazione a margine del documento in esame e sulla ventilata ipotesi che Di Maggio possa essere poi intervenuto sul Ministro quando questi decise nel luglio 1993 di disattendere i suggerimenti del D.A.P. e di prorogare i decreti in scadenza, che, se ciò fosse effettivamente accaduto, il Ministro Conso se ne sarebbe ricordato e lo avrebbe riferito, cosa che, invece, come si vedrà, non è accaduta, avendo quest’ultimo fatto riferimento esclusivamente alla sua preesistente convinzione sulla “necessità di mantenere fermo il 41 bis e di rinnovare i decreti…”.
[…] D’altra parte, la conoscenza e la condivisione del documento in esame da parte del Dott. Di Maggio si ricava anche da un altro appunto datato 14 luglio 1993 rinvenuto al D.A.P. di cui ha riferito il teste Sebastiano Ardita all’udienza dell’11 dicembre 2014.
In particolare, il detto teste ha riferito che, a seguito di una ricerca sollecitata dal Dott. Chelazzi, aveva, altresì, reperito un appunto del Dott. Di Maggio datato 14 luglio 1993, mostratogli e da lui riconosciuto […], nel quale si faceva riferimento all’opportunità di “sottoporre a controllo preventivo anche le posizioni attenuate” […].
Il teste, quindi, ha detto che la generica espressione prima ricordata non è del tutto chiara e richiede un’interpretazione […]. Ma la Corte non ha dubbi che si tratta di un’espressione che deve essere
necessariamente collegata all’«appunto» per il Ministro del 26 giugno 1993 nel quale, come si è già visto sopra, proponendo di non prorogare il regime del 41 bis per i detenuti già sottoposti al detto regime con i decreti adottati dal Direttore o dal vice Direttore del D.A.P. su delega del Ministro, si escludeva persino qualsiasi preventiva verifica delle singole posizioni.
A ciò si riferisce l’appunto del 14 luglio 1993 nel quale, evidentemente, Di Maggio recependo l’indicazione del Ministro Conso, invita gli Uffici sottordinati (nella specie l’Ufficio Quarto) ad effettuare i “controlli preventivi” (quindi, la preventiva richiesta alle Forze dell’Ordine) anche per “le posizioni attenuate” (quindi, quelle di cui ai decreti adottati Direttore o dal vice Direttore
del D.A.P. su delega del Ministro), spiegando la contraddittorietà di tale nuovo suggerimento (“bisognerebbe sottoporre a controllo preventivo anche le posizioni attenuate”) rispetto a quanto indicato nel documento del 26 giugno 1993, con il volere del Ministro (“l’Onorevole Ministro è d’accordo”).
Ma quel che, in ogni caso, qui rileva è che anche tale appunto autografo del Dott. Di Maggio datato 14 luglio 1993 conferma che quest’ultimo era stato pienamente coinvolto nell’iniziativa condensata nel documento del 26 giugno 1993, tanto da parlarne egli stesso con il Ministro (coerentemente, d’altra parte, al suo ruolo di effettivo “capo” operativo del D.A.P.), facendo derivare, poi, da tale colloquio, neppure una disposizione imperativa per gli Uffici a lui sottoposti, ma soltanto quel suggerimento (“bisognerebbe sottoporre a controllo preventivo anche le posizioni attenuate”) che denota già da solo la condivisione della diversa indicazione del documento del 26 giugno 1993, semmai soltanto da integrare – in modo meramente eventuale, come dimostrato dall’uso del
condizionale da parte del Di Maggio – con il “controllo preventivo” delle singole posizioni.
Si ha la conferma, allora, che Francesco Di Maggio, se non ispirò il contenuto di quel documento, cosa che certamente appare più probabile per essersi egli insediato al D.A.P. di fatto ancor prima di Capriotti e per il suo carattere dominante di cui si è detto, certamente, comunque, quanto meno concordò sul suo contenuto.
D’altra parte, appare veramente inverosimile e improbabile che il Dott. Capriotti, appena immessosi in quella funzione e del tutto spaesato per il repentino e da lui non previsto catapultamento in quel ruolo di Direttore del D.A.P., nei pochissimi giorni intercorsi prima del 26 giugno, possa avere
elaborato quel nuovo indirizzo da sottoporre al Ministro Conso.
Al contrario, ben più verosimile e probabile appare, invece, che possa essere stato il Dott. Francesco Di Maggio a dare quel nuovo indirizzo sia perché, come si è detto, già insediatosi al D.A.P. ancora prima del Dott. Capriotti e con più tempo a disposizione, quindi, per elaborarlo, sia, soprattutto, perché, a differenza del Dott. Capriotti, Francesco Di Maggio già preparava il suo arrivo al D.A.P. Da diversi mesi, almeno dal mese di febbraio precedente, e, dunque, sicuramente aveva avuto modo di acquisire adeguata cognizione della situazione a quel momento esistente riguardo alla gestione dei provvedimenti applicativi del regime del 41 bis.
Ma quel che rileva è che, chiunque ne sia stato l’autore e ispiratore, Di Maggio abbia condiviso il contenuto programmatico di quel documento, dal quale non risulta si sia mai dissociato.
D’altra parte il nuovo indirizzo era certamente in linea e coerente con le ragioni che avevano indotto il Presidente della Repubblica Scalfaro, su sollecitazione del Capo della Polizia Parisi, a fare proprio il nome di Di Maggio al Presidente del Consiglio Ciampi.
Si vuole dire, in altre parole, che, se ricondotto quel documento (quanto meno anche) al volere del Dott. Di Maggio come sembra non possa esservi dubbio alla stregua delle risultanze prima esposte, nello stesso non può che rinvenirsi l’immediata esecuzione ed attuazione del “mandato” che gli si era inteso attribuire da coloro che ne avevano propugnato la nomina.
[…]
Si è già visto sopra che, come riferito dal teste Calabria, a quell’«Appunto» che delineava la nuova linea del D.A.P. di gestione dei provvedimenti applicativi del regime del 41 bis in vista dell’approssimarsi delle prime scadenze annuali di tali provvedimenti non seguì alcuna espressa risposta di condivisione, recepimento o respingimento da parte del suo destinatario, il Ministro della
Giustizia Giovanni Conso […].
E ciò consente di escludere, quindi, anche che quel mutamento di indirizzo fosse stato concordato dai vertici del D.A.P. con il Ministro o che, addirittura, fosse stato sollecitato da quest’ultimo ai medesimi vertici del D.A.P.
Due diverse acquisizioni probatorie confermano inequivocabilmente ed incontestabilmente tale affermazione.
Innanzitutto, vi sono le stesse trancianti dichiarazioni rese dal Ministro Conso alla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze in data 24 settembre 2002 di cui si è già fatto cenno sopra.
[…] Il secondo elemento confermativo, invece, è di tipo fattuale: il Ministro Conso disattese del tutto quei suggerimenti condensati nel documento del 26 giugno 1993 procedendo a prorogare, già in data 16 luglio 1993, tutti i decreti che sarebbero scaduti tra il 20 e il 21 luglio successivi, con esclusione soltanto di quei detenuti (appena 19 su 244) per i quali la posizione giuridica era mutata e vi erano, pertanto, profili formali che ostavano alla proroga.
Ed è significativo anche che tale proroga della quasi totalità dei decreti in scadenza sia stata decisa, contrariamente a quanto suggerito dai vertici del D.A.P. col documento del 26 giugno 1993, senza neppure interpellare la Direzione Nazionale Antimafia ed i responsabili delle Forze dell’Ordine ai fini dell’aggiornamento delle posizioni di quei detenuti.
Insomma, non v’è dubbio che sino a quel momento, mentre il “nuovo” D.A.P. nelle persone di Capriotti e Di Maggio suggeriva di lanciare “segnali di distensione” e di “non inasprire il clima” intraprendendo il nuovo corso voluto dal Presidente Scalfaro, il Ministro della Giustizia Conso reiterava la linea “dura” confermando quella del suo predecessore Martelli […].
In sostanza, fino a quel momento, la minaccia mafiosa, al cui centro vi era la questione carceraria e che pure aveva iniziato a farsi strada raggiungendo, attraverso il Capo della Polizia Parisi, il Presidente della Repubblica Scalfaro, non aveva ancora raggiunto il Governo nella persona del Ministro Conso.
Ciò, d’altra parte, conformemente all’indirizzo del Presidente del Consiglio Ciampi, che, appena due giorni prima di quell’«appunto» del D.A.P. Del 26 giugno 1993 che, ovviamente a sua insaputa, inopinatamente intendeva lanciare “segnali di distensione”, annotava sulla sua agenda, a seguito di un colloquio con il Direttore della D.I.A. De Gennaro, la necessità, ancora dopo la strage di
Firenze, di proseguire nella “linea della fermezza” (v. annotazione alla pagina del 24 giugno 1993 dell’agenda del Presidente Ciampi: “sostanzialmente fiducioso. I vari attentati, da quelli in Sicilia dello scorso anno a Firenze sono della stessa matrice (confermo tecniche e informativa). Continuare nella linea di fermezza “).

 

http://mafie.blogautore.repubblica.it/