Effetti speciali fra mafia e poteri occulti

Nel Capitolo 15 si è fatto già riferimento, nei termini di generalità che servono in questa sede, alle stragi del 1993. Qui adesso ci si vuole concentrare sugli effetti che seguirono alle bombe del 27-28 luglio 1993, che, come fosse un fiume carsico che dopo la cattura di Salvatore Riina aveva continuato a scorrere sotterraneamente, vedono ora riemergere il tema della “trattativa” tra “cosa nostra” e lo Stato.
[…] Il Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica ebbe a riunirsi ancora il successivo 30 luglio 1993 e poi il 10 agosto 1993, così come risulta dai relativi verbali prodotti dalle difese degli imputati Subranni, Mori e De Donno all’udienza dell’8 ottobre 2015.
In tali verbali, per quanto qui rileva, risultano annotati i seguenti interventi: Comitato del 30 luglio 1993 intervento del Ministro dell’Interno: “…in Parlamento si tende prevalentemente ad escludere la matrice terroristico-mafiosa, sulla quale si registra addirittura irrisione, e si pongono sotto accusa i servizi segreti.. … … quanto alla matrice degli attentati si può pensare alla criminalità organizzata
ma anche a un intervento di intelligenze internazionali… “;
– intervento del Capo della Polizia: “… solo i recenti episodi consentono una diversa lettura; si deve ormai pensare ad una struttura con capacità progettuale ed operativa, che vede una presenza della mafia ma presenta una intelligenza non solo mafiosa… … ..occorre allora far luce su quanto di politico e di criminale esiste dietro questo tipo di progettualità, con una mente politica ed un
braccio mafioso… … …potrebbe esservi la possibilità di attentati anche a personalità; vanno guardati con attenzione sia il fenomeno della Falange Armata che la possibilità di rivolte nel settore carcerario”;
– intervento del Comandante Generale dell’Arma: “…ha operato un’organizzazione eversiva con un braccio armato di criminalità organizzata, che potrebbe in futuro accentuare la propria strategia di omicidi individuali mirati”;
– intervento del vice direttore del DAP: “…il DAP deve rivitalizzarsi, migliorando l’acquisizione di notizie dal carcerario, […];
– intervento Funzionario del CESIS: “…altra ipotesi emersa nel corso delle indagini, consistente nella tensione registratasi nelle carceri, determinata dall’entrata in vigore e dalla proroga dell’art. 41 bis…”;
– intervento vice direttore DAP: “E’ opportuno, poi, che il Governo mantenga ferma la sua posizione sull’art. 41 bis …. Posto che vi è una stretta correlazione tra la proroga del 41 bis e gli attentati del 27 luglio”;
– intervento del Capo della Polizia: “Conviene su quest’ultima interpretazione dei fatti … “;
– intervento Direttore della DIA: “Non concorda con l’interpretazione di un eventuale nesso tra gli attentati e l’entrata in vigore dell’art. 41 bis, in quanto la ritorsione mafiosa ebbe inizio con il maxiprocesso”.
Orbene, come si vede, nel primo Comitato ancora più prossimo alle stragi si comincia già a fare strada l’idea della riconducibilità di queste, sì, alle organizzazioni mafiose, ma ancora come braccio operativo o in cointeressenza con organizzazioni eversive ovvero “intelligenze internazionali” o servizi segreti.
Da segnalare, però, che sia il Capo della Polizia (Parisi), sia il vice Direttore del D.A.P. (Di Maggio) introducono già in quell’occasione il tema carcerario, con un riferimento fatto dal secondo anche alla necessità di migliorare “l’acquisizione di notizie dal carcerario” e, quindi, all’altra delle possibili
finalità della nomina dello stesso Di Maggio al D.A.P. (v. sopra anche dich. D’Ambrosio già riportate al Capitolo 20, paragrafo 20.4) che consente di ricondurre la nomina medesima, non soltanto al Capo della Polizia Parisi che certamente ebbe a sollecitarla al Presidente della Repubblica Scalfaro (v. sopra ancora il Capitolo 20), ma anche a Mario Mori, che, peraltro, ebbe ad incontrare Di Maggio appena tre giorni prima e che aveva particolarmente a cuore la questione della libera accessibilità dei suoi investigatori nelle carceri per colloqui con i detenuti mafiosi (come si dirà meglio più avanti, anche se è bene qui anticipare, per evitare qualsiasi equivoco, che, come si vedrà nel successivo Capitolo 28, paragrafo 28.3, sono stati acquisiti sicuri elementi che consentono
di escludere che l’oggetto del colloquio del 27 maggio 1993 tra Mori e Di Maggio abbia riguardato i detti colloqui investigativi).
Quanto al secondo Comitato, quello del 10 agosto 1993, invece, va evidenziato che ancora una volta tanto il Capo della Polizia (Parisi), quanto il vice Direttore del D.A.P. (Di Maggio) ebbero a collegare espressamente le stragi di luglio al rinnovo dei provvedimenti applicativi del regime del 41 bis decisi pochi giorni prima dal Ministro della Giustizia e ciò evidentemente in virtù di conoscenze, analoghe a quelle che già nella precedente riunione avevano consentito loro di
richiamare il tema carcerario, che gli altri partecipanti non avevano, tanto che tale collegamento fu valutato dal Funzionario del CESIS soltanto come una delle possibili ipotesi, mentre il Direttore della D.l.A. (De Gennaro) ebbe addirittura ad escluderlo.
Da segnalare che il vice Direttore del D.A.P. Di Maggio nella stessa occasione ebbe a manifestare l’idea che il Governo dovesse mantenere ferma la sua posizione sul 41 bis […]. Tale risultanza potrebbe apparire in contrasto con quanto si è detto sopra nel Capitolo 22 a proposito della condivisione da parte di Di Maggio del nuovo indirizzo in tema di 41 bis risultante dall’«appunto» inviato dal D.A.P. al Ministro il 26 giugno 1993.
Ma va considerato che, in quel momento, in quel contesto e di fronte a quegli interlocutori, Di Maggio non avrebbe potuto di certo esternare la diversa linea del dialogo e del “segnale di distensione” per “non inasprire il clima” che sarebbe stata inevitabilmente percepita come un inammissibile cedimento dello Stato alla minaccia mafiosa, peraltro del tutto in contrasto con la linea della fermezza propugnata ancora dal Presidente del Consiglio Ciampi e (sino a quel
momento) dal Ministro della Giustizia Conso.
Si vuole dire, in altre parole, che si tratta di un elemento neutro, inidoneo ad incidere sulle chiare e comprovate conclusioni sulla condivisione da parte di Di Maggio della nuova linea del D.A.P. condensata nel documento del 26 giugno 1993 prima esaminato, tanto più che il raggiungimento dell’obiettivo prefigurato da coloro che avevano voluto l’avvicendamento dei vecchi vertici del D.A.P. e la stessa nomina di Di Maggio non avrebbe potuto – e, infatti, non fu mai – espressamente esternato per la sua chiara contrarietà, appunto, alla linea della fermezza, sempre proclamata dai rappresentanti delle Istituzioni sin dagli anni settanta all’epoca del sequestro dell’On. Moro, ancorché non infrequentemente disattesa in modo, però, sempre sotterraneo e mai dichiarato (si è ricordata sopra, ad esempio, la vicenda del sequestro Cirillo).
Ed analoghe considerazioni, d’altra parte, valgono per la linea ufficiale del R.O.S. sulla medesima questione del 41 bis che non avrebbe potuto, per le medesime ragioni, distaccarsi da quella, ugualmente, ufficiale di tutte le Istituzioni interessate.
Ci si intende riferire, da un lato, alla testimonianza resa dal Gen. Giampiero Ganzer all’udienza del 31 marzo 2017 secondo cui anche il R.O.S. concordava con le altre Forze di Polizia che non si dovesse cedere al ricatto dell’organizzazione mafiosa finalizzato ad ottenere benefici per i detenuti
mafiosi (v. testimonianza citata: ” … era evidente che almeno uno dei motivi, uno dei moventi di questo ricatto vero e proprio era quello della gestione … Era quello della gestione dei detenuti mafiosi. La valutazione personale e quella del Ros ovviamente era di non cedere assolutamente a queste implicite richieste, a queste implicite pressioni, ma era una valutazione condivisa anche nell’ambito di riunioni che facemmo, per quanto mi riguarda, ripetutamente con la Direzione Nazionale Antimafia, con tutte le altre forze di Polizia, con la Dia che forse aveva qualche elemento in più che già nasceva dalle collaborazioni di Gioè, La Barbera. Quindi si trattava appunto, ecco, di una posizione che non aveva dei contro altari o dei contraddittori”); e, dall’altro, alla nota del R.O.S.
dei Carabinieri datata 28 agosto 1993 (depositata dalla difesa dell’imputato Mori) avente ad oggetto “Regime penitenziario speciale ex 41 bis, comma 2, legge n. 354/1975. Proposte di eventuale proroga” nella quale si legge che quel Raggruppamento “è convinto, in linea di principio, a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, che potrebbero essere altrimenti e comunque compromessi,
che debba sempre applicarsi la particolare misura custodiale dell’art. 41/bis dell’ordinamento penitenziario a tutti i detenuti ed internati per i reati previsti dall’art. 416 bis c.p.” e, dunque, che “non ritiene così possa essere sollevato dalla misura restrittiva alcuno dei detenuti indicati nel foglio a riferimento”.
[…] Ma indipendentemente da ciò, non è certo una generica nota di risposta, quella del 28 agosto 1993 prima citata, concernente un imprecisato numero di detenuti di cui non è dato neppure conoscere l’identità che può comprovare il pensiero di Subranni e Mori riguardo alle proroghe del regime del 41 bis dopo le stragi del luglio 1993, tanto più che neppure uno degli Ufficiali più vicini ai predetti, il Gen. Ganzer, è stato in grado di riferire in proposito, essendosi limitato a rispondere, a specifica domanda, per Subranni, che questi non si interessò della questione perché in fase di trasferimento al CESIS (ove, in effetti, avrebbe preso servizio 1’1 dicembre 1993), e, per Mori, soltanto in negativo, che questi non ebbe mai a manifestare opinioni diverse […].
[…]
All’udienza del 9 gennaio 2015 la difesa dell’imputato Mancino ha depositato, nel corso dell’esame del teste Tavormina, un appunto riservato, datato 6 agosto 1993, concernente gli attentati di Roma, Firenze e Milano rimesso in data 7 agosto 1993 dal predetto teste, nella qualità di Segretario Generale del Cesis, al Ministro dell’Interno Mancino.
In tale documento, tra l’altro, si legge: “… Elementi deduttivi. Gli elementi sopra descritti fanno propendere per la presenza di un ‘organizzazione di grandi potenzialità, capace di:
– progettare una strategia di ampio respiro, che tiene conto delle incidenze dell’azione sul quadro politico;
– individuare gli obiettivi che per rilievo culturale e religioso hanno destato la particolare attenzione nazionale ed internazionale;
– reperire grandi quantità di esplosivo; far muovere in zone diversificate del territorio, contemporaneamente, più nuclei con adeguata capacità logistica.
Possibile matrice. .. … quando, come appresso, si individua il gruppo di cosa nostra (verosimilmente quello facente capo ai corleonesi), non sono da escludere eventuali apporti di altre organizzazioni criminose, come la ‘ndrangheta e la camorra, o di ambienti affaristici di varia natura legati al mondo dell’illecito o ancora di centrali di potere occulto.
In effetti, l’unica struttura in grado di portare a compimento una attività così articolata è rinvenibile nel crimine organizzato. L’intero ambito, nella sua vertiginosa caduta di prestigio e conseguente generale indebolimento, potrebbe essere stato indotto a profittare del delicato passaggio istituzionale per compiere un’azione violenta e indiscriminata, allo scopo di minare il prestigio
dello Stato, riducendone la capacità di contrasto.
La componente più accreditata in questo momento appare cosa nostra …..
Situazione del carcerario. La fortissima tensione all’interno del crimine organizzato trova riscontro nella situazione del carcerario. Evidenti sono gli effetti demolitori del prestigio dei vertici criminali, derivanti dall’applicazione del regime detentivo differenziato ….. Quelli assoggettati al regime differenziato sono in 870. I decreti in scadenza sono in via di revisione e si prevede che per non più di 100 detenuti saranno adottati provvedimenti di revoca. ….. Giova rammentare che, contrariamente alla previsione – largamente diffusa nell’ambiente penitenziario – secondo cui i provvedimenti di sottoposizione a regime differenziato non sarebbero stati rinnovati alla scadenza, il 16 luglio 1993 il Ministro di Grazia e Giustizia, su proposta del Dipartimento, ha proceduto alla proroga, per ulteriori sei mesi, di 244 provvedimenti a suo tempo adottati. E’ significativa la circostanza che detti provvedimenti sono stati notificati tra il 20 e il 27 luglio 1993.
Le voci raccolte nel circuito carcerario dal pentito Annacondia sull’intendimento di effettuare attentati terroristici confermerebbero la determinazione di questi ambienti a reagire all’attuale situazione, ritenuta disarticolante delle strutture criminali.
Altre matrici . …. Se la pista della criminalità organizzata, in particolare, cosa nostra, è quella che al momento raccoglie maggiore concretezza, …. È da valutare l’area dell’eversione ideologica, in particolare dell’estrema destra, che già in passato si è manifestata disponibile anche a forme di collaborazione con la criminalità organizzata.
Profili propositivi. ….. mantenimento di costante pressione sul crimine organizzato e sul carcerario, senza cedimenti nell’applicazione del 41 bis…”
Orbene, come si vede, dall’analisi effettuata dal CESIS all’indomani delle bombe di Milano e Roma, si ricava, innanzi tutto, che, seppur non escludendo del tutto altre matrici, veniva già individuata “cosa nostra” e, particolarmente, la parte facente capo ai “corleonesi”, quale responsabile degli attentati e, nel contempo, in tale ipotesi, comunque ritenuta come la più concreta, si individuava la causa scatenante della furia stragi sta nella proroga dei decreti relativi al 41 bis decisa dal Ministro della Giustizia il 16 luglio 1993 “contrariamente alla previsione largamente diffusa nell’ambiente
penitenziario – secondo cui i provvedimenti di sottoposizione a regime differenziato non sarebbero stati rinnovati alla scadenza”.
Ora, nel documento in esame non è specificato come e perché si fosse diffusa tale previsione (e convinzione) che fa il paio con le “aspettative deluse” di cui parla Di Maggio nell’intervista di cui al paragrafo precedente.
Ma anche tale “previsione” non può che ricollegarsi a quel nuovo clima che si era instaurato dopo la sostituzione dei vecchi vertici del D.A.P. e quell’inopinato primo tentativo dei nuovi vertici diretto alla riduzione dell’area di applicazione del regime carcerario prospettata con il documento programmatico del 26 giugno 1993.
Quanto all’appunto del CESIS in esame, poi, vanno inoltre evidenziati l’attendibilità attribuita alle propalazioni di Salvatore Annacondia e il suggerimento relativo al “mantenimento di costante pressione sul crimine organizzato e sul carcerario, senza cedimenti nell’applicazione del 41 bis…”
anche in questo caso in contrasto con la linea del D.A.P. che voleva invece lanciare “un segnale di distensione” e “non inasprire il clima” (né può ritenersi che il momento di quella proposta – fine giugno 1993 – fosse diverso, perché neanche un mese prima v’era stata la strage di via Georgofili a Firenze di analoga se non maggiore gravità rispetto a quelle di fine luglio 1993).

 

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