La consumazione del reato di minaccia

Si è osservato che sono ravvisabili nella condotta del Riina (e, quindi, di coloro che hanno moralmente o materialmente concorso in essa sotto il profilo della istigazione, codecisione, condivisione, agevolazione od attuazione esecutiva), consistita nella prospettazione di condizioni per la cessazione della contrapposizione frontale con lo Stato e delle stragi ed uccisioni già decise in
conseguenza di questa, gli estremi della minaccia, tuttavia, fatta salva l’ipotesi del tentativo pure in astratto configurabile […] che qui non rileva, punibile penalmente soltanto se portata (o,
comunque, pervenuta) a conoscenza del soggetto passivo, essendo questo un
elemento costitutivo necessario per la configurabilità del reato consumato.
Ebbene, si rinviene nelle stesse dichiarazioni del Ministro Conso e nelle ragioni dallo stesso addotte a giustificazione della sua decisione di non prorogare nel novembre 1993 i decreti del 41 bis esaminate nel paragrafo che precede la consumazione del reato di minaccia contestato dal P.M. al capo a) della rubrica, per essere stato raggiunto il medesimo Conso, nella sua qualità di Ministro del
Governo della Repubblica allora in carica, dalla prospettazione del “male ingiusto” (la prosecuzione della contrapposizione frontale con lo Stato e, conseguentemente, delle stragi) nel caso in cui il Governo della Repubblica non avesse accolto la richiesta di “cosa nostra” di attenuazione del rigore carcerario per i detenuti di mafia.
Qui rileva la distinzione che si è fatta sin dal Capitolo l di questa Parte Terza della presente sentenza, tra “trattativa”, che non costituisce in sé oggetto di una contestazione di reato, e minaccia a Corpo politico (nella specie il Governo della Repubblica) invece oggetto dell’imputazione di cui al capo a) della rubrica riportata in intestazione.
Ciò perché è del tutto irrilevante che al Ministro Con so non sia stata rappresentata l’origine delle pretese di Salvatore Riina e, anzi, che vi fosse stata una espressa manifestazione di quest’ultimo nel senso della esternazione di condizioni per porre termine a quella contrapposizione frontale con lo Stato che aveva dato luogo alle stragi.
Il Prof. Conso ha dichiarato, in proposito, di non avere saputo mai nulla di “trattative” con la mafia e di contatti tra i Carabinieri e questa per il tramite di Vito Ciancimino […].
E si è già detto che non v’è alcuna ragione di dubitare della veridicità di tale affermazione.
Rilevano, però, le reali ragioni della decisione del Ministro Conso di non prorogare i decreti del 41 bis quali sono state individuate all’esito della disamina effettuata nel paragrafo precedente, perché queste dimostrano – ed è ciò che è sufficiente ai fini della consumazione del reato di minaccia oggetto di verifica in questa sede – che al medesimo Ministro fu rappresentato lo stretto collegamento tra la questione carceraria e la contrapposizione frontale di “cosa nostra” e, quindi, le stragi e, per converso, l’opposto effetto, nel senso della cessazione della detta contrapposizione, che sarebbe potuto derivare dalla attenuazione del rigore carcerario.
Tale rappresentazione – ed il conseguente timore di ulteriori gravi attentati da parte di “cosa nostra” – condizionò la successiva decisione del Ministro, che si determinò, dunque, in quel momento, a lanciare un segnale, nel senso dell’attenuazione del rigore carcerario, che fosse percepibile da “cosa nostra” (da ciò la consapevole “non proroga” in blocco di quel rilevante numero di decreti applicativi del 41 bis) nella dichiarata “speranziella” […] che ciò servisse a mutare l’atteggiamento di frontale contrapposizione dell’organizzazione mafiosa e che potessero così prevalere gli
interessi agli “affari” pure da questa perseguiti (v. ancora audizione Conso citata: ” … .pensiamo agli affari. Perché poi la mafia, gira e rigira, avrà la componente crudele anche molto efficace, però …. …. …. .poi è venuto fuori via via anche questo concetto. Non bello, certo, ma di fronte alle stragi … “).
Il condizionamento della libertà, psichica e morale, di autodeterminazione del Ministro Conso per il timore che un “male ingiusto” potesse derivare dalla sua eventualmente diversa decisione di prorogare i decreti del 41 bis in scadenza a novembre così come già aveva fatto il 16 luglio 1993 (cui erano seguite le stragi del 27-28 luglio 1993 a Milano e Roma) e, comunque, che il rischio del
verificarsi di tale “male ingiusto” sia stato quanto meno percepito dal medesimo Ministro Conso (perché si è già evidenziato sopra – Capitolo 12, paragrafo 12.3 – che, ai fini della consumazione del reato di minaccia non è neppure necessario che questa abbia in concreto diminuito la detta libertà psichica e morale di autodeterminazione dei soggetto passivo), balza del tutto evidente dalle
dichiarazioni rese dal Prof. Conso il 24 novembre 2010 sopra già riportate, soprattutto nella parte in cui il detto teste, dopo avere infine esternato quelle che, più che le sopravvenienze giurisprudenziali di quei mesi dei 1993, erano le vere ragioni della sua decisione di non prorogare nel novembre 1993 i decreti del 41 bis, ha espressamente richiamato la speranza che una “persona più equilibrata” e
“meno esageratamente ostile”, dal teste individuata ed indicata in Bernardo Provenzano, potesse prendere il posto di Riina (v. dich. Conso citate: “… Totò RIINA, è stato un successo enorme… … …secondo me è stata una svolta fondamentale … … … e allora ecco che anche Totò RIINA doveva essere sostituito, che fosse PROVENZANO o no, al momento forse non era facile prevederlo ma sarà o lui o un altro che può darsi che abbandonino le linee dure … … … Lo speriamo perché se non abbiamo un briciolo di speranza! … … … Ero un sostenitore di quella tesi io …. … … […] verrà qualcun altro… … …speriamo che questa persona più equilibrata meno esageratamente ostile … … … Eh vabbè ma sempre … peggio di così come si fa? .. .. …… Era una speranza […]”) .
Orbene, si è già evidenziato come quell’accontentarsi da parte di un Ministro della Repubblica persino di avere contrapposto un mafioso, sì, ancora ostile allo Stato, purché, però, “meno esageratamente” di Salvatore Riina, manifesta plasticamente ed incontestabilmente il diffuso timore del medesimo Ministro di portare avanti quella linea della fermezza fortemente voluta dal Presidente del Consiglio Ciampi e dall’intero suo Governo (di cui il Prof. Conso era ben consapevole, tanto da non avere voluto coinvolgere i colleghi del Governo: “… io non voglio mica inguaiare o complicare la vita ai miei colleghi, agli altri Ministri…. … .. .. se ne parlavo in Consiglio dei Ministri, il giorno dopo la stampa e i giornali avrebbero rivelato tutto. Allora tanto valeva rinnovare e non stare a questa impostazione nuova di Provenzano”), nonché, sino ad allora, dallo stesso Ministro della Giustizia Conso e, poi, peraltro, ancora ripresa in tal uni successivi provvedimenti […].
Non può essere dubbio, allora, che la determinazione di quest’ultimo, maturata, sì, certamente in modo autonomo e convinto, ma condizionata da quelle conoscenze fattuali pervenutegli attraverso il canale Mori-Di Maggio (la “novità” di una possibile diversificazione di posizioni persino tra i due “corleonesi” al vertice di “cosa nostra” e gli effetti “positivi” dell’attenuazione del rigore carcerario)
comprova inequivocabilmente che la minaccia del “male ingiusto” di Riina fu certamente percepita dal Ministro Conso e, anzi, ancorché ciò non sia necessario ai fini della consumazione del reato, che in concreto fu il conseguente timore suscitato nel medesimo Ministro e la collegata “speranziella” di mutare il corso delle cose attenuando la contrapposizione frontale con la mafia che lasciava presagire ulteriori stragi, a indurre il medesimo Ministro a lanciare quel segnale di distensione
attraverso la “non proroga” di quel rilevante numero di decreti del 41 bis in scadenza a novembre del 1993 ed interessante anche alcuni esponenti di rilievo della stessa “cosa nostra”.
[…]
Già nelle parole del Ministro Conso riportate nel Capitolo precedente v’è con assoluta chiarezza la ragione della volontà del predetto di non fare trapelare all’esterno (ma anche all’interno del proprio dicastero) la conoscenza della sua decisione, questa volta diametralmente opposta a quella del precedente 16 luglio 1993, di non prorogare i decreti applicativi del regime del 41 bis in scadenza nel mese di novembre 1993.
La sintesi – chiara, significativa ed incontestabile – della detta ragione di riservatezza si rinviene nella frase pronunziata dal Prof. Conso dinanzi alla Commissione Parlamentare Antimafia: “Allora tanto valeva rinnovare e non stare a questa impostazione nuova di Provenzano”.
Il Prof. Conso così ha espressamente collegato il motivo della sua decisione sulla “non proroga” alla volontà di assecondare la “nuova impostazione di Provenzano” e cioè alla speranza che sul “sanguinario” Riina potesse prevalere la linea di Provenzano interessata più all’aspetto economico degli affari di “cosa nostra”.
Se non vi fosse stata questa – e questa soltanto – ragione della decisione “allora tanto valeva rinnovare” i decreti, che, dunque, per bocca dello stesso Ministro, non sono stati prorogati esclusivamente per quella finalità che, comunque, sarebbe stata vanificata ove fosse divenuta di pubblico dominio.
Ciò spazza via d’un colpo tutti i tentativi delle difese degli imputati di attribuire, invece, alla sentenza della Corte Costituzionale sul 41 bis ed alle pronunzie della Magistratura di Sorveglianza dei mesi precedenti il ribaltamento della linea ministeriale sulle proroghe dei decreti del 41 bis tra il mese di luglio 1993 e il successivo mese di novembre dello stesso anno (tesi, peraltro, smentita dallo stesso decreto ministeriale del 30 gennaio 1994, prodotto dalle difese degli imputati
Subranni, Mori e De Donno, che, infatti, ancora successivamente riprese le ragioni, già precedentemente esposte, dell’applicazione del regime del 41 bis per detenuti non certo più pericolosi o con ruoli associativi di maggiore rilievo rispetto a quelli dei provvedimenti non prorogati a novembre 1993 di cui si è detto sopra nel Capitolo 27, paragrafo 27.2).
[…]
Ma che la ragione della decisione del Ministro Conso di non prorogare in blocco quei decreti non possa ravvisarsi nella sentenza della Corte Costituzionale si ricava logicamente anche dal fatto che il medesimo Ministro ebbe volutamente a circondare la sua decisione da un estremo riserbo, tanto da essere ignorata da molti che avrebbero dovuto averne doverosa informazione e, comunque, da essere, infine, trapelata in un ristretto ambito per lo più parlamentare di addetti ai lavori.
Tale riserbo, infatti, non avrebbe avuto alcuna ragione d’essere se la causa di quella decisione fosse stata riconducibile alla sentenza della Corte Costituzionale (o alle pronunce della Magistratura di Sorveglianza).
Sarebbe stato facile, infatti, in tal caso, per il Ministro giustificare di fronte ai colleghi del Governo, al Parlamento ed all’opinione pubblica quell’attenuazione oggettiva della linea di rigore carcerario inaugurata ali’ indomani della strage di via D’Amelio con l’inevitabile e per lui doveroso adeguamento ai principi costituzionali e generali dell’Ordinamento.
Ma così non era […] Piuttosto, il Ministro Conso ha consapevolmente (come egli stesso ha dichiarato) tenuto il più possibile riservata la decisione di non prorogare i decreti del 41 bis sia
perché, evidentemente, non sarebbe stato minimamente possibile esplicitare pubblicamente (ma anche ai colleghi del Governo ed al Parlamento nel suo insieme) le vere ragioni di quella decisione che contrastava palesemente con la linea della fermezza da tutti, se non voluta, quanto meno sempre proclamata, sia perché la conoscenza pubblica di quelle ragioni avrebbe, come dallo stesso Conso dichiarato, vanificato l’obiettivo che egli si era prefigurato, quello di ottenere che in “cosa nostra” potesse prevalere la linea più “pacifista” di Provenzano rispetto a quella decisamente “sanguinaria” di Riina.
[…] In proposito, infatti, Carlo Azeglio Ciampi ha dichiarato che non fu avvertito di quella decisione del Ministro Conso né prima né dopo e che, comunque, tale decisione del Ministro Conso era certamente in contrasto con la linea del suo Governo […]
Che mai si sia parlato della detta decisione del Ministro Conso in sede di Consiglio dei Ministri è stato confermato all’udienza del 15 settembre 2016 anche dall’Avv. Fernanda Contri, che, in qualità di Ministro del medesimo Governo Ciampi, ebbe a partecipare a tutti i Consigli dei Ministri di quel
periodo […] e ciò riscontra la dichiarazione spontanea resa dall’imputato Mancino all’udienza del l0 febbraio 2017 secondo cui, appunto, mai quell’argomento fu affrontato in sede di Consiglio dei Ministri […] tanto che egli, che pure rivestiva la carica di Ministro dell’Interno, ebbe ad apprendere casualmente della mancata proroga dei decreti del 41 bis soltanto il 7 novembre 1993 quando la relativa notizia, nonostante il riserbo del Ministro, iniziò a trapelare sulla stampa locale siciliana […].
Si è già visto, poi, nel Capitolo precedente che neppure Giuseppe La Greca, all’epoca Capo di Gabinetto del Ministro Conso, quindi, il soggetto di più diretta collaborazione del Ministro medesimo, ebbe mai a sapere di quella decisione di quest’ultimo di non prorogare i provvedimenti applicativi del 41 bis […].
Appare, poi, ancora significativo che, così come non fu preventivamente informato il Ministro dell’Interno, così ugualmente non venne in alcun modo informato di quella decisione del Ministro Conso, se non altro per gli effetti che questa avrebbe potuto avere sotto il profilo dei collegamenti tra i detenuti mafiosi per i quali sarebbe cessato il regime maggiormente rigoroso e i sodali
mafiosi esterni, neppure il Direttore della Direzione Investigativa Antimafia Gianni De Gennaro, il quale, infatti, ha dichiarato di non avere saputo all’epoca della mancata conferma dei provvedimenti sul 41 bis del novembre 1993 dopo che anche alla stessa D.I.A., soltanto in data 29 ottobre 1993, erano state chieste le informazioni sui detenuti per i quali i decreti erano in scadenza già l’1 novembre successivo[…].
Ancora, nulla seppe, all’epoca, di tale decisione del Ministro, il Presidente della Repubblica Scalfaro […]. Così, ugualmente, nulla ebbero a sapere i magistrati della Procura di Palermo e,
quindi, di uno degli Uffici Giudiziari più direttamente interessati alla questione del 41 bis tanto da essere stato invitato nel settembre 1993 ad un apposito incontro sulla questione medesima […].
In ambito parlamentare, Invece, la notizia della decisione del Ministro ebbe qualche diffusione, avendone in tal senso testimoniato sia l’On. Virginio Rognoni […], sia l’Ono Gargani, il quale,
però, pur essendo allora Presidente della Commissione Giustizia della Camera, ha riferito che ebbe ad apprendere della decisione del Ministro comunque tardivamente da fonte non precisata […].
2654
Ma che anche in ambito parlamentare la diffusione di quella decisione fu alquanto limitata è comprovato dal fatto che neppure l’On. Brutti, all’epoca vice presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, ne ebbe conoscenza[…]. E lo stesso On. Brutti ha, peraltro, dichiarato di non avere avuto notizia allora neppure del carteggio tra l’On. Violante, Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, e il Ministro Conso riguardo alla questione del 41 bis
di cui si dirà di seguito […].
Di tale carteggio appena citato tra l’On. Violante, Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, e il Ministro Conso, ha riferito in questa sede il primo.
In particolare, esaminato all’udienza del 18 dicembre 2015, l’On. Violante ha, innanzitutto, riferito che già dopo gli attentati del 1993 egli aveva pubblicamente definito quelle bombe come “bombe del dialogo” […] finalizzato ad ottenere l’alleggerimento del 41 bis […] e cose di questo genere […] e di avere, quindi, ancora pubblicamente, denunciato pericoli di cedimento da parte dello Stato […].
Indi, l’On. Violante ha ricordato che, nel novembre 1993, egli, nella qualità di Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, aveva scritto al Ministro Conso per avere notizie sulla attuazione del 41 bis, ricevendo, però, una risposta, alquanto generica, il 15 dicembre 1993 […].
L’On. Violante, in conseguenza, ha ipotizzato che verosimilmente quella sua richiesta inviata il 10 novembre 1993 potesse essere stata determinata dalla notizia della non conferma dei provvedimenti sul 41 bis dei giorni precedenti […].
[…] Orbene, come si vede, dalla testimonianza dell’On. Violante si ricava, innanzi tutto, che ancora alla data del 10 novembre 1993 la decisione del Ministro Conso aveva avuto, al più, una diffusione esclusivamente “ufficiosa”, perché altrimenti sarebbe stata espressamente citata dal Presidente della
Commissione Parlamentare Antimafia.
[…] Dal carteggio sopra riportato, e, più specificamente, dalla risposta del Ministro del 15 dicembre 1993, si ricava, invece, incontestabilmente come quest’ultimo e il D.A.P. abbiano consapevolmente eluso l’informazione sulla decisione maturata riguardo alla “non proroga” dei decreti del 41 bis in scadenza a novembre 1993.
In particolare, il Ministro, rimandando ad un “attento ed approfondito esame” ancora in corso “da parte del competente Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria”, si limitava a citare l’analisi delle ”pronunce di inefficacia dei provvedimenti di applicazione del regime di cui all’art. 41bis o.p. emesse, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 281uglio 1993 n. 349, dai
vari Tribunali di Sorveglianza, per l’ulteriore definizione del regime penitenziario da applicare nei confronti dei detenuti per delitti di criminalità organizzata”, senza minimamente citare, Invece, non soltanto (comprensibilmente per l’impossibilità della loro pubblica esternazione) le ragioni della sua decisione, già attuata, di non prorogare un gran numero di decreti applicativi già scaduti nel novembre 1993, ma, neppure (e ciò non sarebbe comprensibile se non vi fossero state le esigenze di riservatezza di cui si è detto connaturate alla finalità non dichiarabile dal Ministro) che, appunto, in
quel mese di novembre, di fatto, era stato lasciato già decadere un siffatto rilevante numero di decreti.
Il D.A.P., a sua volta, e ciò dimostra anche il pieno coinvolgimento di tale Dipartimento nella decisione del Ministro, fornisce una relazione che, di fatto, riesce mascherare ciò che era effettivamente accaduto in quel mese di novembre.
Il D.A.P., infatti, parla del tutto genericamente di decreti “scaduti nel mese di novembre” e di interessamento degli Organi di Polizia ed Investigativi per “per acquisire notizie aggiornate sui singoli nominativi sia sotto il profilo processuale sia sotto quello investigativo allo scopo di proporre all’On.Ministro l’emissione di provvedimenti di rinnovo del regime speciale nei
confronti solo di quei soggetti che nell’ambito della criminalità organizzata risultino rivestire ruoli di particolare rilievo e per i quali tale regime appare necessario”, senza esplicitare chiaramente che, a prescindere dalle dette informazioni (che, come si è visto prima, furono chieste volutamente in ritardo), già tutti i decreti in scadenza in quel mese non erano stati più “rinnovati” (termine chiaramente equivoco utilizzato dal D.A.P. potendo riferirsi, sì, alla proroga prima della scadenza, ma anche da una eventuale futura emissione di un nuovo decreto).
Non solo, la nota del D.A.P., nel prosieguo, anzi lascia intendere che tutti i decreti “sono stati alla scadenza rinnovati per un periodo di ulteriori mesi sei” fatta eccezione per i “detenuti scarcerati, detenuti che hanno collaborato con la Giustizia nei confronti dei quali il regime di cui all’art. 41 bis D.P. è stato revocato, detenuti per i quali non ricorrevano più i presupposti di cui all’art. 41 bis D.P. essendo mutata la posizione giuridica”, aggiungendo, per di più, che, per il resto, “i provvedimenti di proroga, in ossequio al rilievo mosso dalla Corte Costituzionale nella sentenza 24 giugno – 28 luglio 1993 n. 349 e in osservanza ai principi generali del! ‘ordinamento, sono stati formulati con
puntuale motivazione per ciascuno dei detenuti cui sono rivolti, in modo da consentire ali ‘interessato una effettiva tutela giurisdizionale”.
Come si vede, dunque, v’è stata, da parte del D.A.P., una rappresentazione totalmente fuorviante della realtà di quanto era avvenuto nel precedente mese di novembre e tale non aderente rappresentazione è così eclatante ed evidente da non potere fare dubitare che essa sia stata indotta dallo stesso Ministro Conso (che, d’altra parte, ha personalmente inoltrato quella relazione al Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia e, dunque, ne conosceva il contenuto) per quelle esigenze di estremo riserbo che egli ha dichiarato di avere ritenuto indispensabili per non vanificare la finalità prefissatasi di tentare, attraverso quella sua determinazione, di dare un segnale di distensione alla mafia al fine di indurla a recedere dalla strategia stragi sta propugnata da Salvatore Riina.

 

fonte http://mafie.blogautore.repubblica.it/