L’infinita latitanza di Bernardo Provenzano

Nell’ambito della ricostruzione delle vicende nelle quali risulta racchiusa la minaccia rivolta da “cosa nostra” al Governo della Repubblica, sono stati sinora esaminati anche due profili delle condotte concorsuali, addebitate dalla Pubblica Accusa ai soggetti esterni alla predetta organizzazione mafiosa “che, per un verso, agevolavano la ricezione presso i destinatari ultimi della minaccia di prosecuzione della strategia stragista e, per altro verso, rafforzavano i responsabili mafiosi nel loro proposito criminoso di rinnovare la predetta minaccia” (v. capo di imputazione di cui alla lettera A della rubrica).
I detti due profili sono quello degli iniziali contatti con “uomini collegati a cosa nostra” (tra i quali Vito Ciancimino “nella sua veste di tramite con uomini di vertice della predetta organizzazione mafiosa ed ambasciatore delle loro richieste”) e della iniziale sollecitazione di “eventuali richieste di Cosa Nostra per far cessare la strategia omicidiaria e stragista”; e quello della successiva azione diretta a favorire “lo sviluppo di una trattativa fra lo Stato e la mafia, attraverso reciproche parziali rinunce in relazione, da una parte, alla prosecuzione della strategia stragista e, dall’altra, all’esercizio dei poteri repressivi dello Stato” (v. ancora capo di imputazione di cui alla lettera A della rubrica).
Ma v’è anche un terzo profilo della contestazione di reato formulata a carico dei medesimi soggetti esterni a “cosa nostra”, quello, invece, connesso al “protrarsi dello stato di latitanza di Provenzano Bernardo, principale referente mafioso di tale trattativa” (v. capo imputazione citato).
Orbene, tale terzo profilo della contestazione di reato si fonda, da un lato, sulla ricostruzione delle vicende relative ai contatti tra Mori, De Donno e Vito Ciancimino nella seconda metà dell’anno 1992 che è stata operata da Massimo Ciancimino e che, pertanto, per quanto detto (v. Parte Seconda della presente sentenza), deve essere totalmente disattesa, essendo frutto delle fantasiose “sovrastrutture” artatamente create da quel dichiarante sul (limitato) nucleo dei fatti veri dallo stesso effettivamente conosciuti; e, dall’altro, sostanzialmente e pressoché interamente, si fonda su un episodio di favoreggiamento che è stato oggetto di un separato processo definito con sentenza irrevocabile e che è temporalmente successivo anche alla seconda parte della condotta di minaccia,
quella nel confronti del Governo Berlusconi, che sarà esaminata successivamente nella Parte Quarta della presente sentenza.
Esclusa, dunque, la necessità di qualsiasi ulteriore considerazione per la parte concernente le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, occorre, allora, concentrarsi sull’episodio che ha dato luogo al diverso processo per favoreggiamento della latitanza di Bernardo Provenzano, quello verificatosi in Mezzojuso in data 31 ottobre 1995 e sviluppatosi nei giorni immediatamente successivi, e, più in generale, sulla vicenda della collaborazione della fonte confidenziale denominata “Oriente”, successivamente identificata in Luigi Ilardo, con il Ten. Col. Riccio, che è stata oggetto di una non piccola parte dell’istruzione dibattimentale svolta su sollecitazione dell’Accusa.
[…]
All’udienza del 14 gennaio 2016 veniva esaminato il teste Giuseppe Pignatone, il quale, in sintesi, quanto al tema oggetto del presente Capitolo, riferiva:
– di avere svolte le funzioni di sostituto procuratore presso la Procura di Palermo dal 1977 sino al 19 marzo 1996 […], occupandosi, in particolare, negli anni dal 1994 al 1996 soprattutto del territorio di San Giuseppe Jato e delle indagini per le ricerche di Brusca e Bagarella […];
– che nel mese di ottobre 1994 gli fu affidata l’indagine relativa a notizie raccolte dal Col. Riccio da una fonte confidenziale […] che avevano già consentito di arrestare alcuni latitanti e che avrebbero potuto condurre alla cattura di Provenzano (“Questa indagine aveva credo portato alla cattura dei latitanti, consegnarono una informativa di cui onestamente non ho alcun ricordo ormai, e c’erano state anche delle intercettazioni. A questo punto l’attività del Colonnello Riccio, basata su questa fonte di cui non fu detto il nome, né allora, né dopo, era mirata altra cattura di Provenzano”);
– che il procedimento affidatogli nasceva sostanzialmente da atti trasmessi a Palermo dalla Procura di Genova […];
– che il procedimento venne iscritto il 15 ottobre 1994 a seguito della riapertura delle indagini nei confronti di Simone Castello ed altri […] ed in esso confluirono una informativa del 15 aprile 1994 di cui egli non aveva avuto alcuna cognizione e una informativa del 30 settembre 1994 trasmessa da Genova nelle quali si faceva riferimento al latitante Provenzano[…];
– che all’epoca la delega per le indagini relative alle ricerche di Provenzano era affidata ai sostituti Natoli e Scarpinato (“Erano i colleghi Natoli e Scmpinato”) i quali continuavano tutte le indagini diverse da quelle scaturenti dalle informative di Riccio […];
– che il Procuratore Caselli gli disse di riferire soltanto a lui di quell’indagine e, inusualmente, di non parlarne con altri colleghi […];
– che la Procura di Genova aveva già svolto alcune indagini e, in particolare, alcune attività di intercettazione di utenze riferibili a Scaduto Giovanni […] e una intercettazione ambientale sull’autovettura di Castello Simone […];
– che la DIA manifestava grande ottimismo sulla possibile cattura di Provenzano […] anche tenuto conto della cattura di altri importanti latitanti già operata grazie alle informazioni della fonte confidenziale di Riccio […] la cui identità non gli venne mai rivelata sino a quando
IIardo venne ucciso[…];
– che non furono disposte attività classiche di indagine, ma periodicamente Riccio gli riferiva le informazioni acquisite dalla fonte riguardo a Provenzano […];
[…]
– che il Col. Riccio gli mostrò anche una o due lettere attribuite a Provenzano consegnategli dalla fonte[…];
– che Riccio gli disse in primo momento che la fonte non era disponibile a farsi arrestare insieme a Provenzano nel caso lo avesse incontrato, ma, in un secondo momento, invece, gli comunicò che la fonte aveva dato la disponibilità anche a tale evenienza […] e ciò nel periodo in cui Riccio lavorava
ancora alla DIA […] ed operava ancora con grande autonomia, cosa che, invece, non poté più fare dopo essere passato al ROS […];
– che, comunque, aveva incontrato Riccio anche dopo il rientro di questi al ROS anche se a quel punto l’indagine appariva sempre meno produttiva […];
– che il Dott. Pappalardo gli fece cenno all’indagine che a Genova vedeva coinvolto Riccio e che questo era il motivo per il quale era stato deciso il rientro nell’Arma […];
[…]
– di non avere mai parlato di quell’indagine successivamente con il Col. Mori, ma soltanto con Riccio e Obinu che talvolta lo accompagnava (“lo sono pressoché certo con Mori di questa indagine non ne ho mai parlato, sono invece certo di averne parlato, continuato a parlare con Riccio e di averne parlato in più occasioni con Obinu, che non so bene quale ruolo ricoprisse in quel
momento, ma con Obinu. Mori, fermo restando sempre il discorso di venti anni, mi pare proprio di no … … … Per quello che ricordo io, non ci sono … Obinu veniva con Riccio”);
– che nel 2002 o 2003, leggendone sui giornali, aveva sentito parlare per la prima volta della riunione di Mezzojuso cui aveva partecipato Provenzano, stupendosi perché Riccio non gliene aveva parlato […];
– che allora aveva fatto una relazione al Procuratore della Repubblica allegandovi un appunto rinvenuto nella memoria del suo computer relativo ad un incontro con Riccio avvenuto il l novembre 1995 e nel quale non vi era alcun riferimento all’incontro della fonte con Provenzano […];
[…]
– che l’annotazione nell’appunto di “prepararsi al meglio” era evidentemente riferita alla cattura di Provenzano (“Quando lui mi dice mi devo incontrare con la fonte, prepariamoci al meglio, è quello che diceva il cinquanta per cento delle volte, come ho detto … ……. il meglio era la cattura di Provenzano. Cioè dice facciamo … lo incontro la fonte, la fonte avrà la riunione e possiamo
catturare Provenzano, questo era il cinquanta per cento delle volte … … … La convocazione per l’indomani, io gli dico semplicemente: ovviamente se tu incontri la fonte oggi 31, dico, domani sei ancora a Palermo, vediamoci perché si evitavano i contatti telefonici, cioè, non è che per telefono si diceva ho incontrato la fonte, mi ha detto che, eccetera. Dico, visto che siamo qua vediamoci”);
– che, come annotato, egli dopo avere ricevuto la telefonata di Riccio aveva chiamato Pappalardo per sapere se Riccio lavorava ancora con la DIA […];
[…]
– che né Mori, né altri ufficiali del ROS ebbero mal a parlargli di quanto accaduto il 31 ottobre 1995 a Mezzojuso e di indagini fatte successivamente riguardo a tale accadi mento […];
[…]
– che tutta quella vicenda, d’altra parte, era stata alquanto anomala perché riguardava la cattura di Provenzano e si scontavano ancora le scorie residuate dalla mancata perquisizione del covo di Riina (“lo voglio… Mi permetto di insistere su una cosa, a me è stato chiaro dal primo minuto che questa era una indagine particolare, cominciando dalla assegnazione, come ho detto prima.
Cioè, è una indagine che il dottore Caselli, cioè il Procuratore della Repubblica, quel Procuratore della Repubblica, assegna fuori dagli schemi ordinari a me che ero… Cioè, quanto meno ero il più anziano dei Sostituti in servizio all’epoca e mi dice di parlare solo con lui, di non riferire né ad altri
Aggiunti, né ad altri Sostituti. E una anomalia che a me non è più successa con il dottore Caselli, né con altri. Parliamo di Provenzano. Riina era stato già arrestato due anni prima, quindi era il numero uno, magari insieme a Brusca e a Bagarella le cui indagini io stavo seguendo con modalità totalmente diverse, che erano quelle che dicevo prima, centinaia di intercettazioni, contatti
quotidiani con la Polizia che ti riferiva abbiamo visto questo, abbiamo visto quello, abbiamo sentito questo, forse quello è lo zio di quest’altro, c’è la società, ci può essere il prestanome, cose di questo genere. […] Aggiungo: la Procura di Palermo, siamo nel 95, era reduce da una cosa che non si è chiusa sostanzialmente ancora oggi nel 2016, e cioè dalla vicenda mancata perquisizione del covo di Riina, con tutte le polemiche, eccetera, che è credo patrimonio di tutti quelli che siamo in questa aula. […]”);
[…]
All’udienza dell’8 gennaio 2016 veniva esaminato il teste Alfonso Sabella, il quale, in sintesi, quanto al tema oggetto del presente Capitolo, riferiva:
– che durante il servizio prestato quale sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Palermo sia era occupato della cattura di numerosi esponenti mafiosi di primo piano latitanti, tra i quali, Domenico Farinella, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Carlo Greco, Pietro Aglieri, Vito Vitale e molti altri […];
[…]
– che nel corso delle indagini aveva, quindi, appreso che i Carabinieri avevano avuto modo di vedere il latitante Farinella in due o tre occasioni e che, tuttavia, non lo avevano arrestato adducendo ragioni poco convincenti (”Nel corso delle indagini, io mi arrabbio più volte perché viene fuori che in qualche modo Farinella l’avevano visto almeno due, se non tre volte, e non l’avevano mai arrestato. La cosa mi fece proprio arrabbiare, all’epoca non capii perché,
loro … Le giustificazioni che mi venivano fornite dal Ros erano che non avevano personale sufficiente, ma in un caso davanti a una gioielleria mi era sembrato un po’ forzata questa giustificazione e devo dire che ad un certo punto avevamo pure rischiato di perderlo Farinella”), tanto che quando era stata acquisita un’altra informazione sulla presenza di Farinella egli aveva invitato il Cap. Salsano ad andarvi personalmente, riuscendo, in quel caso, a catturare il latitante
[…];
[…]
– di non essersi mai occupato delle ricerche di Provenzano (“No, o meglio, non direttamente, non ho mai avuto … Non sono mai stato assegnatario di indagini che riguardassero Provenzano, Provenzano mi pare che fosse stato originariamente assegnato al dottor Pignatone, alla dottoressa Principato, c’era stato un periodo che c’è stato anche Natoli, Gioacchino Natoli nel Pool, ma io
non l’ho mai avuto tra i latitanti assegnati a me insomma”), anche se, occupandosi delle indagini sul “mandamento” di Corleone aveva in alcune occasioni acquisito notizie riguardo al detto Provenzano soprattutto con riferimento alla spaccatura che si era determinata con Riina ed altri riguardo alla
strategia stragista[…];
– che sulle ricerche di Provenzano v’era sostanzialmente una esclusiva del ROS (”Su Provenzano c’aveva l’esclusiva il Ros ed era sostanzialmente impossibile … lo percepivo anche gli umori delle forze di polizia, era sostanzialmente impossibile per le altre forze di polizia lavorare i, questo era evidente. Molte forze di polizia ci volevano lavorare, cosa che per esempio… Quando poi
inizierà a collaborare il Brusca, Brusca lo arrestiamo il 20 di maggio del 96, inizia praticamente già il 23 a fare dei colloqui investigativi con il Capo della Mobile e con il Capo della Catturandi o Vice Capo della Mobile, non mi ricordo Claudio Sanfilippo che cosa era, con Savina e Sanfilippo praticamente, e dà anche delle indicazioni su Provenzano. Queste indicazioni in realtà che dà
Brusca sono indicazioni… … … Brusca aveva dato, dicevo, delle indicazioni su Provenzano e quindi io avrei gradito che quelle indicazioni le sviluppasse almeno la Squadra Mobile, perché era la Squadra Mobile che aveva in qualche modo, insieme allo Sco, arrestato Brusca. Devo dire che… So che poi… Ho saputo poi da Savina, Sanfilippo che non è stato facile e che non sono riusciti a svilupparle più di tanto quelle indicazioni. […]”);
– che in più occasioni aveva esternato al Procuratore Caselli l’opportunità di togliere al ROS l’esclusiva sulle ricerche di Provenzano (“Sì, e sicuramente non sono stato il solo, glielo ho detto anche in più di una occasione, anche perché poi c’erano state varie polemiche, poi si sarebbero verificate le note vicende che avevano coinvolto la denuncia del Capitano De Donno… … …Sicuramente Vittorio Teresi, ne sono pressoché… Sono assolutamente certo, perché il colloquio avvenne anche in mia presenza. […]”);
– che all’epoca vi erano anche perplessità riguardo alla gestione da parte del ROS di alcuni collaboratori e, in particolare, di Cancemi Salvatore e Di Maggio Baldassare, soprattutto quando era emerso che quest’ultimo aveva fatto ritorno in Sicilia ed aveva iniziato ad uccidere soggetti vicino ai Brusca […];
[…]
– che aveva saputo che ad un certo momento il ROS aveva invitato i Carabinieri territoriali ad astenersi da attività di indagini nella zona di Marineo perché aveva in corso una importante operazione (” .. . ho avuto una informazione, qualcuno me lo disse, qualche ufficiale dei Carabinieri che aveva partecipato a quella … Non lo so, che in quell’occasione il Ros avrebbe chiesto ai territoriali di astenersi dal svolgere indagini nella zona di Marineo in particolare e di
Marineo, Misilmeri, ma Marineo, più Marineo che Misilmeri, perché avevano
una operazione grossa da fare in quella zona,[…]”);
[…]LA VALUTAZIONE DELLE RISULTANZE SULLA LATITANZA DI BERNARDO PROVENZANO
Come si è già anticipato sopra, sulla vicenda specifica della mancata cattura di Bernardo Provenzano allorché questi ebbe ad incontrarsi in Mezzojuso con Luigi Ilardo e, più in generale, sulla collaborazione che quest’ultimo ebbe ad intraprendere con il Col. Riccio con la precipua finalità di individuare ed arrestare i mafiosi latitanti, primo tra questi Bernardo Provenzano, si è già
formato, sulla assoluzione di Mario Mori (imputato in quel processo insieme a Mauro Obinu) dal contestato reato di favoreggiamento personale, un giudicato irrevocabile.
Pertanto, è necessario definire, innanzitutto, i confini dell’esame che questa Corte intende effettuare muovendo proprio dalla pronuncia ormai irrevocabile per la quale trovano applicazione i criteri generali di valutazione già esposti nella Parte Prima della presente sentenza, Capitolo 3, paragrafo 3.1 cui si rimanda.
[…] Mario Mori e il coimputato in quel processo Mauro Obinu sono stati assolti dal reato di favoreggiamento della latitanza di Bernardo Provenzano. Ciò costituisce un punto fermo della valutazione che questa Corte è chiamata qui ad effettuare.
E, tuttavia, gli imputati sono stati assolti per difetto dell’elemento soggettivo del reato in relazione ad una condotta che è stata accertata e che, per quanto si ricava dalle sentenze suddette, ha – o, quanto meno, può avere – oggettivamente consentito il ”protrarsi dello stato di latitanza di Provenzano Bernardo” secondo quanto contestato dalla Pubblica Accusa in questa sede (v. capo di
imputazione).
Nella sentenza di primo grado del 17 luglio 2013, invero, si legge che “sia pure alla stregua di un giudizio ex post, può, ad avviso del Tribunale, ammettersi che nell’arco di tempo oggetto della contestazione siano state adottate dagli imputati scelte operative discutibili, astrattamente idonee a compromettere il buon esito di una operazione che avrebbe potuto procurare la cattura di Bernardo Provenzano”.
Secondo il Tribunale, in sostanza, “può ritenersi che la condotta attendista prescelta con il concorso degli imputati sia sufficiente a configurare, in termini oggettivi, il reato addebitato “, ma “benché non manchino aspetti che sono rimasti opachi, la compiuta disamina delle risultanze processuali non ha consentito di ritenere adeguatamente provato – ad di là di ogni ragionevole dubbio, come richiede l’art. 533 cpp. – che le scelte operative in questione, giuste o errate, siano state dettate dalla deliberata volontà degli imputati di salvaguardare la latitanza di Bernardo Provenzano o di ostacolarne la cattura.
Ne consegue che i medesimi devono essere mandati assolti con la formula perché il fatto non costituisce reato, che sembra al Tribunale quella che più si adatti alla concreta fattispecie”.
Ancora più netto, sul punto, è il giudizio espresso dalla Corte di Appello con la
sentenza del 19 maggio 2016.
In tale sentenza, innanzitutto, viene complessivamente definito “opaco” l’operato del R.O.S. dell’epoca (dalla perquisizione del covo di Riina del gennaio 1993 sino all’episodio oggetto di quel processo relativo alla mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso nell’ottobre 1995, passando per la mancata cattura di Benedetto Santapaola nell’aprile 1993 di cui si dirà nel Capitolo che
segue), laddove, in un passo della motivazione, infatti, si legge: “… Né si può negare che -fermi restando i grandi meriti nel campo della lotta al terrorismo e della criminalità organizzata di questo reparto di eccellenza dell’Arma dei Carabinieri e i lusinghieri giudizi sull’operato complessivo del Mori espressi da autorevoli esponenti di Autorità civili e militari – molti episodi connotano di
opacità l’operato di questa articolazione dell’Arma in quel periodo, evidenziando una serie di incongruenze anche con riferimento ai fatti specifici che ci occupano ed a quelli precedenti o successivi che con questi hanno attinenza. Basti a tal uopo richiamare alcune delle risultanze che sono state riversate nel processo e che hanno riguardo, in particolare, alla mancata perquisizione del covo di Riina e all’episodio relativo alla presunta, omessa cattura di Benedetto Santapaola in Terme Vigliatore, nell’aprile 1993”.
Tuttavia, la Corte di Appello ritiene che non possa “non concordarsi con i Giudici di primo grado laddove gli stessi affermano la sussistenza sotto il mero profilo oggettivo delle condotte ascritte agli imputati che possono, in astratto, anche con giudizio ex ante, configurare sotto il mero profilo oggettivo il reato addebitato agli imputati”.
[…] la Corte di Appello ha respinto la richiesta della difesa di assoluzione per insussistenza dei fatti contestati, osservando in proposito “orbene, volendo tirare le fila del ragionamento sin qui seguito, non possono certamente accogliersi le richieste della difesa che vorrebbero una pronuncia affermativa dell’insussistenza dei fatti contestati. Non vi è dubbio, invero, che, data per certa la presenza del Provenzano all’interno del casolare di contrada Fondacazzo – presenza basata non già sulle inutilizzabili dichiarazioni del Riccio, bensì sulle chiare ed inequivocabili dichiarazioni dei collaboranti, sul punto credibili perché logiche, precise, prive di contraddizioni e, soprattutto,
sorrette dai riscontri oggettivi costituiti dalla identificazione dei personaggi che sicuramente avevano sostenuto la latitanza del Provenzano – emerge una condotta, quantomeno, contrassegnata da presa di distanza dalle emergenze e dagli sviluppi dell’indagine svolta dal Riccio, nonostante i successi sul piano della ricerca dei latitanti delle informazioni fornite dall’llardo a quest’ultimo, nonché da scelte tecniche discutibili astrattamente idonea ad integrare, dal punto di vista oggettivo la fattispecie di reato in contestazione”.
Ed allora, la Corte di Appello di Palenno, conformemente, peraltro, alla pronunzia di primo grado, ha ritenuto di giungere all’esclusione dell’elemento psicologico del reato soltanto per l’assenza di prove univocamente idonee a dimostrare in termini di certezza che gli imputati avessero voluto favorire la latitanza di Provenzano […], non potendosi, infatti, escludere che gli imputati “pur avendo presente la connessione causale tra il loro agire e l’evento (sottrazione del Provenzano alla cattura), abbiano realizzato le condotte loro contestate, per trascuratezza, imperizia, irragionevolezza o, piuttosto per altro biasimevole motivo”,
Da tali conclusioni emerge chiaramente il perimetro della valutazione che può essere effettuata in questa sede: quello della verifica degli effetti che le condotte materiali degli imputati […] hanno prodotto riguardo al ”protrarsi dello stato di latitanza di Provenzano” (v. capo d’imputazione) e sulle determinazioni operative di “cosa nostra” in relazione al reato di minaccia contestato e, più specificamente, all’eventuale rafforzamento dei “responsabili mafiosi nel loro proposito criminoso di rinnovare la predetta minaccia” (v. ancora il medesimo capo di imputazione).
Ebbene, i punti fermi della ricostruzione fattuale di quegli accadimenti possono facilmente sintetizzarsi alla stregua delle risultanze convergenti ed univoche degli elementi di prova prima riportati:
l) è assolutamente certo e provato che il 31 ottobre 1995 vi fu un incontro tra Luigi I1ardo e Bernardo Provenzano nelle campagne di Mezzojuso, ancorché la circostanza sia ancora ostinatamente negata dal difensore degli imputati Subranni e Mori nonostante la stessa risulti accertata e confermata anche nella sentenza del Tribunale di Palermo sopra citata e pure richiamata ad ogni piè sospinto nel corso del dibattimento dal medesimo difensore, che, in più occasioni, l’ha, peraltro, definita un “monumento giuridico”;
2) è assolutamente certo e provato che Mori e Subranni (ancorché quest’ultimo all’epoca avesse già lasciato il Comando del R.O.S.) furono informati preventivamente (seppure coi tempi ristretti determinati dal pervenimento della notizia da parte dell’Ilardo) dell’incontro che l’Ilardo medesimo si accingeva adavere, con elevatissima probabilità, con Bernardo Provenzano;
3) è assolutamente certo e provato che anche Mori e Subranni erano a conoscenza in quel momento della elevatissima attendibilità delle indicazioni sino ad allora fomite dalla fonte “Oriente” (Luigi I1ardo) e veicolate dal Col. Riccio, che avevano, infatti, consentito già di catturare un gran numero di latitanti di mafia anche di grande rilievo all’interno dell’associazione “cosa nostra” (quali, ad esempio, Domenico Vaccaro e Salvatore Fragapane) e che avevano condotto alla aggregazione, di fatto, del Col. Riccio al R.O.S. per consentirgli di proseguire nelle indagini dirette alla cattura anche di Bernardo Provenzano;
4) è assolutamente evidente che il servizio predisposto in occasione dell’incontro tra Ilardo e Provenzano del 31 ottobre 1995 fu del tutto inadeguato rispetto all’importanza del possibile obiettivo ed alle capacità investigative dell’allora Col. Mori, da tutti riconosciute e decantate nonostante l’altrettanto evidente “flop” della mancata perquisizione del covo di Riina di cui si è già
detto e della mancata cattura di Benedetto Santapaola di cui si dirà;
5) è assolutamente inspiegabile, per un Reparto d’elite qual è il R.O.S., l’inerzia investigativa che seguì nell’immediatezza dell’avvistamento delle autovetture giunte nei pressi del casolare in cui avvenne l’incontro (nonostante questo fosse durato ben otto ore secondo quanto poi riportato nella informativa “Grande Oriente”) ed, ancor più, soprattutto l’inerzia investigativa dei giorni immediatamente successivi, quanto meno per l’omessa attivazione di ulteriori servizi di osservazione, per l’omessa immediata identificazione degli intestatari delle autovetture avvistate, per l’omessa conseguente attivazione di intercettazioni ambientali e telefoniche e persino per l’identificazione dei proprietari e degli utilizzatori del casolare, attività tutte che certamente qualsiasi capace investigatore (anzi, qualsiasi “normale” investigatore) avrebbe tentato di compiere indipendentemente dalla aspettativa di un possibile ulteriore incontro di Ilardo con Provenzano;
6) sono ugualmente inspiegabili – e non sono state, di fatto, spiegate come si evince anche dalle sentenze prima richiamate […] le innumerevoli “anomalie” investigative che si sono verificate da lì in poi e sino alla uccisione di Luigi Ilardo e ancor dopo sino alla stesura del rapporto “Grande Oriente” e, soltanto molto tempo dopo, alla individuazione ed arresto di Giovanni Napoli ed altri favoreggiatori della latitanza di Provenzano, in relazione alle quali, rinviando per maggiore
completezza alle risultanze delle citate sentenze e dell’istruttoria compiuta nel presente dibattimento di cui prima si è dato conto, possono ricordarsi:
– la vicenda delle relazioni di servizio, per le quali appare grave sia, seguendo la versione di Mori, che tali relazioni non siano state pretese, sia, seguendo invece la versione di Riccio, che le stesse non siano state adeguatamente protocollate e custodite, oltre che tempestivamente trasmesse all’Autorità Giudiziaria;
– la mancata informazione a quest’ultima di quanto accaduto direttamente da parte del R.O.S. e di Mori che pure erano stati coinvolti nell’azione del 31 ottobre 1995, come è dimostrato dalla partecipazione ad essa della Sezione Anticrimine di Caltanissetta, e ciò tanto più se Riccio, come sostenuto da Mori, all’epoca non era stato formalmente aggregato al R.O.S. medesimo (v., sul
punto, anche quanto osservato dalla Corte di Appello con la sentenza del 19 maggio 2016: “…se è discutibile l’obbligo di riferire quello che si apprende dalla viva voce della fonte confidenziale, non vi è, invece, dubbio alcuno sull’obbligo di riferire allorché, a seguito di notizie apprese per tale mezzo, siano state svolte indagini che abbiano sortito effetti positivi, ed a maggior ragione ove siffatte indagini siano suscettibili di ulteriori sviluppi investigativi. Nemmeno coglie nel segno l’ulteriore strale difensivo sopracennato … … … che individua nel solo Riccio il destinatario dell’obbligo previsto dall’art. 347 del codice di rito”);
– la redazione del rapporto “Grande Oriente”, del quale, a prescindere da Riccio, è bene sottolinearlo, il RO.S. si è assunta la paternità e responsabilità, nel quale, nonostante nel frattempo Ilardo fosse stato ucciso e non vi fosse, dunque, più la possibilità di ulteriori incontri con Provenzano, v’è ancora una ricostruzione lacunosa degli accadi menti e viene persino omessa ancora l’identificazione di Giovanni Napoli (v. sentenza della Corte di Appello di Palermo del 19 maggio 2016 secondo la quale ciò è avvenuto ” … in modo sicuramente inspiegabile e non giustificabile”) e degli altri favoreggiatori del Provenzano, ivi compreso di colui che si serviva della Fiat Campagnola di colore verde già avvistata il 31 ottobre 1995 e, ancora, a seguito del servizio disposto dal Cap. Ierfone (v. sopra), il 23 maggio 1996;
– il tempo ancora trascorso successivamente per l’attivazione delle attività di intercettazione (soltanto a partire dal 21 ottobre 1996 secondo quanto risulta dalla certificazione del 6 maggio 2003 acquisita agli atti) nei confronti dei soggetti coinvolti in quell’episodio del 31 ottobre 1995 e, peraltro, soltanto da parte dei Carabinieri del R.O.N.O. per le asserite ricerche del latitante Francesco Nangano, mentre i Carabinieri del R.O.S., facendo seguito alla informativa “Grande Oriente”, soltanto il 5 novembre 1996 chiedevano di intercettare due utenze riferibili a Giovanni Napoli e ciò nonostante già la stessa sera del 31 ottobre 1995 Luigi Ilardo avesse comunicato il numero di un’utenza del medesimo Napoli secondo quanto è riportato anche nella informativa del R.O.S.denomianta “Grande Oriente”.
In ogni caso, ci si è limitati qui ad un’elencazione del tutto sommaria delle risultanze fattuali poiché, comunque, infine, occorre arrestarsi di fronte alla assoluzione irrevocabile dell’imputato Mario Mori dal reato di favoreggiamento della latitanza di Bernardo Provenzano.
Nel processo già concluso non si è raggiunta, infatti, come si è visto sopra, la prova sull’elemento psicologico del reato contestato.
[…]
Si vuole dire in altre parole che la condotta omissiva di Mori (e, sia pure in limiti certamente più circoscritti, in questa circostanza, di Subranni) riguardo alla vicenda del 1995-96 oggetto del presente Capitolo, non è incompatibile, sotto il mero profilo fattuale C come, invece, lo sarebbe stato se, al contrario, il R.O.S., in quell’occasione, senza alcuna “opacità”, avesse dispiegato tutte le
proprie forze, tutto il proprio impegno e tutte le proprie capacità investigative per catturare Provenzano o, quanto meno – e vi era certamente la concreta possibilità di farlo – per disarticolare immediatamente la rete di protezione della sua latitanza, così da agevolare, almeno potenzialmente, il tentativo di catturarlo), con quelle del biennio 1992-93 ben più ampiamente ricostruite nei
Capitoli precedenti e non ne pregiudica, quindi, le relative valutazioni e conclusioni, ancorché questa del 1995-96, non possa essere utilizzata, per la carenza dell’elemento psicologico, ai fini della conferma del terzo profilo della condotta qui contestata e cioè quello di avere consapevolmente assicurato “il protrarsi dello stato di latitanza di Provenzano Bernardo” (v. capo di imputazione), nonostante le condotte oggettivamente poste in essere possano effettivamente avere rafforzato “i responsabili mafiosi nel loro proposito criminoso di rinnovare la predetta minaccia” (v. ancora capo di imputazione).
– che allorché egli ed il Dott. Teresi sollecitavano che si togliesse al ROS l’esclusiva delle indagini per le ricerche di Provenzano e sembrava che il Dott. Caselli potesse addivenire a tal decisione, giungevano notizie di contatti di ufficiali del ROS con altre Procure finalizzati a far sapere che erano imminenti esiti positivi di quelle indagini […];

 

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