La regia di Marcello Dell’Utri

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Escluso che l’imputato Marcello Dell’Utri abbia avuto un ruolo nelle vicende del 1992 e, quindi, nella minaccia che fu formulata dall’associazione mafiosa “cosa nostra”, […], occorre ora esaminare se, come pure contestato al capo a) della rubrica riportato in epigrafe, il medesimo, nel prosieguo, abbia, comunque, posto in essere condotte idonee a provocare o rafforzare nei responsabili mafiosi l’intento di rinnovare ancora la minaccia questa volta nei confronti del Governo Berlusconi.
E’ necessario, però, muovere da alcune premesse fattuali che, nell’ottica dell’accusa, costituiscono l’antecedente di tale minaccia e che pure sono state oggetto di attività istruttoria dibattimentale.
La prima di tali premesse è costituita dall’iniziale progetto di “cosa nostra” di dare luogo ad una iniziativa politica di carattere autonomista creando un proprio movimento politico denominato “Sicilia Libera”.
[…] Il teste Serafini, come si è visto sopra, ha ampiamente riferito, con l’informativa della D.LA. del 31 gennaio 1998, acquisita all’udienza del 13 novembre 2015 e con la testimonianza resa nel dibattimento all’udienza del 22 ottobre 2015, sui progetti politici di carattere autonomista che sin dall’inizio degli anni novanta iniziarono a svilupparsi suscitando anche tal uni interessi delle associazioni mafiose operanti nell’Italia meridionale che intravidero i vantaggi che sarebbero potuti derivare per esse quanto meno da un’ulteriore accentuazione delle autonomie locali se non da un’effettiva separazione di carattere federativo.
Le indagini effettuate dalla DIA hanno fatto emergere collegamenti dei nuovi movimenti autonomisti di quegli anni sia con ambienti della destra anche eversiva, sia con ambienti della massoneria deviata, sia, infine, con ambienti della criminalità organizzata di tipo mafioso.
Emblematica di un simile connubio è, ad esempio, quella iniziativa congressuale della Lega Meridionale Centro Sud Isole (movimento pressoché parallelo agli altri che nel nord e nel centro d’Italia si costituirono contestualmente per opera di Stefano Menicacci, già legale di Stefano Delle Chiaie) che fu diretta a proporre, tra le altre, le candidature politiche, da un lato, di Licio Gelli e, dall’altro, di Vito Ciancimino che pure ebbe a partecipare personalmente a quel congresso.
Il teste Serafini ha anche riferito di un comizio tenuto personalmente da Stefano Delle Chiaie sul finire del 1991 in Sicilia e sulla proposta avanzata dallo stesso, tra l’altro, dell’abolizione delle “leggi eccezionali”, che indubbiamente avrebbe potuto suscitare l’interesse dell’associazione mafiosa “cosa nostra” in quanto riferita anche alla legislazione antimafia di carattere speciale.
Ebbene, ancora secondo quanto riferito dal teste Serafini, tra i referenti siciliani di quella Lega si segnalano Antonino Strano (di cui emergevano già contatti sia con ambienti di Ordine Nuovo, sia con il noto Pietro Rampulla, successivamente compartecipe della strage di Capaci) e Giuseppe Lipera, i quali, il successivo 28 ottobre 1993, avrebbero costituito il movimento federalista Sicilia Libera di Catania in parallelo all’analoga iniziativa palermitana della fondazione, in data 8 ottobre 1993, di Sicilia Libera di Palermo ad opera, tra gli altri, di Vincenzo Edoardo La Bua (che nel prosieguo costituirà, però, un circolo della nuova formazione politica di Silvio Berlusconi denominata Forza Italia) e di Tullio Cannella.
Ancora, quanto alla testimonianza di Serafini, va rimarcato che Sicilia Libera Palermo e Sicilia Libera Catania furono in contatto tra di loro per il tramite del Principe Domenico Orsini (frequentatore della Villa Vanda di Licio Gelli), oltre che dello stesso Tullio Cannella, cui è opportuno fare, innanzitutto, riferimento per i rapporti tra il movimento Sicilia Libera e “cosa nostra”.
Ed invero, in proposito, Tullio Cannella, sicuro protagonista della vicenda per essere stato, come si è visto, tra i fondatori di Sicilia Libera di Palermo cui seguì la costituzione anche di Sicilia Libera di Catania, ha riferito, per conoscenza diretta, che l’idea di fondare quel nuovo partito autonomista nacque conversando con Bagarella nell’estate del 1993 (“Sì, nel periodo dell’estate 93, ne cominciammo a parlare nell’agosto del 93 e piano piano, piano piano lo abbiamo portato avanti, e poi insomma ha avuto il suo…”), in quanto quest’ultimo, sostanzialmente, intendeva così bypassare l’intermediazione di uomini politici, inserendo, piuttosto, nel nuovo movimento politico soggetti che
fossero diretta espressione di “cosa nostra” […].
L’iniziativa della fondazione di Sicilia Libera, pertanto, deve farsi risalire direttamente a Bagarella, il quale incaricò a tal fine Tullio Cannella e si attivò per reperire alcuni collaboratori per i diversi territori siciliani […], che avrebbero dovuto individuare anche personaggi di spicco che potessero fare da catalizzatori di consensi elettorali […].
La riferibilità dell’iniziativa a “cosa nostra” nel suo insieme fu confermata a Cannella dal fatto che Bagarella, dopo quelle iniziali conversazioni, gli disse che si sarebbe prima consultato anche con Bernardo Provenzano […] e che successivamente, quindi, gli diede l’autorizzazione a procedere in quel progetto […].
[…] Lo stesso Cannella ha ancora riferito anche di un incontro che verso la fine del 1993 si tenne tra i rappresentanti dei vari movimenti separatisti a Lametia Terme (“Questo incontro, se non vado errato, avviene sempre nel 93, verso la fine mi pare, comunque avviene a Lamezia Terme dove vi erano presenti tutti gli esponenti di Sicilia Libera, di Catania, Sicilia Libera di Palermo, Calabria
Libera, Basilicata Libera e così via di seguito e vi erano anche rappresentanti della Lega Nord. Questo è un fatto che ho vissuto, insomma importante. Mi ricordo anche il nome di questi della Lega Nord, mi pare che c’era un tale Tempesta, se non vado errato, un certo Marchioni, Marchionne, comunque uno o l’altro … Erano tutti e due vicini alla Lega Nord, uno comunque faceva parte
mi pare della compagine di segreteria, non so che ruolo avesse. Poi vi erano un paio di Deputati Regionali delle Calabrie, uno della Calabria e uno della Basilicata, quindi vi erano tutti questi esponenti, dove si … “) ed al quale parteciparono, quindi, anche alcuni rappresentanti di Catania, tra i quali quel Nino Strano di cui si è già detto sopra ed anche tale Nando Platania […], soggetto risultato essere in contatto con Marcello Dell’Utri secondo quanto emerso dall’esame di una delle
agende personali sequestrate a quest’ultimo ed in particolare da un’annotazione riportata proprio in un giorno, il 21 dicembre, della fine dell’anno 1993 di cui si è detto […].
Ancora, Cannella, quanto ai collegamenti di Sicilia Libera con “cosa nostra”, ha aggiunto che Bagarella aveva informato di quell’iniziativa politica anche i fratelli Graviano, i quali si erano messi a disposizione (v. dich. Cannella: “[…]e allora i fratelli Graviano ci fecero mettere a disposizione, però abbiamo pagato, con uno sconto ma abbiamo pagato, la sala convegni dell’Hotel, come si chiama? Palace … Che è San Paolo mi pare, in Via Messina Marine, Palace, San Paolo,[…]… E quindi i fratelli Graviano sì, ne furono messi a conoscenza e organizzammo infatti il primo incontro del movimento all’Hotel San Paolo Palace, ecco, quello di Via Messina Marine …. … … Avviene sempre in quel periodo, sempre nel 93, alla fine del 93 …… … Penso di sì, oppure fu all’inizio del gennaio 94, adesso non mi ricordo bene, prima delle elezioni politiche, boh, insomma non mi ricordo bene, giù di lì, comunque avvenne”), ancorché essi, per quel che Filippo Graviano ebbe a dire personalmente al Cannella, fossero scettici sulla detta iniziativa e preferissero portare avanti
alcuni importanti contatti politici che già avevano intrapreso […].
Di tali contatti si dirà nel paragrafo successivo, ma quel che può rilevarsi è che le iniziative parallele di così importanti esponenti di rilievo dell’organizzazione mafiosa che infine prevalsero anche sull’idea del partito in proprio di Bagarella, svuotarono, di fatto, alla fine dello stesso 1993 il progetto di Sicilia Libera, che, infatti, fu pressoché abbandonato già in occasione delle elezioni comunali di Palermo del novembre di quell’anno, tanto che Bagarella stesso si disinteressò della formazione della lista […].
[…] Ma, come detto, non sembra necessario approfondire ulteriormente il progetto di
“cosa nostra” di creare un proprio movimento politico, perché tanto Cannella, quanto Brusca e Giuffrè hanno concordemente riferito che ad un certo momento in “cosa nostra” maturò l’idea che potesse essere più proficuo appoggiare un nuovo movimento politico, la cui nascita, in quel medesimo periodo, iniziava a preannunciarsi in vista delle elezioni politiche che si sarebbero svolte nella successiva primavera del 1994.
Di ciò si parlerà più diffusamente nel paragrafo che segue, ma è opportuno qui evidenziare, per il rilievo che potrà assumere in relazione alla figura di Marcello Dell’Dtri che qui importa delineare, che in “cosa nostra” si ebbe notizia dell’imminente nascita di quel nuovo movimento politico ancor prima della sua ufficializzazione e che ciò comportò, sostanzialmente, il progressivo abbandono
del progetto di Sicilia Libera.
In proposito, invero, Tullio Cannella ha riferito che egli aveva appreso della imminente nascita del nuovo partito di Berlusconi in ambienti di “cosa nostra” prima della presentazione ufficiale (” .. io che c’era in programma la discesa in piazza di questo movimento politico di Berlusconi, io lo apprendo un pochettino prima nell’ambiente di Cosa Nostra … “) e che certamente da ben prima, forse addirittura dai primi mesi del 1993, ne era informato anche Bagarella […].
La conoscenza anticipata da parte di “cosa nostra” della nuova iniziativa politica di Silvio Berlusconi si trae anche dalle dichiarazioni di Antonino Giuffré […].
Tale dato temporale è stato fortemente contestato dalle difese degli imputati e, specificamente, soprattutto dalla difesa di Marcello Dell’Utri, ma, anche a volere tralasciare le risultanze che portano a retrodatare le prime “avvisaglie” della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi addirittura al 1992 […], basta ricordare che il teste Ezio Cartotto ha datato con certezza (anche per un incidente che gli era occorso il giorno precedente) nei primi di aprile del 1993 un colloquio che egli stesso ebbe con Berlusconi e Craxi avente ad oggetto la nuova iniziativa politica di Berlusconi […] e la conseguente decisione di por termine alla riservatezza sull’iniziativa sino ad allora mantenuta […].
Da quel momento, dunque, non v’è dubbio che molti iniziarono a venire a conoscenza di quell’intendimento di Silvio Berlusconi […] e non è, pertanto, inverosimile che, grazie agli accertati rapporti di Marcello Dell’Utri con esponenti mafiosi quali Gaetano Cinà e Vittorio Mangano, oltre che con altri esponenti della mafia catanese, nell’ambito di “cosa nostra” possa essere giunta la notizia della nuova iniziativa politica così come anche in questa sede confermato dai collaboratori di Giustizia prima ricordati. D’altra parte, che il canale delle conoscenze di “cosa nostra” possa essere stato quello di Marcello Dell’Utri è confermato dal fatto che è proprio a quest’ultimo
che i mafiosi di diverse appartenenze decidono di rivolgersi per giungere sino a Silvio Berlusconi.
Di ciò occorre parlare nel paragrafo che segue.

4.2 L’INTERLOCUZIONE DI “COSA NOSTRA” CON MARCELLO DELL’UTRI IN OCCASIONE DELLE ELEZIONI POLITICHE DEL 1994
[…] Fu in tale contesto, dunque, che, secondo Giuffré, Marcello Dell’Utri venne ad assumere il ruolo che fino al suo arresto era stato svolto da Vito Ciancimino […]. Tale propalazione del Giuffrè, peraltro, trova riscontro anche nelle confidenze raccolte da Stefano Lo Verso direttamente da Provenzano nel periodo (gennaio 2004) nel quale lo aveva ospitato in una sua abitazione.
Lo Verso, infatti, ha riferito che Provenzano gli aveva fatto il nome di Marcello Dell’Utri come soggetto che aveva preso il posto di Lima quale referente politico dell’associazione mafiosa dopo le stragi (v. dich. Lo Verso già sopra riportate: ” … Dopo che lui mi raccontò l’evento delle stragi, mi disse: dopo le stragi Marcello Dell’Utri si avvicinò ai miei uomini, diventò lui il referente,
prese il posto di Lima .. “) e che, per tale ragione, lo stesso Provenzano si era a quel punto personalmente impegnato nella campagna elettorale in favore di Forza Italia (v. ancora dich. Lo Verso citate: ” .. E Provenzano mi dice: tanto che nel 1994 Forza Italia in Sicilia l’ho fatta votare io…. … .. .. E nel 1994 Provenzano mi disse: l’ho fatto votare io Forza Italia in Sicilia … … … lui mi
dice chiaramente, dice, il referente è diventato lui, lui ha sostituito Lima …lui mi dice che nel 1994, Forza Italia in Sicilia l ‘aveva fatto votare lui .. “).
Ma, come si è visto sopra, tra gli esponenti mafiosi che avevano maturato l’idea di avvalersi dei risalenti rapporti con Marcello Dell’Utri per raggiungere Berlusconi, Giuffrè ha indicato anche i fratelli Graviano (v. dich. Giuffrè prima riportate: “…Questo è un discorso che è maturato dentro Cosa Nostra, quindi è un discorso nostro, maturato nell’ambito di Provenzano, di Aglieri, di quelle
persone che ancora … dei Graviano…”).
Infatti, ancora secondo Giuffré, in quell’ultimo periodo, i contatti con Dell’Utri erano stati ripresi dai Graviano[…], così come egli ebbe ad apprendere direttamente da Provenzano […].
Tale indicazione collima pienamente con quanto riferito da Tullio Cannella, secondo cui, quando egli si rivolse ai Graviano per ottenere supporto nell’iniziativa di Sicilia Libera, questi ultimi, pur manifestando disponibilità, rappresentarono di preferire la diversa strada degli “agganci potenti” con la politica che gli stessi vantavano […].
Sotto il profilo temporale, quindi, un primo punto fermo della nuova strategia delineatasi in “cosa nostra” con la decisione di puntare sulla nuova forza politica affacciatasi nel panorama nazionale avvalendosi della intermediazione di Marcello Dell’Utri, si ricava dalle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza concernenti l’incontro che questi ebbe il 19 o il 20 gennaio 1994 a Roma con Giuseppe
Graviano e di cui si è già detto sopra nella precedente Parte Terza della sentenza, Capitolo 32.
Gaspare Spatuzza, […], ha riferito, infatti, che allorché in quell’occasione ebbe ad incontrare, presso il Bar Doney di Roma, Giuseppe Graviano, questi, con espressione felice, gli disse di avere ottenuto ciò che volevano grazie a “persone serie” subito indicate in Silvio Berlusconi e nel “compaesano” Dell’Utri che aveva fatto da intermediario e che, quindi, si erano “messi il paese nelle mani”[…].
In tale contesto, dunque, matura in “cosa nostra” (tanto nell’ala facente capo agli alleati di Riina, tanto nell’ala contrapposta facente capo a Provenzano) la decisione di appoggiare il neo costituito partito politico “Forza Italia” nella convinzione che, grazie al canale diretto con il suo fondatore Silvio Berlusconi garantito dai risalenti e ampiamente sperimentati rapporti con Marcello Dell’Utri, si sarebbero potuti ottenere i benefici per i quali tutta l’organizzazione mafiosa si era impegnata sin dalla metà del 1992 (non è secondario ricordare, infatti, che sebbene già da alcuni mesi vi fossero stati significativi segnali della “discesa in campo” di Berlusconi, tale partito nasce poi ufficialmente, con l’apporto determinante di Marcello Dell’Utri, proprio negli stessi giorni in cui Giuseppe Graviano, con espressione felice e gioiosa, manifesta a Spatuzza la propria soddisfazione per le prospettive favorevoli all’organizzazione mafiosa che l’affermazione di quel nuovo partito lasciava prevedere).
Copiose e tutte concordanti, in proposito, sono le dichiarazioni dei collaboranti esaminati nel presente processo.
Ed invero, possono, innanzi tutto, ricordarsi ancora le propalazioni di Antonino Giuffrè, il quale, appunto, ha sottolineato come si fosse aperto, a quel punto, un nuovo capitolo della storia dei rapporti tra la politica e “cosa nostra” con la decisione di appoggiare quel nuovo partito che, poi, sarebbe riuscito effettivamente ad affermarsi […], nella prospettiva, per l’associazione mafiosa, di lucrare successivi vantaggi […].
Peraltro, Giuffré ha correttamente evidenziato che con ciò non intendeva affermare che il successo di Forza Italia (come, d’altra parte, va precisato, è ovvio per le dimensioni stesse di quel successo in tutto il Paese) fosse stato determinato dall’appoggio delle organizzazioni mafiose[…], ma soltanto che, comunque, “cosa nostra” si era determinata in quel senso perché aveva ottenuto garanzie, per mezzo di Marcello Dell’Utri, che consentivano ai capi dell’organizzazione di spendersi verso gli associati chiedendo loro di appoggiare il nuovo partito scommettendo sul suo successo[…].
Analoghe conoscenze sono state riversate nel processo anche da Ciro Vara, altro
collaborante di Giustizia che, come Giuffré, deve ritenersi altamente credibile
per le ragioni che sono state già precedentemente espresse.
[…]
Nello stesso senso depongono anche le dichiarazioni di Stefano Lo Verso prima già riportate a proposito dell’impegno personale del medesimo nella campagna elettorale del 1994 (v. dich. Lo Verso: “E nel 1994 Provenzano mi disse: l’ho fatto votare io Forza Italia in Sicilia. E questo ne ho prova anche io, perché io sono stato uno di quelli che nel 94 ho partecipato a un convegno di Forza
Italia … “).
Un ulteriore riscontro, particolarmente importante perché indicativo della volontà di Bagarella e, quindi, di fatto, di Riina, si trae dalle dichiarazioni di Tullio Cannella.
Quest’ultimo, infatti, ha, innanzi tutto, riferito che gli fu espressamente detto che erano state date assicurazioni sul fatto che la nuova forza politica si sarebbe interessata dei problemi che stavano più a cuore dei mafiosi […], ma, poi, ha aggiunto che lo stesso Bagarella lo sollecitò a recarsi ad un comizio di Berlusconi […] e che, quando poi egli aveva riferito a Bagarella alcune frasi pronunziate durante quel comizio da Berlusconi contro la mafia, lo stesso Bagarella gli aveva risposto di non preoccuparsi perché comunque Berlusconi aveva assunto impegni con loro […].
Ed, anzi, addirittura, a riprova della sicura volontà di Bagarella di sposare l’iniziativa del nuovo partito berlusconiano, Cannella ha riferito, non soltanto che Bagarella lo invitò, ad un certo momento, a sospendere ogni attività in favore di Sicilia Libera per sostenere i candidati di Forza Italia […], ma che, addirittura, lo stesso Bagarella gli chiese, poi, se volesse indicare qualche soggetto da candidare con Forza Italia, proponendogli, quindi, di incontrare, a tal fine, Vittorio Mangano […].
Tale ultima dichiarazione riferita a Vittorio Mangano, peraltro, converge con una dichiarazione di Giusto Di Natale secondo cui anche Guastella, altro esponente mafioso in quel periodo particolarmente vicino a Bagarella, indicò nel medesimo Mangano il soggetto che, grazie ai rapporti con Dell’Utri, avrebbe potuto favorire qualche candidatura proposta dai mafiosi […].
Ed anzi, ancora secondo quanto riferito da Cannella per averlo saputo direttamente da Bagarella, avvenne effettivamente che alcuni personaggi vicini a “cosa nostra” che pure erano stati individuati come possibili candidati di Sicilia Libera, furono, poi, candidati in Forza Italia e furono appoggiati da “cosa nostra” avendo dato preventive garanzie di tutelare gli interessi[…].
Ancora più esplicito sull’appoggio a Forza Italia deciso dai vertici di “cosa nostra” è stato, poi, Emanuele Di Filippo, altro soggetto allora particolarmente vicino a Bagarella, il quale, infatti, ha riferito che gli arrivò l’indicazione di votare, appunto, Forza Italia per ottenere la modifica del 41 bis e della legge sui collaboratori di Giustizia (v. dich. Emanuele Di Filippo pure sopra riportate:
“…la notizia che arrivò fu quella di votare Forza Italia nel nome di Berlusconi, che avrebbe dovuto cambiare le cose e in modo particolare cambiare il 41 bis, la legge sui collaboratori di giustizia .. “) e ciò per volere espresso dei vertici di allora di “cosa nostra” (v. ancora dich. di Emanuele Di Filippo: “No, non è stata una indicazione, è stata una volontà da parte dei vertici di Cosa Nostra, a me questa volontà arrivò da mio fratello, da Tommaso Spadaro, mi scusi, di Antonino Spadaro, dai Tagliavia, dai Graviano, si doveva votare Forza Italia perché il signor Berlusconi, ripeto, nel nome di Berlusconi avrebbe dovuto cambiare la situazione nostra per quanto riguarda collaboratori e 41 bis… … … so soltanto che la notizia che arrivò era quella di votare Forza Italia e Berlusconi'”).
Ugualmente nel medesimo senso convergenti sono anche le propalazioni di Angelo Siino, il quale pure, in occasione delle elezioni politiche del 1994, ricevette nel carcere ove si trovava detenuto l’indicazione di fare votare per Forza Italia […].
Infine, quanto al versante palermitano di “cosa nostra”, vi sono le dichiarazioni di Giuseppe Monticciolo secondo il quale fu Brusca in persona a dirgli di diffondere tra gli associati l’ordine di far votare Forza Italia […], perché, ancora secondo quanto dettogli da Brusca […], Forza Italia
avrebbe risolto i problemi di “cosa nostra” […], motivo per il quale egli si era, poi, personalmente ed
effettivamente adoperato per far votare Forza Italia […].
Ma analoghe e convergenti risultanze sono state acquisite anche riguardo alle “famiglie” mafiose della restante parte della Sicilia.
[…]
In conclusione, allora, può ritenersi ampiamente provato che, in occasione della campagna elettorale per le elezioni politiche del 1994, le cosche mafiose, facendo affidamento sulle “assicurazioni” e sulle “garanzie” ricevute attraverso Marcello Dell’Utri, decisero di appoggiare il nuovo partito politico fondato da Silvio Berlusconi (con l’apporto determinante dello stesso Dell’Utri) nella prospettiva di ricavarne vantaggi e benefici.
In particolare, per quel che si ricava dalle risultanze prima esposte, a ciò si giunse all’esito delle parallele iniziative verso Marcello Dell’Utri (del quale, all’interno di “cosa nostra” era noto a tutti il ruolo svolto da molti anni quale intermediario tra l’organizzazione mafiosa e Silvio Berlusconi) tanto dell’ala stragista di “cosa nostra” nella persona di Giuseppe Graviano (ed in un secondo
momento, dopo l’arresto di quest’ultimo, come si vedrà, nelle persone di Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca), quanto dall’ala che a questa si contrapponeva e voleva la cessazione delle stragi nella persona di Bernardo Provenzano, senza che ciascuna abbandonasse le proprie posizioni.
Graviano e, quindi, tanto più dopo il suo arresto, come si vedrà nel paragrafo che segue, Brusca e Bagarella intendevano proseguire nella pregressa strategia continuando a commettere stragi (ad iniziare da quella dello stadio Olimpico organizzata da Graviano e per fortuna fallita) ed a minacciarne ulteriori per ottenere ciò che “cosa nostra” da tempo chiedeva alle Istituzioni; Provenzano, nel contempo, agiva separatamente e, come detto, parallelamente per iniziare
una nuova fase di restaurazione dei rapporti con la politica e, quindi, per superare la fase delle stragi, così come si ricava chiaramente dalle risultanze prima esposte.
[…] Vi fu, pertanto, piena convergenza dell’intera “cosa nostra” nella decisione di puntare tutto sui nuovi politici che si proponevano di sostituire la vecchia classe di governo e che, per ciò che aveva assicurato Marcello Dell’Utri […], promettevano ai mafiosi la “normalizzazione” dei rapporti e la revisione della legislazione antimafia che aveva caratterizzato i primi anni novanta soprattutto grazie all’apporto incessante e determinante di Giovanni Falcone.
Ma accanto alle iniziative di contatti con Marcello Dell ‘Utri da parte, separatarnente, di Bernardo Provenzano e Giuseppe Graviano di cui si è detto, ve ne fu anche una terza ad opera di Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella, i quali, ad un certo punto, trovandosi in contrapposizione strategica con
Provenzano e tanto più dopo l’arresto dei fratelli Graviano, decisero di assumere, appunto, direttamente essi l’iniziativa nei rapporti con Dell ‘Utri.

[…] CONCLUSIONI SULLA RINNOVAZIONE DELLA MINACCIA NEI CONFRONTI DEL GOVERNO BERLUSCONI
Alla stregua delle risultanze probatorie sin qui esaminate, deve, innanzitutto ritenersi provato che ben prima dell’insediamento del nuovo Governo Berlusconi ed, anzi, quando neppure, ovviamente, fosse certo che il nuovo partito politico fondato da Silvio Berlusconi con l’apporto determinante di
Marcello Dell ‘Utri sarebbe riuscito a prevalere nelle elezioni politiche del 1994 e ad ottenere l’incarico di formare il nuovo Governo (superando le perplessità del Capo dello Stato Scalfaro quali emergono anche dalla lettura dell’agenda del 1994 del Presidente del Consiglio uscente Ciampi), Dell’Utri, attraverso Vittorio Mangano, al fine di accaparrare in favore di Forza Italia anche i voti che in Sicilia “cosa nostra” allora ancora in misura non piccola controllava, aveva dato assicurazioni – rectius, aveva promesso – che l’eventuale nuovo Governo presieduto da Berlusconi […] avrebbe
adottato alcuni provvedimenti oggetto di risalenti richieste dei mafiosi.
Tale promessa, proprio perché finalizzata ad acquisire il consenso elettorale controllato da “cosa nostra” che in quel momento poteva anche apparire determinante in un’importante Regione qual è la Sicilia, non può, però, ritenersi frutto della minaccia che pure Mangano, non potendo di certo sottrarsi all’incarico espressamente affidatogli da Bagarella e Brusca, ebbe a recapitare al
Dell’Utri […], dal momento che, per un verso, non risulta – non avendone mai alcun collaborante riferito – che siano state rivolte in quel periodo minacce di carattere personale a Dell’Utri o a
Berlusconi e, per altro verso, il pericolo di nuove stragi in quel momento riguardava altro Governo ed, anzi, avrebbe potuto semmai favorire l’ascesa di nuove forze politiche se si fosse diffusa l’opinione che il Governo allora in carica non fosse in grado di farvi fronte.
Tale segmento delle condotte degli imputati, da un lato Bagarella e Brusca quali autori in senso stretto della minaccia indirizzata al destinatario finale individuato dagli stessi mafiosi in Berlusconi, e, dall’altro Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri quali tramiti prestatisi per far giungere la minaccia sino al predetto suo destinatario finale (ed, in proposito, non può essere dubbio che Dell’Utri abbia effettivamente recapitato il messaggio a Berlusconi, perché altrimenti non avrebbe potuto assumere, in assenza di qualsiasi ruolo decisionale nella nuova formazione politica, l’impegno che, invece, egli assunse nei confronti dei mafiosi; d’altra parte, in proposito, a riprova, va ricordato che ancora nel 1994, secondo quanto è stato possibile per la prima volta accertare in questa sede – v. sopra Capitolo 2, paragrafo 2.13.1 – continuava, da parte di Berlusconi in favore
dei mafiosi, il pagamento di somme di denaro frutto dell’intermediazione di Dell’Utri), non potrebbe, tuttavia, da sola e di per sé, integrare il reato di cui all ‘art. 338 c.p., dal momento che non v’era ancora il Governo presieduto da Silvio Berlusconi […] e la fattispecie di reato in questione
punisce la minaccia formulata nei confronti del Corpo politico costituito e non certo futuro ed eventuale.
Ma si è visto che, ancora alla stregua delle risultanze prima esposte, deve ritenersi provato che dopo l’insediamento del nuovo Governo, Mangano ebbe ancora a incontrare Dell’Utri in almeno due occasioni (la prima tra giugno e luglio 1994 e la seconda nel dicembre 1994) per sollecitare l’adempimento degli impegni presi durante la campagna elettorale, ricevendo, in entrambe le
occasioni, ampie e concrete assicurazioni.
Occorre esaminare, allora, se tali sollecitazioni integrino o meno gli estremi della minaccia, atteso che, in relazione a tali ulteriori incontri successivi all’insediamento del Governo Berlusconi, non risulta che sia stato dato specifico incarico a Mangano di ricordare la pregressa minaccia genericamente indirizzata alle Istituzioni e, quindi, al Governo in carica e che Mangano, dunque, abbia effettivamente ricordato al suo interlocutore la minaccia medesima nel momento in cui, se non sollecitava l’adempimento degli impegni presi durante la campagna elettorale, quanto meno chiedeva notizie sui provvedimenti promessi.
[…] Come pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza e dalla dottrina, per la consumazione del reato non occorre che il predetto effetto si verifichi in concreto, ma soltanto che la minaccia sia stata percepita dal soggetto passivo, essendo il bene tutelato dalla norma penale quello della integrità psichica e della libertà di autodeterminazione del soggetto passivo.
Tale precisazione è necessaria per puntualizzare che non occorre in questa sede accertare che gli interventi legislativi, tentati o attuati su iniziativa della forza politica facente capo al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, siano stati concretamente determinati dalla coartazione della libertà psichica e morale di autodeterminazione dei proponenti per effetto della minaccia mafiosa.
Anzi, vi sono fondate ragioni per ritenere – e in ciò può concordarsi con la difesa dell’imputato Dell’Utri (v. trascrizione udienza del 16 febbraio 2018 e memoria successivamente depositata) – che le dette iniziative non siano state effetto diretto di una minaccia, dal momento che, sin dalle origini, in Forza Italia era stata inserita anche una consistente componente di soggetti che, per asserita
vocazione “garantista”, da tempo si battevano contro alcuni provvedimenti adottati in funzione antimafia dai precedenti Governi.
Si pensi, in proposito, alla opposizione al regime del 41 bis già nel 1992 da parte di alcuni esponenti politici e dell’avvocatura poi confluiti in Forza Italia e ad alcune iniziative ampiamente pubblicizzate, di cui pure si è dato conto nel presente dibattimento, quali le visite in carcere, viste con favore anche dai mafiosi, effettuate nel settembre 1993 degli On. Maiolo e Biondi […], poi, entrambi, appunto, inseriti nelle liste di Forza Italia e successivamente anche divenuti la prima Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati ed il secondo Ministro della
Giustizia nel Governo Berlusconi.
Si vuole dire, in altre parole, che i tentativi da parte del Governo Berlusconi di adottare provvedimenti attesi (anche) da “cosa nostra” e, poi, l’effettiva adozione di tal uni di essi, ai fini che qui rilevano, non devono essere necessariamente letti come legati da un rapporto di causa ed effetto con una minaccia mafiosa, ben potendo anche ricondursi alla attuazione di un programma ampiamente prevedibile (e previsto dagli stessi mafiosi) e, quindi, come mantenimento di impegni volontariamente assunti durante la campagna elettorale (anche da parte di Dell’Utri nei confronti dei mafiosi) per acquisire il consenso e i voti anche di quei non piccoli settori della popolazione che
vedevano sfavorevolmente la contrapposizione frontale con le organizzazioni mafiose perché ritenuta causa delle efferate stragi che si erano verificate nel biennio 1992-93.
Al contrario, ai fini che qui rilevano, quello dell’accertamento della sussistenza o meno della minaccia mafiosa indirizzata al Governo nella persona del suo Presidente Silvio Berlusconi, deve soltanto accertarsi se negli interventi di Vittorio Mangano nei confronti di Marcello Dell’Utri possa ravvisarsi o meno una obiettiva attitudine ad intimorire il destinatario finale, come detto individuato dai mafiosi in Berlusconi, indipendentemente dal fatto che l’effetto intimidatorio, comunque percepibile e percepito, possa avere inciso concretamente sulla sua libertà psichi ca e morale di autodeterminazione.
[…] E però non può essere dubbio che l’azione di Vittorio Mangano su incarico di Bagarella e Brusca, indipendentemente dal tipo di approccio attuato nei confronti di Dell’Utri eventualmente anche ostentatamente amichevole stante i temporalmente lunghi comuni trascorsi, avesse, in sé, un’indiscutibile attitudine ad intimorire, oggettivamente percepibile da chiunque fosse a conoscenza dello spessore criminale del latore della richiesta ed ancor più di coloro che quest’ultimo rappresentava.
Invero, certamente, perché è stato definitivamente accertato all’esito del pregresso processo definito con le sentenze irrevocabili acquisite agli atti, sia Dell’Utri, sia Berlusconi cui erano rivolte le richieste, ben conoscevano lo spessore mafioso di Vittorio Mangano, tanto che questi fu utilizzato dai predetti prima per garantire la sicurezza del medesimo Berlusconi e successivamente per risolvere le problematiche connesse alle attività economiche esercitate dalle imprese di quest’ultimo in Sicilia mediante versamento all’associazione mafiosa “cosa nostra” di ingenti somme di denaro […].
Infatti, in tutte queste vicende Mangano aveva sempre operato, non certo uti singuli, ma nella sua qualità di esponente della predetta organizzazione criminale.
Ed anche in quel caso, sollecitando (o anche soltanto chiedendo notizie di) provvedimenti che non lo riguardavano personalmente, ma interessavano una platea indeterminata di appartenenti all’organizzazione mafiosa, non poteva essere minimamente dubbio per i suoi interlocutori (quello mediato e quello finale) che Mangano agiva in nome e per conto di “cosa nostra”.
Ed, infatti, lo stesso Mangano in quel momento rivestiva una carica rappresentativa apicale nell’associazione mafiosa, essendo, sia pure come “reggente”, a capo di uno dei più importanti “mandamenti” di Palermo, a suo tempo comandato dal noto Pippo Calò, e coloro che gli avevano affidato l’incarico di riallacciare a quel fine i rapporti con Dell’Utri e Berlusconi (precedentemente interrotti, come si è visto sopra nel Capitolo 3 che precede, per volere di Salvatore Riina che ne aveva assunto la “titolarità” in prima persona), cioè Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca, erano di fatto, al vertice assoluto di “cosa nostra” perché considerati, soprattutto il primo in virtù dello stretto rapporto parentale, braccio operativo, all’esterno del carcere, di Salvatore Riina nel frattempo arrestato e, quindi, ivi detenuto.
Quale che sia stata, dunque, si ripete, la natura dell’approccio di Mangano, nessuno può dubitare che questo sia stato inevitabilmente percepito dal proprio interlocutore quanto meno come una forma di pressione più o meno esplicita, ma sicuramente esercitata sotto la minaccia di possibili ritorsioni come la storia e l’esperienza avevano sempre dimostrato anche più direttamente e specificamente a quegli stessi interlocutori, Dell’Utri e Berlusconi, tanto che quest’ultimo era già addivenuto al pagamento di ingenti somme di denaro in favore di “cosa nostra” per il timore di subire conseguenze sia personali che in pregiudizio delle proprie imprese.
[…]
D’altra parte, a riprova della detta conclusione sulla natura dell’intervento di Mangano dopo l’insediamento del Governo Berlusconi come “pressione” quand’anche non accompagnato dall’esplicita replica della minaccia che era stata, invece, espressamente profferita dal Mangano prima delle elezioni politiche su incarico di Bagarella e Brusca, v’è il giudizio formulato dalla stessa
Corte di Cassazione nella sentenza del 9 marzo 2012 che pure ha reso definitiva l’assoluzione dell’imputato Dell’Utri dal reato di concorso esterno nell’associazione mafiosa “cosa nostra” per la condotta successiva al 1992.
[…] In proposito, già sopra si sono già indicate le ragioni logico-fattuali che conducono a non dubitare che Dell ‘Utri abbia effettivamente riferito a Berlusconi quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporti con l’associazione mafiosa “cosa nostra” mediati da Vittorio Mangano (ma, in altri
casi, anche da Gaetano Cinà).
Il fatto che Berlusconi fosse stato sempre messo a conoscenza di tali rapporti è, d’altra parte, incontestabilmente dimostrato dal ricordato esborso, da parte delle società facenti capo al Berlusconi medesimo, di ingenti somme di denaro, poi, effettivamente versate a “cosa nostra”.
Dell’Utri, infatti, senza l’avallo e l’autorizzazione di Berlusconi, non avrebbe potuto, ovviamente, disporre di cosÌ ingenti somme recapitate ai mafiosi. Ed è determinante rilevare che tali pagamenti, come si è visto sopra nel precedente Capitolo 2, paragrafo 2.13.1, sono proseguiti almeno fino al
dicembre 1994 quando a Di Natale fu fatto annotare il relativo versamento di L. 250.000.000 nel “libro mastro” che in quel momento egli gestiva, perché ciò dimostra inconfutabilmente che ancora sino alla predetta data (dicembre 1994) Dell ‘Utri, che faceva da intermediario, riferiva a Berlusconi riguardo ai rapporti con i mafiosi, ottenendone le necessarie somme di denaro e l’autorizzazione a
versarle a “cosa nostra”.
Dunque, Dell’Utri interloquiva con Berlusconi anche riguardo al denaro da versare al mafiosi ancora nello stesso periodo temporale (1994) nel quale incontrava Vittorio Mangano per le problematiche relative alle iniziative legislative oggetto dei suoi colloqui con il medesimo Mangano, così che non sembra possibile dubitare che Dell’Utri abbia informato Berlusconi anche di tali colloqui e, in conseguenza, della “pressione” o dei “tentativi di pressione” che, come si detto, anche secondo la Corte di Cassazione, erano inevitabilmente insiti negli approcci di Vittorio Mangano e che, altrettanto inevitabilmente per la caratura criminale dei richiedenti, portavano seco l’implicita minaccia di ritorsioni, d’altra parte, già espressamente prospettata, come si è visto sopra,
durante la precedente campagna elettorale.
Ma altri elementi di conforto alla predetta conclusione si traggono specificamente anche dal primo dei due episodi riferiti da Cucuzza e riscontrati dagli elementi esterni, anche individualizzanti nei confronti di Dell’Utri […].
Ci si intende riferire al fatto che in quella occasione del giugno – luglio 1994 Dell’Utri ebbe a riferire a Mangano “in anteprima” […] di una imminente modifica legislativa in materia di arresti per gli indagati di mafia (v. dich. Cucuzza del 14 aprile 1998 già riportate: … Per quanto riguardava il 416 bis, per quanto riguarda l’arresto sul 416 bis c’era stata una piccola modifica … “) senza clamore, o per meglio dire nascostamente tanto che neppure successivamente fu rilevata a differenza di altra, pure concernente i reati di mafia, ma certamente meno rilevante di quella, inserita nelle pieghe del testo di un decreto legge che rimase pressoché ignoto, nel suo testo definitivo, persino ai Ministri sino alla vigilia, se non in qualche caso allo stesso giorno, della sua
approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del Governo presieduto da Berlusconi.
A ciò si aggiunga che quel decreto legge era stato deciso per intervenire su reati del tutto diversi da quelli di mafia […] e che, pertanto, non vi era ragione per la quale un soggetto estraneo al Governo, qual era Dell’Utri, fosse informato sino ai più minuti – e, si ripete, nascosti – dettagli di quel provvedimento idonei ad incidere anche sui reati di mafia.
Ora, il fatto che, invece, Dell’Utri fosse informato di tale modifica legislativa, tanto da riferirne a Mangano per provare il rispetto dell’impegno assunto con i mafiosi, dimostra ulteriormente che egli stesso continuava a informare Berlusconi di tutti i suoi contatti con i mafiosi medesimi anche dopo
l’insediamento del Governo da quest’ultimo presieduto, perché soltanto Berlusconi, quale Presidente del Consiglio, avrebbe potuto autorizzare un intervento legislativo quale quello che fu tentato con l’approvazione del decreto legge del 14 luglio 1994 n. 440 e, quindi, riferirne a Dell’Utri per “tranquillizzare” i suoi interlocutori, così come il Dell’Utri effettivamente fece.
Si ha definitiva conferma, pertanto, che anche il destinatario finale della “pressione” o dei “tentativi di pressione”, e cioè Berlusconi, nel momento in cui ricopriva la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri, venne a conoscenza della minaccia in essi insita e del conseguente pericolo di reazioni stragiste (d’altronde in precedenza espressamente già prospettato) che un’ inattività nel senso delle richieste dei mafiosi avrebbe potuto fare insorgere.
[…] Ne consegue che deve darsi risposta positiva al secondo ed ali ‘ultimo dei quesiti formulati nella premessa a questa Parte Quarta della sentenza e cioè, rispettivamente, se, successivamente al 1992 (anno per il quale è stato già sopra escluso alcun apporto concorsuale nel reato contestato), l’imputato Dell’Utri abbia posto in essere condotte idonee a provocare o rafforzare nei responsabili
mafiosi l’intento di rinnovare ancora la minaccia questa volta nei confronti del Governo Berlusconi e se, infine, il medesimo imputato Dell’Utri abbia fatto da tramite per far giungere la rinnovata minaccia mafiosa sino a Berlusconi quando questi era già Presidente del Consiglio.

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