Caso Saguto : il giudice Licata parla del potente sistema della gestione dei beni confiscati”i debiti non si pagavano”

Al Processo contro Silvana Saguto in corso a Caltanissetta è il turno  del giudice Licata . Dal profilo di Pietro Cavallotti prendiamo atto  e decidiamo di pubblicare, la  sintesi estratta dalla registrazione  di Radio Radicale. A leggere quanto riportato da Cavallotti  sulle dichiarazioni avvenute in Tribunale, viene da scappare da questa terra e non tornarci più. Se quanto asserito dal giudice Licata risultasse verità processuale si aprirebbero molti canali misteriosi e guai a chi cerca di portarli alla luce. Il rischio di finire in galera con  qualche pretesto giudiziario  di conodo è alto. 

“Poi si viri” intanto ti distruggono e poi ti difendi. Leggete con attenzione quanto detto dal giudice Licata

Dal profilo di Pietro Cavallotti

Ieri sera ho ascoltato su Radio Radicale per 4 ore il giudice Licata, già condannato in primo grado per falso ideologico e abuso d’ufficio. (https://www.radioradicale.it/scheda/584941/processo-cappellano-seminara-ed-altri). È stato sentito come testimone a discolpa della Saguto, presso il Tribunale di Caltanissetta dove si sta celebrando il processo che vede imputati molti soggetti che operavano nel settore delle misure di prevenzione.
Ha spiegato cose di una gravità assoluta che ci aiutano a capire meglio il sistema. Vediamole.

In un primo momento, nessuna norma impediva agli amministratori giudiziari di pagare i debiti pregressi delle aziende sequestrate. Fu la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo a consolidare la prassi per cui i fornitori e i creditori non dovevano essere pagati. La legge, solo successivamente si adeguò alla prassi della Sezione. Lo stravolgimento della teoria della divisione dei poteri e del principio democrativo è evidente: il giudice non applica la legge ma, in assenza di una legge, crea esso stesso la regola e il Parlamento poi la recepisce in un atto normativo, ovviamente sempre a discapito dei privati incolpevoli e a vantaggio delle amministrazioni giudiziarie che potranno usare le risorse disponibili non per pagare i terzi ma per pagare i compensi degli amministratori giudiziari e dei coadiutori.

Negli anni Novanta fu sempre quella Sezione a introdurre la distinzione tra fascicolo del procedimento (che le parti possono consultare) e fascicolo dell’amministratore giudiziario (che la parte non può consultare). Questa distinzione – non prevista da alcuna norma – non permette al proprietario – che ha interesse alla conservazione del patrimonio – di controllare gli atti di gestione degli amministratori giudiziari. Altro deficit di trasparenza, altra lesione del diritto di difesa. Di fatto, amministratore giudiziario e Giudice Delegato possono fare come vogliono senza che nessuno li possa controllare.

Si è spiegato che le istanze degli amministratori giudiziari, prima di essere fatte, venivano concordate proprio con il Giudice Delegato. La parte, qualora per miracolo ne fosse venuta a conoscenza, si sarebbe trovata, quindi, ad impugnare quell’atto davanti al giudice che aveva concordato e poi autorizzato l’istanza. Licata ne dà una giustificazione di maggiore speditezza. Ma che garanzia di imparzialità ci poteva essere per chi si lamentava dell’atto compiuto dall’amministratore giudiziario?

Ancora: fu sempre la Sezione a sperimentare la prassi per cui i lavoratori delle aziende in sequestro dovevano essere “sterilizzati”, cioè allontanati e sostituiti con persone di fiducia dell’amministratore giudiziario. Secondo Licata, il problema era che i lavoratori non si potevano licenziare in tronco e, quindi, si doveva trovare la forma giuridica giusta (diciamo pure il trucco) per interrompere il rapporto di lavoro con il personale. Insomma, il lavoratori se ne dovevano andare per far posto ai raccomandati. Poi, se persone innocenti venivano lasciate in mezzo alla strada, alla fame con le proprie famiglie, non contava. Bisognava “sterilizzare”.

È stato spiegato, pure, che molti sequestri venivano fatti su segnalazione degli amministratori giudiziari e che i beni sequestrati venivano affidati proprio a coloro che li avevano segnalati. Se fossimo in mala fede, potremmo pensare che questi professionisti avevano tutto l’interesse a segnalare per aumentare il proprio business. Ma siamo in buona fede.

I procedimenti duravano tantissimi anni perché con il vecchio rito non c’era alcuna norma che prevedeva una durata massima dei sequestri. Per cui, non essendoci un termine, nessuna norma, nessuna circolare interna, li costringeva a fare in fretta, come se nel mezzo non ci fossero vite umane. Per prassi, la priorità non era quella di velocizzare i processi ma quella di decidere i sequestri. Si sa: la fornace deve essere sempre alimentata.

Infine, era del tutto normale che lavorassero parenti di magistrati nelle amministrazioni giudiziarie, come ausiliari dei giudici o come consulenti. Il fatto di essere parente di un magistrato era, inoltre, garanzia di maggiore affidabilità. Questa era la giustificazione. Tutti lo sapevano e nessuno si indignava, aggiunge.
Per loro il problema era solo Pino Maniaci e Le Iene.

C’è da rabbrividire per la gravità delle cose dette da Licata. Se non altro, Licata ci fa capire che non si può ridurre tutto alla Saguto. La questione era (ed è) un sistema che deve essere riformato perché profondamente sbagliato. Un sistema fatto dai giudici per i magistrati e recepito passivamente dal Parlamento, sempre a discapito dei cittadini.

Queste cose non le troverete su alcun giornale. E vi chedo perciò massima condivisione per fare capire a tutti cosa è il sistema.