LO SCANDALO DEL CENSIMENTO-FANTASMA DELLA REGIONE SICILIANA 110 MILIONI DI EURO Di PAOLO MANDARÀ

Gaetano Armao non ha alcuna intenzione di mollare. E’ come un pugile all’angolo: barcolla, ma non cede. E trova sempre riparo nel gong. Martedì per lui sarà un’altra giornata campale: l’Ars, infatti, gli ha dato una settimana di tempo per mettere a punto le contromosse di fronte agli attacchi, in primis delle opposizioni, che gli verranno sferrati nel corso del dibattito sulla situazione finanziaria dell’ente. E mentre l’assessore all’Economia si prepara alla battaglia, emergono nuovi spifferi sullo scandalo di Sicilia Patrimonio Immobiliare e sul censimento “fantasma” costato alla Regione 110 milioni di euro. Armao, fin qui, è l’unico a essere stato convocato dall’Antimafia presieduta da Claudio Fava, il quale ha spiegato che la commissione intende “capire come sia stato possibile che un’operazione dissennata come questa sia servita a garantire guadagni irripetibili ad alcuni soci privati”.

L’attenzione di Fava e della commissione è puntata, come ovvio, sulla parte economica dello scandalo. Uno degli obiettivi è risalire ai motivi che determinarono, da parte del governo Cuffaro, le condizioni capestro per l’aggiudicazione dell’appalto e, successivamente, indagare la sostanza del contratto stipulato con la Spi, la società mista pubblico-privata rappresentata dall’avventuriero Ezio Bigotti. L’imprenditore di Pinerolo era il riferimento di alcune società con sede in Lussemburgo, il paradiso fiscale in cui sarebbero finiti i soldi pagati dalla Regione. Ma oltre all’aspetto economico, certamente gravissimo, ce n’è un altro sostanziale e (forse) più attuale: riguarda i dati contenuti nel server della Spi, che l’assessorato all’Economia sarebbe riuscito ad aprire. O forse no?

Il censimento realizzato tra il 2007 e il 2009 è custodito da tempo immemore all’interno di una banca dati, che fino a metà luglio la Regione non aveva visionato per l’assenza della password “amministratore”, come segnalato da Armao a Sala d’Ercole dopo il pressing dei 5 Stelle. Il codice, rinvenuto magicamente la settimana successiva, avrebbe garantito l’accesso al database, ma i dati al suo interno non sono ancora noti. L’assessore all’Economia, in audizione, ha spiegato di averli letti e li ha definiti “inservibili”. Ossia talmente logori da non valere più nulla: riporterebbero le coordinate catastali, ma non l’effettivo valore degli immobili. Dalle parti di palazzo dei Normanni, però, giurano che nessuno avrebbe spulciato il contenuto del server fino in fondo. Facendo così riemergere un paio di ipotesi: che il software non sia più funzionante o – peggio – che la Regione non riesca ad accedervi perché sprovvista delle professionalità per eseguire il lavoro. Ora che la Spi è in liquidazione – è il sospetto – il know-how è andato perso. E nessuno riesce a correre ai ripari.

I dati saranno anche vecchi – andrebbero aggiornate le rendite catastali – ma non per questo da buttare. Il lavoro pagato e strapagato andrebbe valorizzato al massimo, nella prospettiva di eseguire una nuova “ricognizione straordinaria del patrimonio immobiliare dell’ente”, come richiesto dalla Corte dei Conti, ma partendo da una base solida. Rinunciarci a prescindere vuol dire cestinare un lavoro costato oltre 100 milioni. La conclusione degna di uno scandalo.

Ma le responsabilità della Regione non finiscono qui. Il Movimento 5 Stelle, che ha avuto il merito di non dimenticare questo obbrobrio, continua a scavare: il deputato Nuccio Di Paola ha infatti presentato una richiesta di accesso agli atti – indirizzata alla Ragioneria generale e al Dipartimento delle Finanze e del credito – per “avere copia di tutti i S.A.L. relativi al censimento del patrimonio immobiliare della Regione siciliana commissionato alla Sicilia Patrimonio Immobiliare S.p.A.”. S.A.L. è l’acronimo di stato di avanzamento dei lavori. Alla presentazione di ogni fattura – Bigotti ne ha ricevute per ottanta milioni – un incaricato della Regione avrebbe dovuto certificare lo stato di avanzamento dei lavori e apporre la propria firma. Che fine hanno fatto questi documenti? Qualcuno ha provveduto a emetterli? Questi aspetti rimangono tuttora da chiarire, e rientrano nel quadro complessivo che permetteranno all’Antimafia di accertare chi sono i responsabili.

Il M5s aveva già chiesto l’audizione dei vertici della Spi, a partire dal presidente dell’organismo di vigilanza, e di tutti i protagonisti della stagione politica, da Cuffaro in poi (succederà, ma il calendario dei lavori della commissione è folto). E continua a non vederci chiaro sui giochini immobiliari della Regione. Qualche settimana fa il solito Di Paola ha sollevato altri interrogativi sulla creazione, da parte dell’assessore Armao, di un “gruppo di lavoro per analizzare e definire i profili finanziari e patrimoniali relativi alla realizzazione del centro direzionale regionale che dovrebbe sorgere per raccogliere tutti gli uffici regionali. Per certi versi – spiegava Di Paola – è come se prendi una decisione e solo poi pensi alle conseguenze”. I professionisti che fanno parte del gruppo sono consulenti a titolo gratuito. Mentre il centro direzionale della Regione, che dovrebbe sorgere a Palermo da qui ai prossimi vent’anni, costerà qualcosa come 280 milioni di euro. La sua realizzazione è prevista dall’articolo 2 del “collegato generale” alla Finanziaria, approvato il 10 luglio.

“Mi sorgono degli interrogativi sulla tempistica di realizzazione di questo gruppo” e “sono gli stessi dubbi (vedi analisi costi benefici) che avevo sottolineato durante la discussione dell’articolo in aula – prosegue l’onorevole Di Paola –. Dubbi che la stessa maggioranza, almeno a parole, mi diceva di non avere. Dubbi che questo gruppo di lavoro indubbiamente mi suscita. Dubbi che quando si parla degli interessi e dei soldi dei siciliani non dovrebbero affatto esserci”. Il gioco d’azzardo continua.