“Passe partout”, gli interrogativi della difesa

Sono stati arrestati lunedì scorso 4 novembre, San Carlo Borromeo e giorno dell’Unità nazionale e delle Forze Armate. Poi sono stati interrogati. E poi il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Sciacca ha convalidato l’arresto dei cinque indagati nell’ambito dell’inchiesta antimafia cosiddetta “Passe partout”, i saccensi (o in gergo “gli sciacchitani) Antonello Nicosia, Accursio Dimino, Paolo Ciaccio, Luigi Ciaccio, e Massimiliano Mandracchia. E il giudice Davico, nel motivare la convalida dell’arresto, scrive: “Ricorrono gravi indizi di colpevolezza, e il pericolo di fuga è da ritenersi sufficiente anche per la configurabilità dell’esigenza cautelare. Sussiste anche il concreto pericolo che gli indagati commettano reati della stessa specie di quelli per i quali si procede”. E poi aggiunge: “In ragione della spiccata pericolosità criminale, solo la limitazione carceraria della libertà personale è in grado di contenere la pericolosità degli indagati”. Poi il giudice Davico ha sottolineato il “gravissimo contesto associativo di riferimento e la non occasionalità delle condotte degli indagati Dimino e Nicosia, a pieno titolo inseriti nell’ambito della criminalità organizzata di stampo mafioso e comunque in gruppi operanti con metodo mafioso collegati fra loro da vincoli stringenti”. E poi Davico si è riferito, testualmente, a “infiltrazioni gravissime di Cosa nostra negli apparati dello Stato strumentalizzati per fini apparentemente nobili, in realtà volte ad alleggerire il rigore della detenzione dei mafiosi”. Il magistrato in servizio a Sciacca è stato competente in tale fase procedurale dell’inchiesta perché la Guardia di Finanza e i Carabinieri lunedì scorso hanno eseguito il provvedimento di fermo a Sciacca. Esaurito il suo compito, il giudice Davico ha trasmesso gli atti alla Procura antimafia di Palermo, competente invece, trattandosi di ipotesi di reato di stampo mafioso, a proseguire l’istruttoria.

L’avvocato Salvatore Pennica

Nel frattempo, il difensore di Antonello Nicosia e di Accursio Dimino, l’avvocato agrigentino Salvatore Pennica, ha sollevato dei dubbi da approfondire. Il ragionamento o, meglio, la riflessione di Pennica è la seguente: “Secondo legge, Antonello Nicosia, come collaboratore parlamentare della deputata Giusy Occhionero, entra in carcere solo con la Occhionero, e nelle sue attività all’interno del carcere non si distacca dalla Occhionero. Dunque, se Nicosia, incontrando i detenuti, avesse veicolato loro messaggi dall’interno verso l’esterno del carcere, o viceversa, la Occhionero se ne sarebbe accorta o avrebbe dovuto accorgersene. Ebbene, la Occhionero non è indagata ma è stata ascoltata dalla Procura di Palermo come ‘persona informata sui fatti’. E ciò è prova che i colloqui intrattenuti in carcere non costituiscono reato. Inoltre, anche gli agenti di Polizia penitenziaria controllano a stretto contatto, con occhi e orecchie, gli ospiti, in tal caso Nicosia e Occhionero, anche a garanzia della loro sicurezza all’interno del carcere. Ordunque, Nicosia non avrebbe potuto mai restare da solo con i detenuti, men che meno con i 41 bis”.

 

fonte telacras Ruoppolo