La testimonianza di Sergio Mattarella

Al termine di questa lunga esposizione delle risultanze delle indagini espletate, volta a dare un quadro esaustivo di tutti gli sforzi compiuti in ogni possibile direzione, che fosse compatibile con il divenire degli emergenze istruttorie, possono essere meglio valutate e comprese le dichiarazioni rese da alcuni testimoni nello sforzo di capire e di spiegare le possibili motivazioni dell’assassinio del Presidente MATTARELLA.
Vanno, in primo luogo, ricordate le dichiarazioni, rese il 1 e il 14 luglio 1986 al G.I., dall’On. Sergio MATTARELLA (Fot. 648178, Vol. XXIII): “In questi anni ho maturato il convincimento – che peraltro mi si è fatto strada già nell’immediatezza dell’omicidio di mio fratello – che quest’ultimo è stato ucciso per tutta una serie di fattori fra di loro concatenati che hanno ispirato la decisione di eliminarlo.
Già dalla istruttoria ritengo che sia emerso che mio fratello, quando era Presidente della Regione Siciliana, ha compiuto dei gesti molto significativi che di per sé, in un ambiente intriso di mafiosità avrebbe potuto provocarne l’uccisione: mi riferisco, in particolare, alla nota vicenda concernente gli appalti per le scuole concessi dal Comune di Palermo e alle conseguenti ispezioni da lui disposte e, soprattutto, ad un fatto apparentemente poco significativo ma che, in realtà, era gravido di conseguenze.
Egli, infatti, insistette a lungo e senza successo per avere l’elenco dei funzionari regionali nominati collaudatori di opere pubbliche.
E la ragione è intuitiva: attraverso gli elenchi dei collaudatori, fornitigli soltanto da alcuni Assessorati, egli si sarebbe potuto rendere conto di quali gruppi controllassero la materia dei pubblici appalti per potere intervenire più efficacemente.
E in proposito mi sembra sintomatica l’inchiesta da lui disposta sull’Assessorato regionale ai LL.PP. l’impegno da lui profuso per l’approvazione della legge urbanistica regionale.
Ma a parte questi fatti specifici, di per sé gravi denotanti l’impegno politico di mio fratello, mi sembra ancora più interessante rilevare che questa sua ansia di rinnovamento e l’abilità politica di cui era dotato stavano, e nemmeno tanto lentamente, creando una atmosfera diversa e migliore e, soprattutto, una classe di dirigenti, che riconoscevano la sua guida e che erano più alieni di tanti altri da compromissioni con ben individuabili ambienti di potere.
E mi sembra ancora più evidente che questa mutata atmosfera certamente non era gradita a chi potesse pensare di utilizzare collaudati equilibri di potere per fini extra istituzionali.
Non ritengo, infatti possibile alcuna altra causale di questo omicidio”.
Ed ancora soggiungeva:
“Ad integrazione del mio ultimo esame testimoniale, vorrei chiarire meglio la personalità ed il ruolo politico svolto da mio fratello Piersanti fino alla sua uccisione, al fine di un migliore inquadramento delle causali del suo omicidio.
Altre attività compiute da mio fratello, che avevo trascurato di indicare, dimostrano a mio avviso, quanto fosse stato incisivo il suo slancio innovatore nel quadro politico preesistente.
Mi riferisco, in particolare alla legge regionale che modificò le procedure di assegnazione delle opere pubbliche regionali; tale legge era ispirata alla filosofia di fondo di rendere quanto più possibile trasparenti i pubblici appalti, così evitando problemi che purtroppo sono noti a tutti.
Se mal non ricordo, detta legge fu approvata dall’Assemblea Regionale alla fine del 1978 e mio fratello dovette constatare che in alcuni punti l’Assemblea Regionale aveva modificato l’originario disegno di legge, in senso peggiorativo rispetto alle finalità della legge stessa.
Nel luglio ’78, era riuscito far varare anche la legge sulla programmazione regionale della spesa pubblica; erano evidenti le finalità di tale legge, che mirava a razionalizzare e rendere costanti, ancorandoli a criteri obiettivi e di carattere generale, i vari flussi di spesa destinati ai diversi settori di intervento dell’Amministrazione regionale.
Ma, oltre a ciò, egli si adoperò con ogni mezzo per far sì che il Comitato per la programmazione, previsto da detta legge, divenisse operante, come in effetti avvenne, nel più breve tempo possibile.
Tutto ciò, evidentemente, impediva arbitrarie attribuzioni di spesa a determinati settori anziché ad altri e, all’interno degli stessi assessorati, rendeva più difficile certe erogazioni ispirate a favoritismo.
Infatti, una volta che, geograficamente e per settori e per progetti, veniva stabilito il criterio di intervento dell’Amministrazione regionale, rimaneva poco margine per abusi e favoritismi. Ed in effetti, debbo rilevare che, dopo la morte di mio fratello, il Comitato per il programma non ha concretamente operato e, addirittura, non saprei nemmeno dire se tuttora questo Comitato, previsto dalla legge regionale tuttora vigente, sia stato o meno rinnovato.
Queste e le altre iniziative di cui ho parlato nel mio precedente esame testimoniale (legge urbanistica, attività ispettiva, modificazione dei poteri della presidenza della Regione in senso maggiormente accentratore, gli episodi delle inchieste sulle sei scuole e della richiesta dei nomi dei collaudatori, l’inchiesta sull’Assessorato regionale LL.PP.) dimostrano quanto forte ed incisiva sia stata l’attività di rinnovamento, nel suo complesso ispirata da mio fratello; rendono evidente, altresì, che in siffatta maniera egli andava ad urtare contro interessi che da tale rinnovamento avrebbero innegabilmente subito pregiudizio.
Ma, oltre a questa sua attività amministrativa che, come ho detto, creava timori e preoccupazioni ma anche consenso e fiducia da parte delle forze vitali della Regione, vi è da dire che egli politicamente era ormai diventato ben più che una promessa.
Anzitutto, nell’ambito regionale egli era ormai un punto di riferimento e, nei rapporti con le altre Regioni e fra Regioni e gli organi politici centrali, si era ormai creato attorno a lui un vasto movimento favorevole tanto che era divenuto l’interlocutore privilegiato tutte le volte che erano in ballo argomenti che riguardavano problemi generali riguardanti l’ordinamento e la politica regionale.
A ciò aggiungasi che egli era particolarmente stimato e legato da sincera amicizia a personaggi come Sandro PERTINI, Benigno ZACCAGNINI e Francesco COSSIGA.
Con Aldo MORO, poi, vi era un legame particolarmente affettuoso ed intenso e quest’ultimo teneva mio fratello in grandissima considerazione.
Ricordo, anzi, che, poco prima del suo rapimento, MORO, chiamò a Roma a mio fratello che ebbe con lui un lungo e riservato colloquio, sul cui contenuto mio fratello, che solitamente mi teneva al corrente di tutto, questa volta non mi riferì nulla, pur dicendomi che il colloquio era durato diverse ore.
Preciso meglio che tale incontro non avvenne immediatamente prima del sequestro MORO ma circa tre quattro mesi prima.
Ne consegue che con questo suo ruolo di grande prestigio, sia nell’ambito regionale, sia in quello politico nazionale (già correva voce di una sua possibile nomina a Vice segretario nazionale della D.C.) era impensabile che egli non fosse confermato Presidente della Regione Siciliana.
E di ciò erano tutti ben consapevoli.
Il pericolo, dunque, era che il mantenimento del potere da parte di mio fratello avrebbe reso irreversibile questa sua ascesa politica e, soprattutto, quelle condizioni di rinnovamento e di maggiore trasparenza, a qualsiasi livello, di mio fratello fermamente volute.
E debbo soggiungere che, quando nel 1979 ci sono state le elezioni politiche anticipate, mio fratello, nonostante vivamente sollecitato, decise di rimanere nell’ambito politico regionale perché sentiva come impegno morale quello di completare la sua opera e temeva fortemente che, se fosse andato via questo processo di rinnovamento sarebbe rimasto incompiuto.
E infatti, è un dato certo che dopo la morte di mio fratello si creò un forte arretramento ed una destabilizzazione delle condizioni politiche regionali.
E proprio questa situazione di instabilità politica, creatasi per effetto dell’assassinio di mio fratello, era oggettivamente funzionale a determinati centri di interesse extra-istituzionali di vario genere, che sarebbero stati fortemente compressi e limitati da quel rinnovamento politico ed amministrativo fermamente voluto, e con successo, da mio fratello.
Riassumendo, a mio parere, sia la incisiva attività amministrativa di mio fratello, sia il notevole peso politico dallo stesso acquisito, sia il pregiudizio da lui arrecato a centri di interesse extra-istituzionali, sarebbero di per se stessi, ciascuno di essi causale sufficiente per decretarne la morte.
Ma io ritengo che, a parte la difficoltà di tener separate queste tre sfere di azione di mio fratello, è stato proprio il complesso di queste attività e degli interessi che venivano pregiudicati a costituire causale unica e complessiva della sua uccisione”.

 

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