QUALCOSA DELLA MIA MEMORIA NEL “GIORNO DELLA MEMORIA”

Una domenica di fine inverno 1942-1943, a Civitavecchia, dove ero scolaro del 1° liceo, ero in giro per la Città con mio Padre. Che pure spesso veniva in Città, per il suo lavoro.

Ci incontrammo casualmente con alcuni amici antifascisti come mio Padre. In quelle circostanze aveva sempre cura di avvertirli di poter parlare liberamente in mia presenza, sicuri della mia riservatezza. Ero stato educato al silenzio, e, del resto essi ben mi conoscevano.

C’era Ugo Legnani, medico lontano parente per via materna di mia Madre. E, poi, Ortensio Pierantozzi, preside del locale Istituto Tecnico, compaesano e compagno di scuola elementare di mio Padre, che, poi, fu Deputato democristiano della Prima Legislatura. C’era pure un’altra persona, di cui non ricordo il nome, Ufficiale di Complemento, richiamato alle armi, in licenza non so se dalla Jugoslavia o dalla Grecia, occupate da Tedeschi ed Italiani.

Parlarono del più e del meno. Poi, quest’ultimo disse che avevo visto i Tedeschi rastrellare tutti gli Ebrei della zona e, caricati su treni merci li avevano fatti partire per ignote destinazioni.

La discussione si fermò su tale argomento. Li mandavano ai lavori forzati? Improbabile: perché avrebbero fatto partire anche donne, vecchi, bambini? Per popolare chissà quale landa deserta? Ancor più improbabile. Ugo Legnani, aveva un fratello Gesuita in Svizzera che ogni tanto andava a trovare. Lì pareva che arrivassero dalla Germania voci e notizie di orrori inimmaginabili. Tali da rendere possibile ogni altro orrore che si affermasse commesso in quella Nazione. Si disse quindi sicuro che quei poveretti erano mandati a morire. Era in corso uno sterminio.

Ma, disse non so chi, allora perché li mandavano via in treno? Con le difficoltà per i trasporti di quei giorni, sembrava che farli viaggiare per ammazzarli, poi, chi sa dove, non aveva troppo senso.

Ricordo il Prof. Pierantozzi. Diventò rosso in faccia per lo sforzo, si sarebbe detto, di non urlare (si era esposti ad orecchie pericolose). Disse con gran foga: “Perché? Perché? Perché siamo tutti dei vigliacchi, degli ipocriti, perché ci basta che qualsiasi orrendo delitto sia compiuto lontano dalla nostra porta di casa per restarcene tranquilli come se niente stesse accadendo!     Per questo vanno ad ammazzarli lontano”.

Ricordo qualcosa degli sguardi che si scambiarono mio Padre e gli altri. Il loro silenzio pesò su di noi tutti. Sentivamo che aveva ragione il Professore.

Si era fatto tardi, ci salutammo e con mio Padre ce ne andammo a pranzo a casa (Piazza Leandra). Non ci scambiammo una sola parola. Dopo più di due anni mio Padre leggendo sui giornali a guerra finita degli orrori dei campi di sterminio mi disse. “Ti ricordi quel giorno a Civitavecchia? Ortensio aveva ragione… Ha ragione…”.

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