Vito Ferrandelli scrive questa lettera sulla manifestazione di protesta nell’Agrigentino, contro uno Stato ed una Regione che si sono dimenticati della nostra viabilità, costringendoci a vivere isolati in mezzo alle macerie…

Mentre si avviava il Corteo dalla rotonda Giunone i miei occhi osservavano la maestosità del tempio della Concordia e riflettevo sul fatto che questa nostra provincia esprime una grande contraddizione:

da un lato, registriamo la presenza di una delle aree culturali più belle del mondo, oggi, infatti, abbiamo goduto della magnificenza dei templi greci di Agrigento che testimoniano la bellezza di una cultura e di un’arte che ha attraversato i secoli e che pochi territori al mondo possono vantare, ma dall’altro dobbiamo, invece, constatare con profonda amarezza che viviamo nella provincia che occupa l’ultimo posto per la qualità della vita fra tutte le province d’Italia. Grande cultura e profondo sottosviluppo: è un’amara e insopportabile contraddizione che non può più lasciare indifferenti i rappresentanti della classe politica regionale e nazionale, i sindaci, gli amministratori dei 43 comuni della provincia.

Credo che sia soprattutto da questo stridente contrasto che abbia origine l’emozionante manifestazione di oggi che ha voluto sottolineare con il suo silenzioso urlo di rabbia il malessere generale di una provincia che vede negarsi l’affermazione dei diritti più elementari.

Quella di oggi è stata una bellissima giornata perché a sfilare, tutti insieme, erano presenti le istituzioni e la società civile, le rappresentanze sindacali, la politica, i sindaci e le amministrazioni locali, la Diocesi di Agrigento, le associazioni, i movimenti e tanti cittadini.

Tuttavia, stare insieme, organizzare marce o cortei di protesta senza riuscire a cambiare le cose non ha molto senso.

Penso che ognuno di noi sarebbe felice se questa meravigliosa mattinata che ci ha visto tutti insieme senza nessun riferimento all’ appartenenza politica né partitica potesse costituire l’inizio di un percorso di lotta comune finalizzato a chiedere anche con iniziative non- violente di disobbedienza civile quegli elementari diritti che finora ci sono stati negati.

Di questa bellissima giornata mi piace sottolineare un elemento che potrebbe dare corpo alle speranze di ognuno di noi: la presenza della Diocesi di Agrigento.

Le istituzioni religiose di solito, pur esprimendo con puntualità il loro punto di vista, per propria indole mantengono un profilo basso dinanzi alle problematiche che tradizionalmente sono di competenza della politica.

Stavolta, invece, essa non solo ha sollevato i problemi ma ha partecipato alla organizzazione ed alla promozione di questa meravigliosa manifestazione di popolo a testimonianza di un impegno che vuole essere diretto, determinato e fattivo e dell’intenzione di scuotere le coscienze sopite di una società civile delusa e scoraggiata che ha perso ogni speranza.

Ed è proprio la presenza così convinta e decisa della nostra Diocesi che fa ben sperare affinchè l’esperienza che abbiamo vissuto oggi non rimanga nell’alveo di una semplice protesta fine a sè stessa ma possa avere il carattere della continuità e possa produrre effetti concreti sull’agognato cammino di crescita e sullo sviluppo di questa provincia.

La classe politica locale, regionale e nazionale di questa provincia deve cogliere appieno l’opportunità di avere a fianco a sé, con grande determinazione, un’istituzione così importante.

E perché questo succeda io penso che sarebbe bello ed al tempo stesso necessario, dare vita a quello che si potrebbe definire il Patto della Concordia. Un patto che veda insieme, in un coordinamento o in un’altra forma di proposta, le forze sane di tutte le istituzioni del territorio affinché si possa con determinazione, fattività e grande coraggio dare continuità al desiderio di riscatto sociale ed economico di questa provincia. Sarebbe un’occasione perduta se non riuscissimo a capitalizzare l’esperienza di oggi che ha espresso la sensibilità di uomini e donne che chiedono l’affermazione di quei diritti che in molte altre parti dell’Italia hanno cittadinanza e che, invece, a noi sono stati negati.

Vito Ferrantelli