Lettera al giudice Falcone

Dalla Casa di reclusione di Paliano, il 30.3.1987, Cristiano scriveva a questo Ufficio:
“Egr. Dott. FALCONE
Le scrivo perché non sono sereno, non riuscendo a scindere la verità dalla falsità rendendomi conto di essere stato influenzato da una serie di fattori che mi hanno portato a fare le dichiarazioni che ho reso davanti a Lei, oggi, dopo aver riflettuto a lungo non me la sento di confermare le suddette dichiarazioni.
Non è facile per me accusare mio fratello di un reato così grave ed è proprio per questo che devo avere l’assoluta certezza di quello che ho detto e purtroppo non avendola non riesco ad accettare l’idea di accusarlo su storie che non ho vissuto di persona e perciò non posso fare altrimenti, devo rendere conto anche alla mia coscienza e alla mia famiglia, gradirei parlarle di persona quando capiterà a Roma per lavoro”.
Il senso della lettera, già facilmente intuibile per i suoi riferimenti alle responsabilità affettive verso il fratello e la famiglia, è dolorosamente messo in chiaro nel successivo interrogatorio.

AL G.I. DI PALERMO IL 15.4.1987 (Fot. 746889 Vol. XXXIX)
“Le ho scritto la lettera che le è pervenuta per rappresentarle il mio intenso stato di disagio affettivo, poiché mi sono reso conto che, inevitabilmente le mie dichiarazioni sul coinvolgimento di mio fratello Valerio avranno il loro peso, non insignificante, nel procedimento penale a suo carico in ordine, alla strage di Bologna, attualmente in corso di svolgimento davanti alla Corte di Assise di quella città.
Con la lettera sopra richiamata, non ho inteso affatto ritrattare le mie precedenti dichiarazioni riguardanti l’omicidio MATTARELLA, ma soltanto esprimere la gravissima preoccupazione per la sorte di mio fratello.
Io non so dire se egli è o meno responsabile dei fatti da lui riferitimi e, in particolare, dell’omicidio MATTARELLA di cui mi confidò essere autore.
Però, la prego di comprendere il dramma umano che io sto attualmente vivendo e la prego altresì di rinviare il mio interrogatorio ad almeno una quindicina di giorni affinché io possa riflettere ulteriormente sulla scelta processuale da adottare in ordine alle mie dichiarazioni sull’omicidio MATTARELLA”.

AL G.I. DI PALERMO L’11.5.1987 (Fot. 750288 Vol. XXXIX)
“Dopo lungo travaglio, ho deciso di confermare quanto ho riferito sull’omicidio MATTARELLA, per averlo appreso da mio fratello Valerio.
E’ una imprescindibile esigenza di verità sapere chi è realmente mio fratello e non posso, in nome di un malinteso affetto, negare quanto in effetti è accaduto.
In sostanza, non posso negare la realtà storica di fatti che sono accaduti, come le confidenze fattemi da mio fratello Valerlo sul suo coinvolgimento nell’omicidio MATTARELLA.
Ci sono diversi punti oscuri nelle sue azioni che finora non sono riuscito a comprendere; lo stesso barbaro omicidio di MANGIAMELI e l’accanimento di mio fratello nel proposito di eliminare la moglie e la figlia del predetto, sono tuttora, a mio avviso, inspiegabili sulla base delle ideologie politiche che assume di professare.
E c’è da dire che Valerio ha confermato anche in Corte di Assise questi suoi propositi.
Altri episodi mi sembrano difficilmente spiegabili, alla luce dello spontaneismo armato di cui egli è esponente di rilievo.
L’omicidio LEANDRI, avvenuto nel dicembre 1979, ha infatti una causale molto strana.
LEANDRI è stato ucciso per errore di persona e, al suo posto, avrebbe dovuto essere ucciso l’avv. ARCANGELI, ritenuto responsabile di avere fatto arrestare CONCUTELLI e di essere un uomo che lavorava per i Servizi Segreti.
Altro fatto singolare è la mancata individuazione della finanziaria in danno della quale io avrei dovuto, insieme con CAVALLINI, mio fratello, Francesca MAMBRO, Giorgio VALE, Luca CERIZZO ed altro soprannominato «il paglia», compiere una rapina il 5.2.1981 a Milano, oppure il giorno dopo. Andai a Milano esclusivamente per partecipare a questa rapina, che doveva essere compiuta immediatamente; il che significa che i sopralluoghi erano già stati fatti ed il piano già predisposto.
Mi era stato, detto, fra l’altro, dai miei correi (non ricordo da chi) che la finanziaria era ubicata a circa cento metri dalla Questura.
Senonché, come ho detto più volte, quella mattina CAVALLINI mi avvertì che un tale di Padova, di cui adesso non ricordo il nome, aveva buttato in un canalone le armi, per cui fu necessario acquistare le attrezzature di subacqueo per tentare il recupero.
Poi, com’è noto, il Valerio, nel tentativo di recupero (io materialmente ero in acqua) ebbe una sparatoria coi CC. e fu ferito ed arrestato.
Faccio presente, nel riportarmi a quanto ho già detto su tale episodio, che con me, quando sono arrivato a Milano ed anche a Padova nei pressi del canalone, vi era anche Gabriele DE FRANCISCI, che riuscì ad eclissarsi, a bordo di una seconda vettura da lui guidata.
La mancata individuazione della finanziaria mi sembra molto sospetta, se si considera che mio fratello ha ammesso tutto; e lo stesso dicasi per CAVALLINI e la MAMBRO.
La cosa mi sembra molto sospetta avendo appreso da Roberto FRIGATO che la finanziaria si occupava di riciclaggio di danaro sporco e che egli era d’accordo con un impiegato o meglio con un azionista della società che avrebbe dovuto comunicare il giorno in cui presso l’Agenzia vi sarebbe stato il danaro.
L’azionista intendeva, in siffatta maniera, dare un serio colpo alla finanziaria per acquistare le azioni degli altri a prezzo vile, con la sua quota di bottino proveniente dalla rapina.
A D.R. Non mi risulta che mio fratello abbia mai avuto rapporti con Roberto FIORE e con ADINOLFI; egli aveva ottimi rapporti, ma solo fino al 1979, con Giuseppe DI MITRI.
Mi sembra poco plausibile, pertanto, che sia stato il FIORE a presentare MANGIAMELI a mio fratello.
E’ più probabile, alla luce di quanto io so, che sia stato Giorgio VALE o, addirittura, CAVALLINI, gli unici due con cui, nel 1979, mio fratello manteneva rapporti. Peraltro, tuttora mi è ignoto in quali circostanze mio fratello abbia fatto la conoscenza di Giorgio VALE”.
* * * * *
Sentito dalla Corte di Assise di Bologna nel giudizio di primo grado relativo alla strage del 2 agosto 1980, Cristiano FIORAVANTI non confermava quanto aveva precedentemente riferito sugli omicidi PECORELLI e MATTARELLA.
Successivamente, però, chiariva le ragioni del suo comportamento in Assise al P.M. di Bologna.
Ancora una volta, com’era già avvenuto davanti all’Assise di Roma nel procedimento per l’omicidio MANGIAMELI, non si era sentito – psicologicamente – di mantenere ferma l’accusa contro il fratello, isolandosi affettivamente dal resto della sua famiglia (e soprattutto dal padre, Mario), schierata al fianco di Valerio.
AL P.M. DI BOLOGNA IL 4.3.1988 (Fot. 850002 Vol. XLVII)
“Intendo spontaneamente riferirete chiarire talune questioni che in questi giorni mi hanno agitato.
Preciso che si tratta di vecchi nodi che io non sono riuscito a risolvere e che mi hanno portato ad una parziale ritrattazione avanti la Corte di Assise di Bologna.
Io avevo già detto al Dr. FALCONE che non avrei retto nel confermare le mie accuse in presenza di mio fratello Valerio.
Avevo anche chiesto a detto giudice di Palermo di avvertirLa di questo, se possibile, poiché io già sapevo che non avrei retto nell’aula della Corte di Assise di Bologna alla presenza di mio fratello. Oggi però avverto l’esigenza di affrancarmi da una tale mia subalternità e condizionamento nei confronti di mio fratello, verso cui continuo a nutrire sentimenti di profondo affetto.
Per fare ciò devo necessariamente spezzare un’altra serie di affetti e di rapporti collegati a tutta la mia vicenda terroristica.
In particolare, devo dire che attraverso mio padre rimbalzano su di me continuamente pressioni affinché io ritratti le mie dichiarazioni.
Per ragioni che non conosco, taluni legali sono convinti che io sappia molto più di quanto non abbia già dichiarato, il che peraltro mi porta ad avere comprensibili preoccupazioni.
Io, sia pure in maniera sofferta e graduale, liberandomi progressivamente da una serie di affetti famigliari, sono riuscito a realizzare una collaborazione leale con le varie Autorità giudiziarie.
Viceversa, l’avvocato CERQUETTI, dichiarandosi convinto che io avessi sempre confessato reati non commessi in riferimento alle accuse da me rivolte a mio fratello sull’omicidio PECORELLI e per l’omicidio MATTARELLA, ha detto a mio padre che si trattava di accuse false che io avrei dovuto ritrattare.
L’avvocato CERQUETTI, nel dire ciò a mio padre, sosteneva che «i Giudici di Bologna non mi avrebbero mai fatto uscire dal carcere se io non avessi riferito loro che Valerio era responsabile della strage di Bologna». Aggiungeva anche che «i Giudici di Bologna si servivano di IZZO per raggiungere il loro scopo, che era quello di accusare Valerio e di mettere me sotto pressione perché io dicessi loro le cose che volevano che io ammettessi».
Ho ricevuto per anni tante e tali di queste pressioni che alla fine mi sono convinto che effettivamente questo gioco ai miei danni fosse stato realizzato.
Avvertivo l’esigenza di chiarire con Lei quanto mi è capitato ed ecco il motivo per cui ho chiesto di parlarLe di queste mie vicende personali.
Intendo poi spontaneamente rivelare un altro episodio che mi è capitato durante la mia detenzione presso il Reparto Operativo dei Carabinieri di Roma.
Era il febbraio 1983; SORDI era stato arrestato da poco ed aveva iniziato a collaborare riferendo particolari sull’omicidio PECORELLI.
Io, per esigenze istruttorie, fui portato presso il Reparto Operativo dove c’era anche SORDI e qui venni sottoposto a numerosi interrogatori.
In questo periodo mi venne più volte chiesto cosa io sapessi dell’omicidio PECORELLI, evidentemente a seguito di quanto aveva detto sul punto SORDI.
Mi sembra di ricordare che io mai avevo detto nulla su tale episodio, anche se io avevo sempre nutrito seri dubbi che mio fratello c’entrasse in tale omicidio, oltre che in quello di un uomo politico assassinato in Sicilia, che solo in un secondo momento seppi trattarsi dell’onorevole MATTARELLA.
Successivamente, nel 1986, sarò molto più esplicito su tali episodi con i Giudici di Roma e di Palermo.
Nel 1983, invece, al Reparto Operativo fui molto più defilato.
Ciò perché mio fratello aveva confessato numerosi omicidi ma non quei due, il che mi faceva capire che c’era qualcosa di oscuro in tali episodi che mio fratello voleva coprire e che io non intendevo svelare anche perché non conoscevo i retroscena.
Sempre in quel periodo il mio legale, l’avvocato Maurizio DI PIETROPAOLO, mi chiese più volte cosa sapessi dell’omicidio PECORELLI durante i nostri colloqui.
Io gli dissi che non ne sapevo nulla.
L’avvocato DIPIETROPAOLO mi disse che se io avevo interesse a restare al Reparto Operativo e a non rientrare in carcere, potevo dare ai Giudici un «contentino».
Gli chiesi cosa intendesse per «contentino», dal momento che io gli avevo riferito di non saper nulla di tale omicidio ed egli mi rispose: «nel caso ne parleremo».
In pratica, io capii che il mio legale voleva incanalare le cose per favorire qualcuno o per giochi ed interessi che mi sfuggivano ed ai quali io ero certamente estraneo.
Quando chiesi a mio padre, dopo le rivelazioni, di CALORE e SODERINI, se realmente il mio avvocato lo avesse avvicinato per la vicenda PECORELLI, mio padre mi rispose che ciò non era vero. L’avvocato DIPIETROPAOLO mai nessun accenno mi fece all’omicidio MATTARELLA.
Mio padre mi disse che l’avvocato CERQUETTI gli aveva poi spiegato che se io avessi ritrattato le mie dichiarazioni sui due omicidi ed avessi affermato che si trattava di circostanze false nessuno avrebbe potuto togliermi i benefici di legge di cui avevo già usufruito con sentenze definitive e tutt’al più avrei potuto andare incontro ad una pena non superiore ai due anni di reclusione per calunnia e favoreggiamento.
Anche ultimamente, in occasione del processo per l’omicidio DI LEO, l’avvocato CEROUETTI, difensore di Donatella DE FRANCISCI, mi ha invitato, sempre attraverso mio padre, a ritrattare le mie dichiarazioni; dico meglio: in occasione del processo DI LEO (febbraio ’88) nel quale io ero imputato, confesso e chiamante in correità (avevo riferito a PEDRETTI, dopo un colloquio con la Donatella DE FRANCISCI, che era tutto pronto per ammazzare il giornalista CONCINA, che gli appostamenti erano stati positivi e che in settembre si sarebbe «proceduto»), l’avvocato CERQUETTI ha avvicinato mio padre, dicendogli che si stava facendo in modo di condannarmi e di farmi perdere i benefici per una accusa di omicidio che io non avevo confessato.
Viceversa, era vero il contrario ma mio padre non lo sapeva.
Devo dire a questo punto, che se io all’udienza del dicembre ’87 non ho confermato quanto avevo riferito sugli omicidi PECORELLI e MATTARELLA è stato per questo clima che l’avvocato CEROUETTI è riuscito a creare nella mia famiglia; in altri termini dicendo a mio padre che io ho detto il falso su tali episodi e che era necessario convincermi a ritrattarli, egli è riuscito a condizionare mio padre, che mi considera un «infame» e che è interessato solo a mio fratello, ed a fargli esercitare nei miei confronti dei ricatti morali ed affettivi.
E’ da anni che l’avvocato CEROUETTI porta avanti questo compito, che come ho detto è riuscito a condizionare la mia condotta processuale.
Il legale invitò mio padre ad essere presente in aula per assistere a quello che io dicevo, sapendo che la sola sua presenza mi avrebbe condizionato.
A Bologna, poiché la mia deposizione slittò, mio padre presente all’udienza in cui non fui escusso e non potè essere presente quando fui interrogato.
Evidentemente, però, il clima che si era già creato mi portò a quella ritrattazione sui due episodi criminosi di cui ho detto.
Quanto ho detto è determinato da una esigenza, che avverto in questo momento più forte che non nel passato, di affrancarmi da ogni condizionamento nel tentativo di conquistarmi una più completa autonomia ed indipendenza. Al momento non ricordo altro”.
Prescindendo, qui, da ogni valutazione in ordine alle motivazioni ed alle modalità degli interventi dei citati professionisti, è necessario ricordare che le dichiarazioni di Cristiano trovano riscontro in un altro episodio, richiamato nella sentenza della Corte di Assise di Bologna relativa alla strage del 2 agosto 1980, su “cointeressenze processuali” tra Licio GELLI e Valerio FIORAVANTI in relazione all’omicidio PECORELLI (su tale episodio v. “amplius” in appresso).

Con talune precisazioni, Cristiano FIORAVANTI ritorna sull’argomento nelle dichiarazioni del 21.7.1988, rese a questo Ufficio.
AL G.I. DI PALERMO IL 21.7.1988 (Fot. 850655 Vol. XLVII)
“Confermo, previa lettura avutane, la dichiarazione da me resa al P.M. di Bologna, dott. L. MANCUSO, il 4.3.1988 (Vol. XLVII, ff 183-187).
Debbo dire, però, che per quanto riguarda le mie dichiarazioni sull’avv. DI PIETROPAOLO si tratta di mere sensazioni e valutazioni, squisitamente personali, la cui attendibilità non sono in grado di riferire; pertanto, non le confermo.
Vorrei soggiungere che mi trovo in uno stato di profondo disagio, perché ho appreso da mio padre, al quale ciò è stato comunicato da mio fratello, che adesso i pentiti della mafia starebbero facendo rivelazioni anche sulla esecuzione materiale dell’omicidio MATTARELLA da parte di mafiosi; e Valerio, secondo quanto mi ha riferito mio padre, ha soggiunto: «adesso, sono problemi per quelli che mi hanno accusato dell’omicidio MATTARELLA».
Ignoro da chi mio fratello avrebbe appreso queste notizie; forse, ma è soltanto una mia opinione, dai giornali o dalla televisione.
Ho appreso ciò da mio padre in occasione di un permesso, concessomi dal magistrato di sorveglianza, dal 1° al 13 giugno scorso, che ho trascorso a casa dei miei familiari, a Roma.
In sostanza, io non posso che ribadire la verità del fatto storico di avere appreso personalmente da mio fratello Valerio, con le modalità che ho riferito nei miei precedenti interrogatori, che egli era coinvolto nell’omicidio di un uomo politico siciliano, che secondo le Autorità si identificherebbe nell’on. MATTARELLA.
Per quanto mi riguarda, ribadisco di non sapere e di non avere altri elementi per stabilire se egli ha effettivamente commesso questo omicidio; ma non posso sostenere, per onestà intellettuale, che egli non mi abbia confidato ciò, anche se, ove ritrattassi, probabilmente la mia situazione ne trarrebbe beneficio.
A D.R. Per quanto concerne l’omicidio di Michele REINA, segretario provinciale della D.C. di Palermo, che la S.V. mi dice essere avvenuto, in Palermo il 9.3.1979, debbo dire che apprendo soltanto adesso di tale omicidio e che il nome di REINA non mi dice nulla.
A D.R. Escludo che mio fratello mi abbia mai detto di essere in qualche modo coinvolto nell’omicidio suddetto. Apprendo dalla S.V. che le vedova di Michele REINA ha recentemente reso una dichiarazione nel corso della quale ha fotograficamente notato una somiglianza fra il killer di suo marito e mio fratello Valerio ed ha precisato delle modalità di esecuzione dell’assassinio che ricordano gli omicidi commessi da mio fratello, secondo quanto la S.V. mi dice.
Al riguardo, ribadisco che di tale omicidio non mi risulta nulla e che mai ne ho parlato, con Valerio o con altri.
A D.R. Se ben ricordo, il 6.3.1979 era l’anniversario della morte di Franco ANSELMI, che si intendeva commemorare con un’altra rapina in un’altra armeria, come quella in cui era stato ucciso l’ANSELMI.
Trattasi della rapina in danno dell’armeria Omnia Sport che, però, fu commessa qualche giorno dopo, cioè, lo stesso giorno in cui io sono stato dimesso dal carcere.
Io, quindi, non ho partecipato alla rapina, che però è stata commessa da mio fratello Valerio, Francesca MAMBRO, Giuseppe DI MITRI, Alessandro ALIBRANDI, Dario PEDRETTI, Alessandro PUCCI, Gabriele DE FRANCISCI ed altri.
In quel periodo, Valerio era molto attivo sulla piazza di Roma e, se ben ricordo, si allontanò da questa città dopo una decina di giorni dalla consumazione della rapina, per distribuire parte delle armi sottratte ai gruppi che voleva creare nel Nord, a Trieste e Rovigo.
Anzi, non sono nemmeno sicuro, adesso, se sia allontanato da Roma o se la consegna delle armi sia avvenuta nella Capitale. Quel che è certo è che non ho mai sentito parlare di un suo viaggio in Sicilia in quel periodo”.

Fonte mafie blog autore repubblica