Quella missione a Palermo

LE DICHIARAZIONI DI VALERIO FIORAVANTI AL G.I. DI PALERMO IL 7.6.1986 (Fot. 639197 Vol. XX)
“…. Ho conosciuto Gilberto CAVALLINI qualche giorno prima della rapina commessa a Tivoli in danno di una gioielleria, avvenuta, se mal non ricordo, il 15.12.1979.
A tale rapina partecipai col CAVALLINI e con altri soggetti, di cui non intendo fare il nome, anche se mi sembra che abbiano, tutti, confessato.
Nell’intervallo fra la scarcerazione di Sergio CALORE, avvenuta a metà novembre 1979, ed il suo arresto, avvenuto il 17.12.1979, in relazione all’omicidio LEANDRI, mi fu comunicato, da una persona di cui non intendo fare il nome, che stava preparandosi un tentativo di far evadere CONCUTELLI, in occasione del suo arrivo al carcere palermitano dell’Ucciardone.
Egli si sarebbe fatto ricoverare in ospedale, con i normali trucchi posti in essere dai detenuti, ed ivi avrebbero cercato di liberarlo.
Mi si propose di partecipare a questa operazione che avrebbe avuto l’appoggio logistico di «camerati» siciliani (dei quali ho visto di sfuggita uno solo, a Roma, che non era MANGIAMELI e che non ho più incontrato) ed io chiesi notizie in merito a Sergio CALORE, per valutare se ne valeva la pena.
Il CALORE mi incoraggiò ed anzi mi fornì un mitra UZI, particolarmente adatto, per le sue piccole dimensioni, ad essere portato in luogo pubblico, come un ospedale, senza farne accorgere a nessuno.
Io stesso ritirai il mitra – o meglio non ricordo se lo prelevai o lo restituii; credo, comunque, che il mitra sia stato, poi, sequestrato dalla polizia.
Due dei camerati romani andarono a Palermo per un sopralluogo e credo che vi siano andati in aereo; ne fecero ritorno o lo stesso giorno o il giorno successivo e mi comunicarono che, a loro avviso, l’operazione era facile per cui dovevo tenermi pronto.
Dopo un paio di giorni mi comunicarono, invece, che non se ne sarebbe fatto nulla perché il CONCUTELLI non era riuscito a farsi ricoverare.
Il mitra, pertanto, fu adoperato per alcune rapine e, poi, fu preso in consegna dal CAVALLINI per restituirlo, dato che il CALORE, nel frattempo, era stato arrestato.
Circa 15-20 giorni dopo l’arresto di CALORE (17.12.1979: N.D.R.), Giorgio VALE (almeno questo è il mio ricordo) mi fece conoscere Roberto FIORE, il quale era a me noto in precedenza solo vagamente.
Mi incontrai col FIORE in un luogo che non ricordo e quest’ultimo mi chiese di incontrarmi con un camerata siciliano che desiderava parlarmi.
Fissai l’appuntamento per qualche giorno dopo a Piazza del Popolo, in Roma, e, se mal non ricordo, il siciliano era accompagnato dal FIORE, che subito dopo si allontanò. Trattavasi di Francesco MANGIAMELI, del quale feci la conoscenza in quell’occasione.
Egli mi chiari che stava occupandosi dell’evasione del suo amico Pierluigi CONCUTELLI (che egli chiamava Piero) e mi chiese di andare a Palermo per effettuare un sopralluogo al fine di concretare l’operazione.
Andai a Palermo, da solo, dopo qualche giorno, nel gennaio 1980, e son quasi sicuro di aver preso l’aereo, usando il falso nome «DE FRANCISCI» o, più probabilmente, un nome qualsiasi.
A Palermo fui ospite per un paio di giorni nella casa di Francesco MANGIAMELI, sita in Palermo, credo in via delle Province (ma potrei sbagliare).
Trattasi di un appartamento sito in uno stabile di recente costruzione, al quinto o al sesto piano o forse ancora più in alto, e di fronte allo stabile vi era un terreno, credo un agrumeto.
Era una casa normalmente arredata ed ivi feci la conoscenza della moglie del MANGIAMELI, Rosaria, e della figlia, nella cui camera da letto dormii per due notti, in un letto separato.
Occupai il tempo della mia permanenza in Palermo per controllare il tragitto del furgone blindato dall’Ucciardone al Palazzo di Giustizia, ritenendo che, in una città sconosciuta, l’unica possibilità di intervento per me fosse l’attacco al blindato durante il percorso.
Discussi di queste mie conclusioni col MANGIAMELI, che convenne con le mie considerazioni; gli affidai l’incarico di procurarmi un appartamento sicuro in una zona di Palermo distante dal luogo dell’attacco, dove io e gli altri camerati ci saremmo nascosti per diversi giorni prima di allontanarci da Palermo.
Anzi, ricordo che gli lasciai una somma di danaro, di cui non ricordo l’importo, per prendere in affitto subito un appartamento, al fine di non destare sospetti.
In quel periodo, feci la conoscenza di due camerati, presentatimi dal MANGIAMELI di cui ignoro il nome e che probabilmente non sarei in grado nemmeno di riconoscere. Costoro mi aiutarono nella scelta dei percorsi ma né mi fecero capire né io chiesi, se erano a conoscenza del progetto; ciò è del tutto normale in casi del genere.
A D.R. Sono sicuro di non avere incontrato Gabriele DE FRANCISCI, che io ben conosco, a Palermo in quel periodo.
A D.R. Se mal non ricordo, in quel periodo indossavo un «piumino» azzurro-blu.
A D.R. Ritornato a Palermo cominciai a pensare al modo come procurarci le armi e, con Gilberto CAVALLINI e con altri due o più camerati, di cui non intendo fare il nome, mi recai alla Caserma di Cesano, a me ben nota perché ivi avevo prestato servizio militare come allievo ufficiale.
Ci rendemmo conto che l’operazione non era possibile perché eravamo pedinati, o almeno così credemmo, e, pertanto, ci spostammo a Padova, dove, al distretto militare, riuscimmo a portare via, il 30.3.1980, quattro mitragliatrici MG, ed alcuni fucili GARAND; armi, però, che subito dopo furono abbandonate per un disguido.
Comunque, per evitare che si pensasse a noi, soprattutto nell’ambiente carcerario, e che la notizia venisse alle orecchie degli organi di Polizia, apponemmo delle scritte sui muri di Padova rivendicando l’azione da parte delle Brigate Rosse.
A questo punto, ritenni opportuno andare comunque a Palermo per informare il MANGIAMELI di quanto era accaduto e per studiare se era possibile improvvisare un piano alternativo che non richiedesse armi particolari.
Mi recai a Palermo con Francesca MAMBRO, pienamente informata di quanto stavo facendo e prendemmo alloggio presso l’Hotel Des Palmes, dopo di avere pernottato, per una notte, presso l’Albergo Politeama.
Ci recammo a Palermo in autovettura (una Volkswagen Golf rossa, rubata) e, durante il percorso, ebbi un lieve incidente stradale nel tratto Messina-Palermo privo di autostrada.
Appena arrivati a Palermo, ci recammo a casa del MANGIAMELI ed il portiere dello stabile ci consegnò una lettera del predetto, colla quale ci comunicava che si era dovuto assentare da Palermo per le vacanze pasquali e che ci saremmo risentiti in seguito.
Ciò ci fece adirare, poiché, proprio il giorno prima gli avevo telefonato invitandolo a non allontanarsi da Palermo per nessun motivo, poiché stavo per partire per quella città; inoltre, senza il suo appoggio logistico, non avremmo potuto far nulla in una città a noi sconosciuta.
Debbo precisare che il MANGIAMELI ben sapeva del nostro progetto di rapinare delle armi al Distretto militare di Padova, perché, per coinvolgerlo definitivamente e tentare di avere da lui un comportamento meno leggero, lo avevamo indotto a parteciparvi, col ruolo di autista di una delle due autovetture di appoggio; egli avrebbe dovuto compiere un tragitto di appena duecento metri per rilevarci prima dell’attacco; invece, non lo vedemmo arrivare e fummo costretti a mandare a monte l’operazione.
Successivamente, lo ritrovammo alla Stazione ferroviaria di Padova e candidamente ci disse che si era perso.
Quindi, avendo dato i giornali ampio risalto all’operazione di Padova, successivamente compiuta senza il suo concorso, egli necessariamente doveva rendersi conto ché noi non avevamo le armi sperate; peraltro, quando telefonicamente lo avvertii del mio arrivo, gli dissi anche che le armi erano andate perdute ma che avremmo tentato ugualmente di far evadere CONCUTELLI con le armi a nostra disposizione, modificando il piano.
Data l’assenza di MANGIAMELI, ci fu impossibile, dunque, a me e alla MAMBRO, di porre in essere alcuna attività e, pertanto, appena riparata la Golf, ripartimmo per Roma, dopo alcuni giorni.
In questo periodo, a Palermo non abbiamo incontrato nessuno.
A D.R. Ignoro in quale misura l’AMICO Rosaria, moglie del MANGIAMELI, fosse a conoscenza dei nostri piani.
Posso dire, però, che, durante la successiva nostra permanenza a Tre Fontane a casa del MANGIAMELI, di cui appresso dirò, l’AMICO si atteggiava a guerrigliera e sbandierava con chicchessia la sua amicizia con CONCUTELLI, indispettendomi non poco, poiché ciò era molto pericoloso.
A D.R. Circa la nostra permanenza a casa del MANGIAMELI, a Tre Fontane, nell’estate del 1980, posso dire che ci siamo recati lì perché invitati dal MANGIAMELI a trascorrervi un periodo di vacanze.
In quel periodo noi vivevamo nella clandestinità, ritenendo che fosse la miglior cosa da fare, pur in assenza di mandati di cattura.
E fu proprio a Tre fontane che mi resi conto della profonda incompatibilità fra le mie idee e quelle del MANGIAMELI, vecchio appartenente ad Ordine Nuovo, organizzazione, questa, della quale non condividevo l’apparato verticistico e la mancata partecipazione della base alle scelte operative.
A D.R. Non è vero che io abbia avuto un violento alterco, a Tre Fontane, coi coniugi MANGIAMELI perché trattavo male la loro figlia.
In realtà, accadde che ci accorgemmo che il MANGIAMELI utilizzava il nostro danaro anche per fini personali come, ad esempio, l’acquisto di molti giocattoli alla figlia e gli facemmo notare, Francesca ed io, che ciò era profondamente immorale; ma nulla di personale vi era, ovviamente, verso la bambina.
A D.R. Vero è che, durante la nostra permanenza a Tre Fontane, il MANGIAMELI si è allontanato per alcuni giorni, per recarsi a Taranto per effettuare alcuni sopralluoghi e per prendere in affitto la casa; credo, anzi, che l’affitto sia avvenuto in altra occasione, prima o dopo.
Al ritorno, ci presentò un conto spese di L. 2.700.000, francamente eccessivo.
Ma successivamente, quando ci recammo a Taranto, nella casa presa in affitto da Mauro ADDIS, ci accorgemmo che l’anticipo era stato pagato al proprietario dall’ADDIS e non dal MANGIAMELI, nonostante già corrispostogli, e che il MANGIAMELI verosimilmente non era nemmeno andato a vedere il carcere di Taranto.
Infatti aveva omesso di-riferirci che lo stesso, per ben tre lati, confina con un giardino pubblico che facilita enormemente qualsiasi tipo di azione.
A D.R. Lei mi fa presente che Rosaria AMICO ha sostenuto di avermi conosciuto soltanto in occasione del nostro viaggio in Sicilia del luglio 1980.
Io posso confermare che già nel gennaio 1980 sono stato ospite a casa sua e ne ho fatto la conoscenza, seppur sommaria.
A D.R. La Francesca MAMBRO, come Lei fa notare, dichiarato che nel periodo pasquale eravamo andati a Palermo per un viaggio di piacere, ciò è avvenuto perché ha reso queste dichiarazioni in un periodo in cui preferiva non riferire compiutamente quanto a sua conoscenza.
A D.R. Durante il periodo della Pasqua 1980, ed anche durante il successivo soggiorno estivo io e Francesca, senza eccessivo impegno, studiammo la possibilità di rapinare una grossa gioielleria palermitana (quella denominata «Matranga»), ma non se ne fece nulla, nonostante ritenessimo l’operazione relativamente facile.
A D.R. MANGIAMELI è stato ucciso non per uno specifico motivo ma perché, insieme con FIORE e ADINOLFI, mirava ad egemonizzare il nostro ambiente, o meglio quel che rimaneva dell’ambiente giovanile di Terza Posizione, dopo che, per effetto della strage di Bologna, un po’ tutti erano dispersi e privi di guida.
Non è stata resa nota immediatamente l’uccisione del MANGIAMELI – ed anzi il suo cadavere è stato nascosto – perché pensavamo di eliminare anche FIORE e ADINOLFI, inoltre, non potevano esser pubblici né i motivi di contrasto, né la programmazione dell’evasione di CONCUTELLI. Anche AMICO Rosaria sarebbe stata uccisa se fosse stato possibile catturarla, perché temevamo che potesse parlare dei nostri tentativi di far evadere CONCUTELLI.
Temevamo, in particolare, che potesse parlare della casa o del carcere di Taranto, coinvolgendo Mauro ADDIS, che in quel periodo ci era molto utile.
La casa di Taranto era, per noi, importantissima, essendo, allora, l’unico rifugio sicuro ed essendo saltata la copertura, nel Veneto, fornitaci da CAVALLINI.
In quel periodo, infatti, CIAVARDINI era stato fermato nel pressi di Treviso con un documento falso intestato ad Amedeo DE FRANCISCI, che, allora, era in carcere o meglio era ricercato”.
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LE DICHIARAZIONI DI FRANCESCA MAMBRO AL G.I. DI PALERMO IL 24.6.1986 (Fot. 642924 Vol. XX)
“Ho sentito parlare per la prima volta, del progetto di far evadere CONCUTELLI dal mio attuale marito, Valerio FIORAVANTI, nel marzo 1980.
Egli mi disse che era opportuno che liberassimo il CONCUTELLI, anche se faceva parte di una generazione politica diversa dalla nostra, poiché gliene aveva parlato molto bene Sergio CALORE, durante la loro comune detenzione.
Valerio mi prospettò questo progetto come una sua iniziativa ma ignoro se, prima di me, ne avesse parlato con altri.
Non mi disse se, nel passato, avesse già tentato di far evadere CONCUTELLI e, in particolare, se fosse già stato a Palermo.
Anzi, sarei portata ad escludere ciò, poiché, quando andammo a Palermo, mi accorsi che non conosceva la città.
Al progetto erano interessati, secondo Valerio, anche CAVALLINI, Giorgio VALE e gli altri del gruppo, di cui non intendo fare il nome.
Era sua intenzione di assaltare il furgone blindato con CONCUTELLI durante il trasferimento dal carcere al Palazzo di Giustizia di Palermo, o viceversa; per le armi necessarie per l’attacco, Valerio mi disse che ce le saremmo procurate a Padova e precisamente al Distretto dell’Esercito; l’attacco riuscì a metà poiché le armi furono prese ma poi abbandonate per un disguido.
In quella occasione seppi che era già stato operato un tentativo di acquisizione di armi alla Caserma di Cesano e un altro tentativo al Distretto Militare di Padova, entrambi andati a male.
Nel primo tentativo al Distretto di Padova aveva partecipato anche un certo Ciccio che era stato anzi la causa del fallimento dell’impresa perché si era allontanato nel momento cruciale.
L’attacco al Distretto militare di Padova venne effettuato alla fine di marzo 1980 e, pur non avendo armi adatte, Valerio ritenne di tentare ugualmente e, pertanto, scendemmo a Palermo.
Prima di partire, Valerio mi informò che ci attendeva a Palermo “Ciccio”, il quale ci aveva procurato una casa da utilizzare come base pagando l’affitto con denaro datogli da Valerio.
Arrivammo a Palermo in macchina (una GOLF Rossa), dopo un incidente stradale che danneggiò l’autovettura e ci recammo subito a casa del “Ciccio” e, cioè, di Francesco MANGIAMELI.
Io rimasi in macchina e Valerio, ritornato dopo un po’, mi disse, molto seccato, che il MANGIAMELI si era allontanato per Milano con la famiglia; su questo punto non saprei essere più precisa – non ricordandolo bene – ma mi sembra evidente che Valerio avrà parlato con qualcuno.
Non ricordo se mi mostrò una lettera del MANGIAMELI. Poiché il progetto era andato a monte, rimanemmo a Palermo per alcuni giorni, prendendo alloggio presso l’Hotel des Palmes; Valerio aveva con sé i documenti di identità intestati a Amedeo DE FRANCISCI mentre io ero in possesso di quelli genuini.
Attendemmo che la macchina venisse riparata e, in quei giorni, andammo in giro per la città, senza incontrare nessuno.
Della città ricordo il lungomare, piazza Politeama, e i venditori di pane e panelle; ricordo anche le pasticcerie palermitane.
Ho visto anche il Palazzo di Giustizia, dall’esterno.
Ci siamo recati a casa di MANGIAMELI, a Tre Fontane, nel luglio 1980, soprattutto perché avevamo intenzione di rapinare alcune gioiellerie palermitane.
Prendemmo alloggio, questa volta, all’Hotel Politeama e, quello stesso, giorno o il giorno successivo, il MANGIAMELI ci rilevò e ci accompagnò a casa sua, a Palermo, dopo avere comprato dei viveri; pranzammo a casa sua, dove feci la conoscenza della moglie del MANGIAMELI, e, dopo avere pranzato, nel pomeriggio ci recammo a Tre Fontane.
Io già conoscevo il MANGIAMELI, perché mi era stato presentato dal CAVALLINI a Roma, a Villa Massimo; era presente anche Valerio.
A D.R. Non ricordo se Valerio e la moglie del MANGIAMELI già si conoscessero, né ricordo se, a casa del MANGIAMELI, tentò di riparare la maniglia della porta di ingresso.
A D.R. Escludo che l’AMICO avesse il comportamento tipico delle “donne siciliane”; essa assisteva liberamente ai nostri discorsi e noi non adottavamo alcuna cautela per evitare che ci ascoltasse.
A D.R. A Tre Fontane facemmo la conoscenza di Alberto VOLO e della moglie e di una coppia di coniugi, con due figli abbastanza grassi di circa dieci-dodici anni.
In loro presenza e davanti a me non si parlò di CONCUTELLI.
A D.R. Durante la nostra permanenza a Tre Fontane, MANGIAMELI si allontanò per alcuni giorni, poiché doveva recarsi a Taranto per affittare una casa in vista dell’evasione di CONCUTELLI.
Al suo ritorno, ci disse che aveva preso in affitto un villino bifamiliare con annesso giardino.
Ci disse che si era recato a Taranto personalmente e noi comprendemmo dai suoi discorsi, anche se non ce lo disse esplicitamente, che si era fatto accompagnare da qualcuno”.
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La lettura coordinata delle dichiarazioni acquisite, in ordine ai piani da attuare a Palermo per l’evasione di Pierluigi CONCUTELLI, induce ad alcune interessanti riflessioni, determinate dai riferimenti ai soggetti che parteciparono ai due progetti.
Invero, al piano del novembre 1979, in qualità di organizzatori e/o esecutori, avrebbero partecipato:
1) Secondo CONCUTELLI: Francesco MANGIAMELI, Sergio CALORE, Valerio FIORAVANTI e “altri del suo gruppo” (incerta, invece, la partecipazione di Mario ROSSI, del quale CONCUTELLI parla nell’interrogatorio del 23.6.1989, per manifestare poi, in un successivo confronto col ROSSI, dubbi determinati da una possibile imprecisione dei propri ricordi);
2) secondo DIMITRI: egli stesso, Roberto FIORE, Gabriele ADINOLFI, Francesco MANGIAMELI, .Sergio CALORE, Valerio FIORAVANTI e, forse, Roberto NISTRI;
3) secondo CALORE: egli stesso, Valerio FIORAVANTI, Giuseppe DI MITRI, Roberto NISTRI (e, forse, Roberto MIRANDA, Stefano PROCOPIO, Mario ROSSI o Bruno MARIANI); non era nota al CALORE, invece, la partecipazione di Francesco MANGIAMELI;
4) secondo Valerio FIORAVANTI: egli stesso, Sergio CALORE, e altri non indicati, con esclusione di Francesco MANGIAMELI.

Invece, al piano programmato per l’aprile 1980, avrebbero partecipato:
1) Secondo CONCUTELLI: Francesco MANGIAMELI, Valerio FIORAVANTI e altri del suo gruppo, tra cui Francesca MAMBRO e Stefano SODERINI. In particolare, Valerio FIORAVANTI sarebbe anche passato alla fase di attuazione del piano;
2) secondo SODERINI: egli stesso, Pasquale BELSITO e “i magnifici 7” (Valerio FIORAVANTI, MAMBRO, CAVALLINI, CIAVARDINI, ROSSI, DE FRANCISCI, VALE);
3) secondo Valerio FIORAVANTI: egli stesso, Roberto FIORE, Francesco MANGIAMELI e altri “camerati” non conosciuti;
4) secondo Francesca MAMBRO: Valerio FIORAVANTI e Francesco MANGIAMELI.

La prima riflessione riguarda la composizione “politica” dei gruppi.
Quello impegnato nel primo progetto (novembre 1979) è costituito da membri di varie formazioni dell’ultradestra (Terza Posizione, Costruiamo l’Azione, N.A.R.).
Quello impegnato nel secondo progetto è costituito, invece, soltanto da membri del gruppo di Valerio FIORAVANTI (“i magnifici sette”) e da persone a lui accostatesi in questo periodo (SODERINI, BELSITO).
Di altra “matrice” politica (T.P.) resta soltanto Francesco MANGIAMELI.
La seconda riflessione riguarda il momento, in cui si sarebbe stabilito un “contatto” tra Valerio FIORAVANTI e Francesco MANGIAMELI.
E’ significativo, a tal riguardo, che in relazione al piano di evasione concepito nel novembre 1979 Valerio FIORAVANTI esclude di aver avuto contezza della partecipazione di Francesco MANGIAMELI; laddove invece, secondo altre fonti (CONCUTELLI e DI MITRI), Francesco MANGIAMELI era colui che, per primo, aveva ideato il piano di evasione.
Un’altra considerazione riguarda la presenza o meno nell’Ospedale Civico di Palermo, nell’ambito del piano di evasione del novembre 1979, di Valerio FIORAVANTI e di altri del suo gruppo.
La circostanza non può dirsi chiarita, poiché CONCUTELLI, nel suo interrogatorio del 23.6.1989, ha affermato dapprima di aver saputo da CALORE e dallo stesso FIORAVANTI che costui e altri del “gruppo romano” erano presenti nell’Ospedale, aggiungendo però, subito dopo, che Valerio gli aveva confermato “non già la sua materiale partecipazione, bensì la sua conoscenza della partecipazione del gruppo romano all’evasione”.
D’altra parte, Sergio CALORE ha precisato (dich. 9.4.1986) che, pur ritenendo probabile che qualcuno si fosse recato a Palermo constatando l’impossibilità di attuare il piano per il mancato trasferimento di CONCUTELLI in ospedale, non poteva neppure escludere che tale impossibilità fosse stata constatata senza la necessità di spostarsi a Palermo.
Infine, Giuseppe DI MITRI (dich. 22.11.1989) ha riferito che – per quanto gli constava – nessuno del gruppo era presente a Palermo.
Gli anzidetti argomenti inducono, fin d’ora, ad alcune logiche considerazioni:
1) appare scarsamente credibile la tesi di Valerio FIORAVANTI, secondo cui egli avrebbe conosciuto MANGIAMELI soltanto dopo l’ideazione del primo progetto di evasione da attuarsi a Palermo;
2) nell’ambito del secondo progetto di evasione, da attuarsi sempre a Palermo, il ruolo di Valerio FIORAVANTI e del suo “gruppo” appare predominante e determinante al punto da prevedere la realizzazione preventiva di azioni contro obiettivi militari (l’irruzione al Distretto Militare di Padova del 30.3.1980 per il reperimento delle armi pesanti da utilizzare per l’attacco al furgone blindato);
3) è importantissima l’ammissione di Valerio FIORAVANTI, che fino a quel momento non emergeva da alcuna fonte riscontrata, secondo cui egli si trovava a Palermo (con un “piumino” blu), circa 15-20 giorni dopo l’arresto di Sergio CALORE, cioè entro la prima decade di gennaio 1980. Questa notizia, comunque, il FIORAVANTI l’aveva data – per la prima volta – già nell’interrogatorio del 5.7.1985.

Di tale ammissione – e dell’importanza rilevante a suo carico – si accorge lo stesso Cristiano FIORAVANTI, che, infatti, la fa notare al G.I. che lo interroga.

 

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