La relazione di Loris D’Ambrosio

L’ipotesi di un’alleanza di Cosa Nostra con il terrorismo politico –segnatamente con la destra eversiva dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) e di Terza posizione (Tp) –è quella sulla quale stava lavorando Giovanni Falcone negli anni 1986-1987, prima di venire emarginato dai capi dei due uffici inquirenti palermitani. Il suo lavoro viene proseguito nel biennio 1988-1989, come si è già accennato, dal collega Loris D’Ambrosio, grande esperto di eversione di destra, il quale sta allora operando però all’interno dell’alto commissariato antimafia, che non ha certo la stessa incisività investigativa di un ufficio giudiziario inquirente. Ciò malgrado, il risultato del lavoro –la Relazione dell’8 settembre 1989 –è davvero un testo estremamente interessante.
Nella Relazione si osserva anzitutto come dalle indagini svolte sull’omicidio di Piersanti Mattarella non sia emersa nessuna pista investigativa volta a individuare gli autori materiali del fatto in soggetti gravitanti nelle organizzazioni mafiose.
I collaboratori di giustizia di estrazione mafiosa hanno infatti dichiarato di non sapere chi fossero i due killer, né a quale famiglia appartenessero. Inoltre, la signora Chiazzese non ha ravvisato nessuna somiglianza tra lo sparatore e le immagini di soggetti mafiosi che le sono state sottoposte. Va detto, però, che l’inesistenza di piste mafiose riconducibili agli autori materiali del crimine non implica affatto l’esclusione della matrice mafiosa dell’omicidio Mattarella. Del resto, come si è visto nel paragrafo precedente, le presumibili motivazioni del delitto si ricollegano proprio alle logiche di Cosa Nostra e non hanno nulla di sia pur larvatamente eversivo. Certamente non con riferimento all’eversione di sinistra, ma neanche con riferimento all’eversione di destra.
In particolare, per quanto riguarda il terrorismo di destra, se ci soffermiamo sulle «espressioni rivoluzionarie» che esso poteva presentare a quel tempo, dobbiamo riconoscere che il fatto criminoso di cui ci stiamo occupando non è riconducibile al cosiddetto terrorismo spontaneista (emulativo di quello di sinistra) schierato contro il sistema capitalistico e borghese, ovvero «contro una società massificante che soffoca le avanguardie “elitarie” chiamate a condurre il popolo alla rivoluzione e alla restaurazione eroica della spiritualità olimpico-solare».
Né l’omicidio Mattarella è riconducibile «alle azioni esemplari in se stesse, dirette e punitive, capaci di disarticolare il sistema, e che qualunque camerata di fede è in grado di compiere».
Ecco allora che nella Relazione l’omicidio Mattarella viene rappresentato come un omicidio del tutto anomalo:«Maturato in quel composito ambiente umano e politico che, al fine di accrescere il proprio potere economico, affaristico e istituzionale […], si presta a gestire gli interessi pubblici secondo schemi e principi tipicamente delinquenziali […]. Non si tratta, allora, di un omicidio di mafia, ma di un omicidio di politica mafiosa: nel quale, cioè, la riferibilità alla mafia come “organizzazione” deve necessariamente stemperarsi attraverso una serie di passaggi mediati, di confluenze “operative” e “ideative” apparentemente disomogenee ma in grado di dare, nel loro complesso, il senso compiuto dell’antistato».
È questo – osserva ancora la Relazione – uno dei motivi, se non il motivo principale, per il quale l’esecuzione dell’omicidio non viene affidata ai killerdelle organizzazioni mafiose: tanto più che, in tal modo, si ottiene anche l’effetto di «disorientare l’opinione pubblica e l’apparato investigativo» e si dà agli stessi affiliati mafiosi «l’impressione di quanto devastante ed estesa sia la capacità di espansione e controllo che l’antistato è in grado di esercitare».

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