Anna e quei contrabbandieri di sigarette

Anna Pace è stata uccisa il 12 ottobre 1999 nella sua Fiat Ritmo, travolta da un camion di contrabbandieri di sigarette. Abbiamo deciso di ricordarla con un racconto immaginario in cui trovano posto tre punti di vista: quello di Anna, quello del marito e, infine, quello del primo poliziotto che giunge sulla scena dell’incidente.

Ho sempre una strana sensazione nella pancia quando sta per accadermi qualcosa di inaspettato: una specie di sesto senso – nulla di importante – ma, di solito, la mia pancia ci azzecca sempre. Mio marito non ci ha mai creduto. Solo impressioni, ha sempre detto. È il 12 ottobre 1999. È sera, io e mio marito siamo in macchina, diretti da Fasano a Locorotondo. È dall’inizio del viaggio che ho addosso una strana sensazione di disagio e angoscia, una sensazione quasi palpabile. Non è niente, continua a ripetermi mio marito. Non so – è molto strano – gli rispondo io. Mi viene da vomitare: sarà il mal d’auto. Accendo la radio, cerco una stazione che trasmetta una canzone che mi piaccia per rilassarmi e, come faccio da sempre, guardo la strada che abbiamo di fronte per cercare di far passare la sensazione di naupatia che sin da piccola mi accompagna in ogni viaggio. Da lontano vedo un camion che corre a zig zag per le corsie, quasi completamente vuote vista l’ora. Ho sempre detto che al Sud la gente guida male. I soliti ubriachi pericolosi, penso io. Lo faccio notare a mio marito e gli intimo di accostare. Così fa. Aggrotto le sopracciglia quando vedo che il camion vuole accelerare e venire verso la nostra macchina. Un pugno di secondi. Mi viene da vomitare. Questa volta non è il mal d’auto. L’adrenalina mi scorre in corpo come una furia ed è talmente forte che non mi permette di muovermi. Sento un dolore lancinante al fegato, poi alla milza e poi ancora non sento più niente. Non sento dolore da nessuna parte, o forse ne sento talmente tanto che non so più su che parte del corpo concentrarmi. Guardo le mie mani piene di sangue. Buio. Mi risveglio. Provo ad urlare ma non ci riesco. Le orecchie mi fischiano. I miei occhi non vedono più nulla eccetto buio e a tratti l’immagine di quel camion che ci viene addosso.
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Aveva sempre una strana sensazione nella pancia quando stava per accaderle qualcosa di inaspettato. Una specie di sesto senso – nulla di importante – ma, di solito, la sua pancia ci azzeccava sempre. Io non ci ho mai creduto, nulla di importante, ho sempre detto. Aveva ragione. Ora è lì per terra sotto quello che resta della nostra macchina, che è diventata la sua tomba. Ho male ovunque, ma nessun male è paragonabile al pensiero di lei.
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Quella notte fu la prima volta che vidi un cadavere, ero ancora alle prime armi come poliziotto. Il telo bianco copriva una donna sulla sessantina. Un uomo, probabilmente il marito, la guardava con un’espressione mista tra dolore straziante ed incredulità, in silenzio. Ma se si ascoltava bene, nel suo silenzio si potevano sentire tutte le sue urla di dolore. Quando arrivai pensai subito che fosse stato solo un incidente come tanti, solo dopo notai il camion, distrutto solo sul davanti, col portellone aperto e centinaia di pacchetti di “Malboro” e “Merit” sull’asfalto. Collegai: contrabbando. In quel periodo Fasano era nel bel mezzo di un ingente traffico di sigarette, vendute da “tabaccai” improvvisati su bancarelle altrettanto improvvisate agli angoli delle strade, ma comprate da molti per via dei loro prezzi ribassati. Rimasi come pietrificato quando venni a sapere che a guidare il veicolo erano in sette, tutti quanti uomini di legge, tra finanzieri e poliziotti. Ne arrestammo solo quattro, Vincenzo Alesi, Andrea Armenise, Cosimo Fiore e Nicola Monfreda.

Sara Luccarelli e Rosangela Semeraro (Studenti del Liceo Tito Livio di Martina Franca – Progetto Cosa Vostra)

 

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