Giuseppina e Isabella, le donne di Cirò

Quanto vale la vita di una donna per un uomo di ‘ndrangheta? Molto poco e, in ogni caso, sempre meno del suo onore e di quello della sua cosca.  Sono tante, troppe, le donne fatte sparire o uccise dalla ‘ndrangheta, in Calabria e non solo.
In provincia di Catanzaro, tra Cirò e Cirò Marina, sono due le storie di donne che si intrecciano a distanza di anni e tanti i nomi che ricorrono in ogni indagine, a dimostrazione che le dinamiche e gli equilibri criminali riescono a permanere immutati.
La storia di Giuseppina Stricagnolo è la storia di logiche arcaiche eppure, oggi, pericolosamente attuali.
Giuseppina era la moglie di Basilio Cariati, un “uomo d’onore” della cosca di Cirò che, a fine anni ’80, era detenuto in Germania per via di un omicidio.
La donna, il 3 maggio del 1988, esce per delle commissioni e sparisce improvvisamente. Ad accorgersi della sua scomparsa è la figlia Teresa quando, tornata da scuola, non la trova a casa. Teresa avvisa il resto della famiglia ed è Salvatore Minnella, il cugino, che riferisce quanto accaduto la mattina stessa a Giuseppina. Racconta di averla vista salire sulla macchia di Francesco Malena, a bordo si trovava anche Cataldo Marincola. I due, appartenenti alla stessa cosca del marito di lei, non devono aver faticato troppo per convincerla a salire.
Malgrado questo indizio, però, di Giuseppina non c’è traccia e i famigliari decidono di denunciarne la scomparsa ai carabinieri. Qualche ora dopo, una telefonata anonima indica alle forze dell’ordine dove poter rinvenire il corpo senza vita della donna che viene ritrovata in una buca, con ferite di arma da fuoco. Alcune persone vengono fermate, ma rilasciate poco dopo per insufficienza di prove. Cala così il silenzio sulla morte di Giuseppina, di cui non si parla fino al 1998, ben dieci anni dopo. Saranno infatti Salvatore Aloisio e Vincenzo Cavallaro, due collaboratori di giustizia, a ricostruire l’omicidio della donna e spiegarne le motivazioni.
Durante la detenzione del marito Basilio in Germania, Giuseppina rimasta a Cirò aveva iniziato una relazione con un giovane appartenente ad una cosca rivale. Tutto il paese ne era a conoscenza e, di fronte ad una situazione del genere, gli uomini della cosca non potevano che rispondere con l’omicidio. Sì, perché quando una cosa simile avviene all’interno di una ‘ndrina cessa di essere una questione strettamente privata e diventa una questione d’onore, una questione pubblica. Fu proprio Cataldo Marincola a parlare di questo con Salvatore Aloisio, per decidere sul da farsi e per accordarsi su come raggiungere il marito della donna, in carcere in Germania, per chiedergli il permesso di agire. I due, che al momento dei fatti si trovavano agli arresti domiciliari, riuscirono ad incontrarsi senza troppi problemi: abitavano sullo stesso pianerottolo.
Marincola, tramite un falso certificato medico, era riuscito a farsi sottrarre agli arresti domiciliari ed era partito per la Germania. Dopo aver ottenuto il via libera di Basilio Cariati, era tornato a Cirò per procedere con l’omicidio.
Marincola e Francesco Malena appostati vicino a casa di Giuseppina, l’hanno aspettata, si sono avvicinati e l’hanno convinta a salire in auto. Dopo aver percorso qualche chilometro, Marincola ha sparato nel petto di Giuseppina, uccidendola.
Il corpo della donna è stato portato nelle campagne di Umbriatico, vicino a Cirò, dove ad aspettarli c’erano altri due uomini, compreso il fratello del marito della vittima, Giuseppe Cariati. La buca era già stata scavata: il corpo di Giuseppina venne sotterrato e l’auto data alle fiamme.
Vicenzo Cavallaro invece, detenuto in Germania per la stessa ragione di Basilio Cariati, ha raccontato quanto accaduto dal punto di vista del marito di Giuseppina. Già nell’87, gli uomini di Cirò avevano fatto visita a Basilio per chiedergli se, vista la situazione, preferisse ammazzare sua moglie o continuare ad avere le corna. La richiesta dell’omicidio era stata fatta dal fratello di Cariati, Giuseppe e dopo la morte di Giuseppina, racconta Cavallaro, Basilio Cariati non era sembrato particolarmente sconvolto.
Per l’omicidio della donna vennero processati in otto, quattro mandanti tra cui Aloisio e quattro esecutori. Tuttavia, la sentenza della Corte di Assise di Catanzaro non ha trovato d’accordo i giudici d’appello, che hanno assolto tutti gli imputati, convinti che Aloisio avesse mentito. Ha avuto inizio un nuovo processo alla corte di Assise di Reggio Calabria, ma ancora non si è concluso e sono passati più di 30 anni.
Un’altra storia che si intreccia a quella di Giuseppina, è quella di Isabella Costantino, scomparsa nel 2000 da Cirò Marina. Di lei però, ad oggi, non ci sono ancora notizie. La donna di 25 anni, originaria di Cirò, viveva a Prato sin dalla tenera età assieme ai suoi genitori. Era tornata in Calabria per l’estate e per incontrare il marito Raffaele Blefari, 28 anni, anche lui originario di Cirò e residente a Prato e, al momento dell’accaduto, recluso nel carcere di Catanzaro. L’uomo era stato arrestato nell’ambito dell’operazione “Krimisa” che coinvolgeva una quarantina di persone per associazione di stampo mafioso, estorsioni e traffico di sostanze stupefacenti dalla Calabria fino alla Toscana e al Lazio.
La ragazza è stata vista l’ultima volta nella notte tra il 21 e il 22 agosto, mentre tornava a casa della nonna materna dopo essersi intrattenuta con delle vicine a chiacchierare. Anche in questo caso, come per Giuseppina, ad accorgersi della scomparsa di Isabella è stata la figlioletta di 5 anni che non l’ha trovata accanto a sé nel letto svegliandosi di notte. Isabella a casa aveva lasciato tutto, sia i documenti che gli effetti personali. Il giorno seguente sono cominciate le ricerche e gli investigatori hanno raccolto numerose testimonianze, senza però riuscire a trovare una pista da seguire. L’unica pista davvero improbabile sembrava essere l’allontanamento volontario, visto il profondo attaccamento di Isabella alla figlia.
Qualche giorno dopo la scomparsa della donna, il 1 settembre, nel territorio di Cirò Marina è stata ritrovata un’auto bruciata. La Fiat “Uno” risultava rubata nella notte tra il 20 e il 21 agosto.
Un nome legato alla scomparsa della giovane donna è quello di Cataldo Aloisio, il cui corpo è stato rinvenuto di fronte ad un cimitero del milanese, nel 2008. Anche lui originario di Cirò Marina e coinvolto nel traffico di stupefacenti, era stato il “compare” di nozze di Isabella e del marito. La sera precedente alla scomparsa di Isabella, risulta che Aloisio le abbia telefonato per dirle che dovevano discutere di una questione importante. Circostanza questa che, comunque, Aloisio aveva negato una volta incontrato il marito di Isabella appena uscito dal carcere. Malgrado questo ad oggi, di Isabella, non si hanno ancora notizie.
Le storie di Giuseppina e di Isabella, entrambe originarie di Cirò, portano l’attenzione prima di tutto su il “locale di Cirò”, un’organizzazione criminale formata dalle ‘ndrine dei Farao-Marincola, che estende il suo dominio da Crotone fino al versante ionico cosentino. Questo locale ha ramificazioni in tutta Italia, ma le sue radici sono ben piantate nel territorio calabrese. Molte sono state le operazioni contro e, malgrado la cosca agisca da decenni, è stata riconosciuta come associazione mafiosa a delinquere solo nel 2003.
Quando si parla di mafie, si corre il rischio di dimenticarsi delle vite di chi, di quel mondo, talvolta fa parte a suo malgrado. Ci sono storie di donne che vanno raccontate perché è sulle loro pelle che spesso si costruisce il potere mafioso. Giuseppina è stata ammazzata, Isabella è scomparsa e, in entrambi i casi, ad accorgersi subito della loro assenza sono state le figlie. Donne che assieme ad altre, una volta cresciute, potrebbero finire a relazionarsi con le stesse logiche e gli stessi sistemi di potere in cui loro, in quanto persone e soprattutto in quanto “femmine”, non contano nulla. Ma se fossero loro per prime, con il dovuto supporto esterno, a fuggire a queste logiche?  La base su cui il potere mafioso si regge, probabilmente, comincerebbe a sgretolarsi.

 

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