Il deputato dell’Ars, Pippo Gennuso: «contro di me una macchinazione infernale»

Questa è una storia di ordinaria ingiustizia all’italiana. Dove le leggi sono à la carte. Dove si possono cambiare i verbali delle elezioni senza che nessun garantista d’annata si alzi in piedi a gridare allo scandalo; dove delle schede elettorali da verificare spariscono. E dove dei professionisti della legge, come i famosi Il Gatto e La Volpe di Pinocchio garantiscono ora all’uno ora all’altro dei protagonisti che se si metteranno nelle loro mani non se ne pentiranno. Benvenuti in Sicilia, provincia di Siracusa. Dove da più di sei anni il parlamentare regionale Pippo Gennuso si trova in un tunnel da cui non riesce ancora a vedere la luce del sole. Vince le elezioni regionali del 29 ottobre 2012, ma come nel gioco delle tre carte finisce per perderle. Al suo posto è eletto Pippo Gianni. Gennuso presenta ricorso. Nel 2014 alle elezioni suppletive vince. Ma contro di lui si mette in moto, senza prove, una macchina giudiziaria infernale.

Una vicenda ingarbugliatissima Gennuso. Ce la riassume?

«Tutto ha inizio in occasione delle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea regionale nel 2012 quando con la lista Popolari e Autonomisti ho superato per 190 voti la lista concorrente che faceva riferimento all’onorevole Pippo Gianni. Per tre giorni sono deputato, dopo tre giorni mi dicono che ci sono stati degli errori. Questi errori li vanno a cercare appositamente nella sezione di Melilli».

Strano. Sembrerebbe una operazione mirata.

«E fosse solo questo! Ma non è che si limitarono a cercare. Furono cambiati i verbali. Ora anche uno studente al primo anno di Giurisprudenza sa che i verbali non è che si possono cambiare così a piacimento. Solo il Tar e il Tribunale possono autorizzare un riconteggio dei voti. Invece da che avevo 190 voti in più mi ritrovo con 94 voti di meno».

E lei presentò ricorso giusto?

«Certamente. Subito decido di rivolgermi al Tar. E invece il Tar di Catania rende inammissibile il ricorso. Una assurdità! Perché lo stesso Tar sei mesi ha autorizzato il conteggio delle schede al Comune di Siracusa, dove la differenza di voti non era così irrisoria come nel mio caso ma era di oltre 1500 voti».

Come se lo spiega?

«C’è stata una regia occulta e grandi manovratori. Mi riferisco – ma me ne sono accorto solo nel prosieguo della vicenda – a Piero Amara e all’avvocato Giuseppe Calafiore, entrambi poi coinvolti nell’inchiesta Sistema Siracusa. Visto il niet del Tar mi rivolgo al Cga il Consiglio di giusitizia amministrativo siciliano. Ebbene appena faccio ricorso mi viene a trovare questo Calafiore, non l’ho cercato io badi, e mi dice: “vedi che Gianni ti ha fatto la pappetta, ti vogliono negare il riconteggio dei voti. Insomma, mi descrive un quadro anche lì pieno di ostacoli e si offre di seguire la pratica presso il Cga con una azione di lobbying. Invece il tribunale del Cga, contro ogni pessimistica previsione di Calafiore autorizza la verifica. Ma la soddisfazione è durata poco. Nell’ottobre 2013 – lei non ci crederà –fanno sparire le schede. Mi chiama il prefetto di Siracusa e mi dice che la verifica non si può fare. Si rende conto a quale livello si è arrivati per negare la volontà popolare? Io mi sono costituito parte civile in tribunale contro chi ha fatto sparire le schede elettorali».

Però alle elezioni suppletive del 2014 lei vince?

«Sì, nel 2014 dopo una mini tornata elettorale in nove sezioni tra Rosolini e Pachino Gennuso non ho vinto, ho stravinto sull’ex deputato nazionale Pippo Gianni, attuale sindaco di Priolo. Dovevo e potevo giustamente gioiere, invece da quella vicenda è nata una inchiesta che mi portato a subire addirittura gli arresti domiciliari per traffico di influenze. Una accusa senza motivazioni e senza prove. Una follia giudiziaria».

L’accusano, sulle base delle dichiarazioni di Amara Calafiore, che lo ricordiamo erano stati arrestati nel febbraio del 2018, di aver corrotto, grazie alla mediazione di Calafiore, i giudici amministrativi che annullarono le elezioni del 2012. Parlando di dazioni di denaro, di tangenti da 40 mila euro per convincere il Consiglio di giustizia amministrativa (Cga) di Palermo ad accogliere il suo ricorso. Che risponde?

«Che io non ho mai corrotto nessuno nella mia vita. E per i suoi servigi professionali Calafiore l’ho pagato alla luce del sole, con fattura e assegno. Certo è una consulenza la sua cui alla luce dei fatti avrei fatto volentieri a meno. Ma una cosa è certa, io non mai cercato l’ex presidente del Cga Raffaele De Lipsis, non ho mai mandato emissari a trattare chissà cosa. E’ tanto vero quello che dico che quando c’è stato il processo in cui mi si accusava di corruzione in atti giudiziari ho chiesto di poter intervenire chiedendo a De Lipsis se avesse mai sentito il mio nome. La sua risposta fu no. Su cosa si basava insomma quel processo? Su quali prove. Non c’è una intercettazione, non una telefonata da cui emerga alcunché nei miei confronti. E’ una micidiale orchestrazione ai miei danni quello che è andata in scena. E infatti il giudice mi ha condannato per traffico di influenze anziché corruzione, ha ammesso che non c’è stata dazione di denaro, ha detto che non ci sono pene accessorie. Ma allora, dico io, perché condannarmi. Dovevo e devo essere assolto».

Eppure lei patteggiò. Perché lo fece?

«Ho chiesto il patteggiamento perché tutte le altre persone coinvolte nel processo avevano chiesto il patteggiamento e i miei avvocati, tra cui Carlo Taormina, mi hanno detto che non potevo sostenere un processo da solo».

E adesso un’altra battaglia per annullare il suo patteggiamento, giusto?

«Si poche settimane fa ho presentato un’ istanza ad un’altra sezione della Corte di Cassazione contro il pronunciamento dei giudici della Corte Suprema che, un paio di mesi fa, avevano rigettato il mio ricorso teso ad annullare il patteggiamento. Voglio essere prosciolto. Il reato di cui mi accusano non è mai stato commesso. E se la giustizia ha ancora un senso in questo Paese qualcuno dovrà pure riconoscerlo».

Pietro Rocaldo