La guerra democristiana e la mafia. Quei vecchi politici DC salvati da indagini della procura

LA GUERRA BIANCA TRA MARTIRI , FALSI EROI E VERI COLPEVOLI

Se non conosci la storia e le sue verità non potrai mai capire il presente. L’uomo libero cerca la verità e non piace a chi la vuole nascondere a qualsiasi costo

In questo  articolo,il  nostro blog che, ripetiamo, è solo dalla parte della verità  e del diritto  alla verità , alla dignità umana sancito dalla Costituzione italiana, (firmata dai grandi padri della Repubblica che riuscirono a dare la libertà   al nostro popolo), cerchiamo di evidenziare uno studio fatto da giornalisti esteri sull’antimafia di sistema siciliana e sulla guerra alla Dc siciliana. Quell’antimafia  generata anche dalle macerie della vecchia Dc e che non è stata sempre  lineare, e che spesso, si è allontanata dagli insegnamenti di Mattarella , Moro e dei giudici Falcone e Borsellino. Quell’antimafia che è stata utilizzata diverse volte dalla politica , da lobby  e anche da inquirenti carrieristi  per devastare zone anche di interesse politico avverso, cercando sempre di non pestare i pedi ad alcuni politici che di potere in Sicilia ne hanno avuto e tanto.

Una stagione quella  delle stragi piena di fatti gravissimi e che portò certa politica a considerare lo space dell’antimafia come uno luogo dove si poteva “aggredire” la mafia ma anche chi stava sul banco del nemico di turno.  Tanti i misteri irrisolti e tante le accuse senza prove .Il colore politico “rosso” il salvacondotto . La mafia per arrivare al potere, ormai è notorio non guarda colori politici. Anche nella stessa DC, non tutti hanno avuto lo stesso trattamento, nonostante molti leader hanno condiviso anni di potere in Sicilia. Alcuni, di questi leader, devastati per anni da inchieste e processi altri, sempre lasciati tranquilli.

Eppure, erano tutti insieme  e uniti a gestire il potere siciliano. Litigavano nei congressi ma un accordo per governare lo trovavano sempre. La Dc in Sicilia, negli anni post guerra aveva mani ovunque. E per arrivare al potere, tutti  dovevano far parte del sistema delle correnti. Nessuno escluso

La guerra democristiana e la mafia. Le carriere  salvate o distrutte dalle Procure. Gli omicidi eccellenti dei vecchi politici DC ancora  senza colpevoli assicurati alla giustizia

 LA DC E L’APERTURA A SINISTRA : QUELLA SCELTA CHE NON PIACQUE AGLI AMERICANI

Il 4 dicembre del 1963 Aldo Moro compone il primo governo di centro-sinistra con la partecipazione attiva dei socialisti: nasce così il Centro-sinistra organico formato appunto dalla Democrazia Cristiana alleata con il PSDI, con il PRI ed anche con il PSI. Quel governo fu sostenuto anche da Andreotti e dalla sua corrente

 

La guerra interna alla DC siciliana

Questa guerra che sa di  passato mafio-politico era iniziata nei primi anni Ottanta all’interno della stessa Democrazia cristiana, dopo l’assassinio a Palermo del presidente della Regione Piersanti Matterella e del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa. Mattarella era moroteo e voleva cambiare la Dc siciliana, pur sapendo che egli stesso aveva contribuito a renderla forte con il lavoro iniziato dal padre Bernardo, Andreotti e Moro erano leader dell’area politica definita ” sinistra democritiana” . Quella parte della Dc che preferiva guardare ai socialisti e che strizzò l’occhio  successivamente anche al PCI

Episodi che chiudevano il rapporto tra il partito e la mafia con l’emarginazione del suo uomo politico più chiacchierato: l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, vero e proprio padrino mafioso. Originario di Corleone, amico dei compaesani e sanguinari boss Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, politico di lungo corso, prima uomo del gruppo dirigente legato al segretario Amintore Fanfani e poi passato al gruppo di Giulio Andreotti. Il discorso sull’antimafia portava a far esplodere un profondo conflitto tra le correnti del partito, specie tra la destra legata ad Giulio Andreotti e la sinistra. Significativa era stata a tal proposito, la decisione di un altro discusso leader democristiano, Salvo Lima, anche lui ex sindaco, fanfaniano e poi andreottiano, di candidarsi nel 1979 al parlamento europeo, con il singolare slogan «Un amico a Strasburgo» che gli consegnò più di 300mila preferenze, per portarsi dietro le quinte del palcoscenico politico. La decisione sanciva anche il distacco tra lui e Ciancimino e il definitivo isolamento dell’ex amico. La decisione di Lima avveniva anche a seguito dell’assassinio mafioso, nel marzo del 1979, del suo braccio destro Michele Reina, segretario provinciale del partito e uomo che aveva auspicato un’apertura, a livello regionale e amministrativo, verso il Pci.

  • Nell’agosto del 1980 a Castelvetrano, viene ucciso il sindaco Vito Lipari, leader democristiano in ascesa e amico della famiglia Salvo di Salemi. Ancora oggi,  molti punti rimangono oscuri sul perchè Lipari fu ucciso. Non è  mai stato chiaro il movente.
  • Dall’uccisione di Piersanti Mattarella diversi democristiani rimasero  vittime di attentati mafiosi .Perchè ? Perchè vengono uccisi diversi politici della Dc proprio in quegli anni? 

Nel 1982 ad Agrigento si teneva uno dei rarissimi congressi regionali della Dc, la spinta a questo appuntamento era voluta dal nuovo segretario nazionale del partito Ciriaco De Mita e aveva come obiettivo di cambiare il partito ed isolare i suoi elementi più compromessi con il passato. Il nuovo gruppo dirigente del partito, con Sergio Mattarella , (figlio dell’ex ministro democristiano Bernardo) Calogero Mannino e Rosario Nicoletti, non solò riusciva a ridimensionare il ruolo di Lima, ma escludeva Ciancimino dagli organi dirigenti della Dc; tre anni dopo, nel 1985, Ciancimino veniva arrestato con l’accusa di associazione mafiosa.

Nessuno, neanche Lima, al congresso della Dc, volle i voti di Vito Ciancimino, eppure egli offriva ben 45mila voti, un 3,7 per cento che avrebbe potuto rivelarsi l’ago della bilancia in un’assise nella quale il partito siciliano, sei mesi dopo l’omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, cercava di cambiar volto. Alla fine nella Dc dell’isola vinse il rinnovamento. Giuseppe Campione, area Zaccagnini, veniva eletto alla segreteria regionale, un volto nuovo che apriva la strada a inedite esperienze politiche locali, tra le quali la più importante era quella di Palermo. Così dalla metà degli anni Ottanta cresceva l’esperienza politica della «primavera di Palermo». Il partito affidava al giovane consigliere comunale Orlando l’esigenza di rinnovamento nominandolo sindaco nel 1985 e giovandosi anche dell’appoggio esterno del Pci, partito che solo all’inizio del 1989 entrava a far parte della maggioranza.

Orlando aveva un retroterra culturale e sociale di tutto rispetto: figlio di un famoso avvocato che era anche un grande latifondista e notabile democristiano, docente universitario, come lo era suo padre, da giovanissimo aveva già ricoperto rilevanti incarichi di partito presso la segreteria di Piersanti Mattarella e poi a fianco del fratello Sergio. Questo astro nascente della sinistra Dc veniva scelto come sindaco per tentare di continuare l’opera di rinnovamento del partito e dell’amministrazione comunale già avviata dai suoi predecessori, provenienti dalle correnti avverse fanfaniane e andreottiane, come Elda Pucci e Giuseppe Insalaco.

Il 16 ottobre del 1984 all’ex sindaco Insalaco rubavano e bruciavano l’automobile sotto casa in pieno mezzogiorno, gli fu chiesto chi potesse minacciarlo ed «avvertirlo» con quel classico sistema mafioso:

Non lo so con esattezza – rispose. Capisco, comunque, d’aver dato fastidio bloccando alcuni pagamenti per gli appalti pubblici di manutenzione di luce, strade e fogne; di aver dato fastidio volendo introdurre per questi appalti il principio della licitazione privata; di aver dato fastidio per aver cercato di rompere incrostazioni negli uffici comunali, di mettere ordine nell’organizzazione dei mercati.

  • 15 Si veda la ricostruzione di B. Stancanelli, La città marcia: racconto siciliano di potere e di maf ia

Era stato proprio l’ex sindaco a spedire alla procura della Repubblica dei voluminosi dossier sugli appalti a Palermo, specialmente su due affari che avevano condizionato pesantemente la vita amministrativa della città dagli inizi degli anni Ottanta, da quando cioè sono scaduti i contratti che legavano il Comune all’ Icem (la società che ha gestito per 14 anni la manutenzione dell’illuminazione pubblica) e alla Lesca (strade e fognature). Insalaco non si limitò a chiamare in causa la procura della Repubblica ma denunciò tutto all’alto commissario antimafia De Francesco, al ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro e alla Commissione antimafia, parlando del ruolo «inquinante» avuto da Vito Ciancimino, delle pressioni per rinnovare l’affidamento dei due servizi e della ricorrente pratica delle tangenti.

Lo studio americano

Per sei mesi nel 1996 e sette estati, tra il 1987 e il 1999, gli antropologi newyorkesi Jane e Peter Schneider, si stabilirono a Palermo per condurre un’indagine sul campo sul fenomeno dell’antimafia. Non era la prima volta che i due studiosi portavano avanti simili ricerche in Sicilia.  Vent’anni prima, nel 1976, era stato pubblicato negli Stati Uniti una loro ricerca dal titolo Culture and Political Economy in Western Sicily1. Già allora la mafia non era, secondo gli Schneider, una legge universale della storia siciliana, sempre uguale a sé stessa, sempre identica e immutabile, dove, secondo la famosa sentenza dei Gattopardo, tutto cambia per non cambiare niente; al contrario mafia voleva dire cose diverse; significava cambiamento, trasformazione, mercati, evoluzione e, possibilmente, estinzione.

In un articolo apparso sul Corriere della Sera del 26 gennaio 1987, con il titolo Contro la mafia, in nome della legge era Leonardo Sciascia a ricordare che «il Comune di Palermo si è costituito per la prima volta parte civile, in un processo di mafia, nell’ottobre del 1983, sindaco Elda Pucci». Primario di pediatria presso l’università di Palermo, prima donna a presiedere l’ordine dei medici siciliani, democristiana dell’area di Fanfani, veniva eletta sindaco nei drammatici primi anni Ottanta. Nell’aprile del 1985 la sua casa di campagna veniva fatta esplodere dalla mafia con una potentissima carica di tritolo.

  •  G. Cesara, È stato un avvertimento alla Sicilia onesta, «La Repubblica», 23/04/1985.

Io comunque non mi lascio intimidire – dichiarava la Pucci ai giornali – il comitato di affari ha colpito ancora, informandomi che rappresento un serio ostacolo ai loro giochi poco puliti. Non mi vogliono più a Palazzo delle Aquile (sede del comune di Palermo, ndr), ma non sanno che questi fatti terrificanti non servono né ad isolare né a disgregare. Anzi, hanno l’effetto contrario e dimostrano che in Sicilia c’è chi nonostante tutto sta combattendo una nuova battaglia di resistenza per liberare l’isola da presenze condizionanti ed eversive.

 

  • 18 A. Bolzoni, Scoppia a Palermo il caso Elda Pucci, «La Repubblica», 15/07/1985.

E Sergio Mattarella commentava: «È più che un avvertimento. È un gravissimo gesto di intimidazione politica»

 Molti mettevano in relazione l’attentato alla dura lotta portata avanti dalla Pucci contro Ciancimino e la scelta di denunciare, anche lei come Insalaco, alla magistratura il sistema di appalti comunali gestiti dalla ditta Cassino e da altre, tutte ruotanti intorno all’ex sindaco Ciancimino. Alla elezioni comunali del 1985, la Puccio pur ricevendo decine di migliaia di voti, non veniva scelta come sindaco dal suo partito. A Roma e a Palermo, il suo partito e i suoi alleati, specie il partito socialista, preferivano la candidatura di altri due giovani esponenti dell’area della sinistra della Dc: Vito Riggio e Leoluca Orlando.

  •  A. Mastropaolo, Machine politics e dinamiche plebiscitarie a Palermo: epilogo di una rivolta falli
  • 20 La biografia di Orlando è di M. CiminoM. Perriera, Orlando: intervista al sindaco di Palermo
  • La scelta, per il ritiro di Riggio, cadde su Orlando il quale per i primi anni guidava un’amministrazione che rispecchiava le alleanze nazionali, chiamate «pentapartito», cioè: Democrazia cristiana, partito socialista, partito socialdemocratico, partito liberale e partito repubblicano. L’anno di svolta dell’esperienza Orlando era il 1987, quando il partito socialista decideva di sfidare questa alleanza, tanto a livello centrale che locale. Le vicende della successiva sindacatura Orlando si inserivano, quindi, in un quadro politico più complesso. Partita come frutto periferico della ricerca di un nuovo compromesso storico voluto da De Mita, in chiave critica nei confronti dell’alleato partito socialista, la giunta di Palermo si trasformava infatti in un caso nazionale di formula politica alternativa, la «giunta anomala». Dal 1988 Orlando andava oltre tutti i suoi predecessori, grazie a continue denunce e prese di posizione contro la mafia, acquistava una grande popolarità in tutta Italia.Inizia l’era dell’antimafia politica