Morti di mafia nel Canale d’Otranto

Il 24 luglio del 2000, Daniele Zoccola e Salvatore De Rosa, appartenenti al corpo della Guardia di Finanza, stavano svolgendo il loro lavoro al servizio della legalità, quando hanno trovato la morte in un incidente causato da due trafficanti di esseri umani, Altin Giollesha e Alfred Bedini (poi condannati a 26 anni di reclusione) nel Canale d’Otranto.
Nel 2001, il Colonnello della Finanza, oggi a riposo, Giuseppe Fortuna, sul proprio sito omonimo, ha evidenziato alcuni aspetti della vicenda mai chiarite: ad esempio, il giorno dell’incidente i militari Zoccola e De Rosa avrebbero dovuto essere a riposo e il gommone della squadra di Otranto, quello incidentato, non era ancora stato sottoposto a collaudo. Assieme a Daniele Zoccola e a Salvatore De Rosa, il cui corpo non è mai stato ritrovato, morirono tre migranti, probabilmente di nazionalità curda.
Il racconto, ispirato a quel drammatico giorno, narra la tragedia dal punto di vista di Salvatore, morto a soli 26 anni insieme al suo migliore amico Daniele che ne aveva invece 22.Sono le sette di sera. Sono in servizio come motorista sul gommone assieme ai miei tre colleghi. Non dovrei essere qui, dal momento che ho già lavorato ieri notte. Ci hanno però comunicato che nella Guardia di Finanza di Otranto non c’è personale a sufficienza, dunque siamo intervenuti per effettuare un’operazione in mare con urgenza. Sono sul gommone della Guardia di Finanza di Gallipoli, su quello di Otranto c’è Daniele. Oltre a rivestire il ruolo di finanziere, è il mio più caro amico.
A notte fonda, l’ordine: devo lasciare il mio gommone e salire su quello di Daniele. Ci dirigiamo a Otranto. Il motore sputacchia: c’è qualcosa di strano, ho un brutto presentimento. Quando arriviamo nel braccio di mare di fronte a Castro Marina, avvistiamo un natante da cui stanno sbarcando alcuni migranti di nascosto.
Ad un tratto, la tragedia: inizia l’inseguimento agli scafisti. Per non essere catturati, bloccano i comandi del mezzo. Lo lanciano contro di noi e si tuffano in mare. Io, di vedetta a prua, sento un uno stridore metallico. Le mie gambe vacillano. In un vortice di spuma di mare e detriti, posso sentire le voci dei miei colleghi, capisco che sono salvi: ma io e Daniele non condividiamo il loro destino.
Anneghiamo entrambi in quelle acque tanto limpide, di giorno quanto insidiose e scure, di notte. L’ultima immagine che vedo è quella della sua sagoma in alto, in superficie, un’oscura ombra nera che scende lentamente sul fondo. Veder morire il proprio migliore amico provoca una sofferenza equiparabile ad una doppia morte. Daniele ormai è parte di me. Mentre il suo corpo sprofonda nell’abisso, io ho già toccato il fondo. Riaffiorano nella mia mente tutti i momenti più importanti della mia vita: le immagini della mia città, la mia Napoli, della mia maturità, di quando è arrivato il momento di decidere se arruolarmi nell’Arma dei Carabinieri o nella Guardia di Finanza. In quel momento, la mia famiglia mi ha mostrato tutto il suo appoggio, incoraggiandomi a seguire le mie passioni per il nuoto e per il mare. Per questo ho scelto la Guardia di Finanza e mi sono arruolato nel contingente di mare. Ripenso al viso di Annabella, mia moglie da soli venti giorni, dopo dieci anni di fidanzamento. La sua sofferenza e quella dei miei cari sarà dura da sopportare. Io e lei avevamo così tanti progetti in mente: andare a vivere all’estero, crescere un bambino e viaggiare per esplorare luoghi diversi. Tutto questo ormai sembra un sogno lontano, di cui sento solo un’eco soffusa: ormai mi trovo qui, distante da tutti e da tutto, lontano dalla mia famiglia, dalla mia casa e dalla mia sposa, sovrastato da metri di acqua, salata come questa cruda realtà.
Esalo l’ultimo respiro, i miei polmoni si riempiono d’acqua, le mie palpebre si serrano e io muoio.
Il mio corpo non è mai stato ritrovato. Sono stato trascinato via dalla corrente. Non è ironico che siano state proprio queste amate acque a travolgermi e sottrarmi alla vita, alle braccia delle persone che amo?
Tuttavia, in questo mare dove il tempo sembra immobile, in questo mare con cui ho sempre avuto un rapporto intimo, uno dei luoghi in cui mi sono sentito vivo e che ora custodisce il mio corpo, io mi sento in pace. Sono morto servendo la legalità, svolgendo il lavoro che amavo. La mia tomba è il mare blu a cui sono sempre stato legato.

A cura di Simona Convertini e Cecilia Santoro (Studentesse del Liceo Tito Livio di Martina Franca – Progetto Cosa Vostra)

 

https://mafie.blogautore.repubblica.it/