Un colpo di lupara contro il maresciallo

Gerardo D’Arminio, maresciallo dei Carabinieri del Nucleo Investigativo, viene assassinato ad Afragola, Napoli, il 5 gennaio 1976. Indagava sul narcotraffico e sui legami tra le organizzazioni mafiose.
Era nato nella profonda campagna a Montecorvino Rovella, in provincia di Salerno. Quel luogo gli aveva dato le origini ed era a quel luogo che egli apparteneva.
All’età di vent’anni lasciò il luogo natio per andare ad arruolarsi. Stava cercando giustizia, giustizia per i luoghi dove le faide e le scorribande della mafia non ne lasciavano scorgere nemmeno un pallido raggio, dove l’ omertà obnubilava la speranza, dove la paura si sostituiva strisciando alla quotidianità.
Ma, grazie anche alla sua professione, non sarebbe stato così per sempre.
Gerardo non fu solo un militare: fu anche marito e padre, infatti sposò Anna D’Arminio e da lei ebbe ben quattro figli negli anni successivi al matrimonio.
Il più piccolo tra questi si chiamava Carmine D’Arminio, nome tipicamente campano, deriva dall’arabo “karmel” e significa “giardino” o in generale “zona verde, incontaminata”, come quelle in cui il maresciallo era cresciuto. Nel 1976 Carmine aveva solo quattro anni.
Una sera di quell’anno, il giorno prima della Befana, padre e figlio erano fuori casa, nella piazza principale di Afragola, il paese in cui lui e la sua famiglia si erano trasferiti.
Gerardo voleva trasmettere al figlio quella che era la sua passione più grande dopo la giustizia: la bicicletta.
Così i due, mentre gli occhi di Carmine brillavano, stavano davanti alla vetrina di un giocattolaio, a decidere con cura ed eccitazione quale tra quelle lucide e fiammanti meraviglie sarebbe divenuta la prima bicicletta di Carmine.
La decisione era stata presa.
A passo sicuro e con lo stesso sorriso stampato sul volto, padre e figlio si stavano dirigendo verso l’ entrata del negozio quando una macchina inchiodò violentemente al centro della piazza. Un finestrino si aprì. Dal finestrino uscì una lupara, probabilmente vennero sparati sette colpi, due di questi raggiunsero il maresciallo. Uno lo colpì alla spalla, uno, mortale, lo colpì alla gola. Egli cadde davanti al figlio, bagnando con il sangue la vetrina, rotta dai colpi di lupara, dove prima avevano fantasticato.
Così, il 5 gennaio 1976 moriva il maresciallo dell’Arma dei Carabinieri Gerardo D’Arminio.

 

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