Gioacchino e i traffici di Pippo Calò

L’appuntato dei Carabinieri in pensione, Giocacchino Crisafulli, viene ucciso il 27 aprile 1983, a Palermo perché aveva intercettato un camion con un carico di eroina, passato nei pressi della propria abitazione. Per il suo delitto è stato condannato all’ergastolo Gioacchino Cillari in qualità di esecutore materiale e Pippo Calò e Matteo Motisi come mandanti.
“Mio padre aveva un carattere duro, un carattere piuttosto riservato. Aveva una formazione militare che manifestava anche in famiglia, poco dialogo e molti ordini. Era un vero carabiniere nato, un soldato tutto d’un pezzo.”
Così Carmelo Bartolo ricorda il padre Gioacchino. C’è un grande orgoglio nelle sue parole, un’ammirazione appassionata per quel genitore che nel 2017 ha ottenuto la Medaglia d’Oro al Merito Civile alla Memoria dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e a cui nel 2016 hanno dedicato una strada a Monreale e una targa a Palermo. “Papà fu uno dei primi infiltrati nella banda di Giuliano, nelle montagne fra Corleone e Monreale, riusciva a mimetizzarsi fra i contadini e la popolazione locale; era di una particolare bravura, notata anche dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa”, con il quale ha lavorato a lungo nella lotta alla criminalità organizzata.
La sua natura di uomo di legge, la sua indole militaresca non venne meno nemmeno quando, dopo 40 anni di onorato servizio e dopo aver pure combattuto nella Seconda Guerra Mondiale, finalmente raggiunse la meritata pensione. L’ex appuntato dei carabinieri continuò a occuparsi di contrasto alla mafia corleonese e ai suoi interessi economici nel territorio. Infatti Gioacchino non ebbe dubbi nell’intervenire quando, in un giorno che sembrava come un altro, notò un camioncino che stranamente usciva da un parco proprio vicino alla sua abitazione. Si avvicinò, lo fermò e questo suo intervento permise di intercettare un carico di casseforti contenente denaro provento del traffico di stupefacenti mafioso. Il suo volto venne subito riconosciuto e pertanto la sua condanna a morte fu presto scritta: una tale ingerenza certo non poteva restare impunita e i capi mandamento ordinarono immediatamente l’esecuzione di Crisafulli, che avvenne a Palermo il 27 aprile 1983 a colpi di arma da fuoco, vicino casa.
Ci vollero più di trent’anni per risolvere il mistero della morte del carabiniere: il suo fare riservato infatti non l’aveva portato a raccontare quanto era avvenuto ai suoi familiari e la sua morte venne collegata a questo suo intervento solo grazie alla confessione di un collaboratore di giustizia, Salvatore Cancemi. Egli infatti raccontò l’accaduto e indicò in Pippo Calò e Matteo Motisi, insieme a lui stesso, i mandanti dell’omicidio e in Gioacchino Cillari l’esecutore materiale. Grazie ai riscontri che si sono avuti con le indagini successive scaturite dalle sue dichiarazioni, si è potuto fare giustizia e i tre responsabili sono stati condannati all’ergastolo.
Paradossalmente, la fortuna fu la confessione di Cancemi, che permise lo sblocco delle indagini e la riesumazione del fascicolo che per diversi anni restò a prendere la polvere in Procura a Palermo. D’altronde non c’erano indizi, non c’era nessun elemento che potesse orientare le indagini verso una direzione precisa: per Crisafulli il suo intervento in quella situazione sospetta era doveroso, nulla di eccezionale e proprio per questo le ricerche non avevano un appiglio. Ma, per fortuna, l’omicidio in questo caso non è restato impunito e la famiglia ha potuto conoscere il motivo dell’esecuzione di Gioacchino: ha potuto, ancora una volta, avere una prova dell’onore e del senso del dovere dell’ex carabiniere, che ha portato all’esito più estremo.
Stranisce pensare all’intera vita di Gioacchino Crisafulli, passata sul campo, in prima linea, a difendere la legalità ma anche lo Stato, in periodi e in lotte ben diverse fra loro, terminata ad età avanzata, in pensione: di fatto, dove non riuscì (fortunatamente) ad arrivare neppure la Seconda Guerra Mondiale, arrivò la Mafia, con la sua crudeltà e la sua efferatezza.

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