La famiglia di Peppino

Impastato  non  è mafioso,  ma  proviene  sicuramente  da una  famiglia  mafiosa;  tra  i  suoi  parenti  c’è don  Tomasi  Impastato, confinato come mafioso ad Ustica durante il fascismo, diventato capomafia  a  Cinisi  dopo  il  crollo  del  fascismo.  Soprattutto,  è mafioso Luigi  Impastato,  padre  di  Peppino,  anche  se  è rimasto  sempre  un «mafioso di vecchio stampo», di quelli che sono mafiosi per la cultura che hanno respirato in famiglia o in paese sin dalla fanciullezza, per l’intima convinzione che li porta a credere – sbagliando, e sbagliando   tragicamente   –   che   le   fondamenta   della   società   siano l’omertà,   la   cieca   obbedienza   verso   chi   comanda,   un   certo   senso dell’onore.
Di pasta ben diversa sono altri mafiosi di Cinisi, a cominciare da Cesare Manzella, « notissimo capo mafia», ex emigrato negli Stati Uniti dove  si  è « arricchito  all’ombra  del  gangesterismo  americano  con  il traffico degli stupefacenti ». Ritornato al suo paese natale, ha continuato a mantenere rapporti con i mafiosi americani e con quelli palermitani; nello stesso tempo esercita il dominio sui mafiosi del suo paese e della sua zona.
L’immagine sociale che cerca di trasmettere è di estremo interesse dati  i  tempi.  è  attento  “a  circondarsi  dell’aureola  del  benefattore, facendosi promotore di istituti di beneficenza, mantenendo l’atteggia- mento dell’uomo ligio ai doveri dell’onesto cittadino riuscendo così a cattivarsi  la  stima  di  gran  parte  della  società  provinciale”.  Questo comportamento, che agli occhi dei più  nasconde la vera natura dei suoi traffici, non ha ingannato i carabinieri di Cinisi i quali, nel proporlo per  la  diffida  nel  1958,  scrivono  di  lui  che  «l’individuo  in  oggetto  è capo mafia di Cinisi. è di carattere violento e prepotente. è a capo di una combriccola di pregiudicati e mafiosi, composta dai fratelli “Battaglia”,  cioè Badalamenti  Gaetano,  Cesare  e  Antonio,  dediti  ad attività  illecita,  non  escluso  il  contrabbando  di  stupefacenti».
E’  bene  notare  come  sin  da  quel  lontano  documento  del  1958  i carabinieri di Cinisi conoscano molto bene tutti i Badalamenti definendo con estrema precisione Gaetano Badalamenti come mafioso e come elemento coinvolto in traffici di stupefacenti. Lo scritto dei carabinieri prosegue affermando che Cesare Manzella «individuo scaltro  con  spiccata  capacità  organizzativa»  gode  di  un  «ascendente indiscusso»  tra  i  pregiudicati  e  i  mafiosi  locali  nonché  tra  quelli  dei paesi vicini, quali Carini, Torretta, Terrasini, Partinico, Borgetto e Camporeale.
«Tale suo ascendente fa sì che le malefatte compiute dai suoi  accoliti  non  vengano  nemmeno  denunziate  all’autorità  costituita. Per  tale  motivo  ed  anche  perché  la  sua  funzione  si  esplica  e  si  limita alla  sola  organizzazione  della  delinquenza  e  della  mafia,  è sempre sfuggito ai rigori della legge. Infatti è incensurato. Per la consumazione dei crimini si serve esclusivamente di sicari».
A Cinisi « corre voce » che la soppressione di due persone uccise  di recente in territorio di Carini sia stata da lui voluta in quanto i due uccisi hanno compiuto dei furti di bovini probabilmente senza la relativa autorizzazione. « è comunque certo che i pochi ma gravi delitti venuti alla luce nel territorio di Cinisi, siano stati da lui sentenziati. Non si spiegherebbe diversamente, infatti, che un capomafia, quale il Manzella,  tolleri  nel  suo  territorio  la  consumazione  di  attività  illecite senza il suo benestare. Tra tali delitti devesi ricordare, oltre al duplice omicidio Vitale e Alfano, peraltro consumato nel limitrofo territorio di Carini, i vari contrabbandi di sigarette e di stupefacenti per i quali sono stati denunziati appunto individui appartenenti alla cricca capeggiata dal Manzella. Il Manzella stesso ha ottima posizione economica consistente in proprietà immobiliari (terreni a coltura intensiva, giardini, oliveti ed altro, nonché  fabbricati, tutti nel comune di Cinisi) il tutto valutato per 20 milioni circa».
La carriera di boss mafioso di Cesare Manzella si interrompe drammaticamente alle 7,40 del 26 aprile 1963 in contrada Monachelli, una delle sue tante tenute che racchiude un vasto e ricco agrumeto alle porte di Cinisi. A quell’ora un « pauroso boato » fa « sussultare l’abitato di Cinisi » e ai carabinieri accorsi si presenta uno spettacolo che negli anni a venire sarà  destinato ad essere abituale in Sicilia: un profondo cratere e corpi mutilati, in questo caso quelli di Manzella e del suo fattore Filippo Vitale. L’esplosivo che ha dilaniato i corpi è contenuto in una Giulietta rubata a Palermo all’inizio del mese. La clamorosa uccisione ha un preciso movente. Agli inizi del 1962 Manzella, i fratelli Angelo e Salvatore La Barbera e altri mafiosi – « tutti facoltosi proprietari terrieri, commercianti e costruttori edili» – finanziano una partita di droga che, arrivata in Sicilia, deve poi essere spedita negli Stati Uniti. A ritirare la merce e a spedirla ai mafiosi  americani  è  incaricato,  su  proposta  dello  stesso  Manzella, Calcedonio Di Pisa, « uno dei più  abili emissari della mafia palermitana nel campo del contrabbando e del traffico di stupefacenti »; Di Pisa organizza una squadra fidata. A conclusione dell’operazione gli americani pagano una cifra inferiore rispetto a quella attesa dai siciliani. Interrogati sulle ragioni di tale riduzione, gli americani rispondono di aver pagato solo per la quantità  ricevuta. è evidente che qualcuno ha fatto la “cresta” alla droga e ne ha consegnato una quantità  inferiore. I sospetti cadono su Calcedonio Di Pisa accusato, neppure tanto velatamente,  di  aver  trattenuto  per  se´ la  droga  mancante.  Convocato innanzi ad un «tribunale mafioso», Di Pisa riesce a scagionarsi per cui viene lasciato in vita. Tale decisione non convince i fratelli La Barbera. Costoro, utilizzando la vicenda della droga trafugata, contestano la decisione del tribunale mafioso e passano a vie di fatto. Il 26 dicembre 1962  Calcedonio  Di  Pisa  è ucciso  a  Palermo  in  Piazza  Principe  di Camporeale. Dopo Di Pisa tocca anche agli uomini della squadra che con  lui  hanno  ritirato  la  droga;  due  si  salvano  per  miracolo dagli attentati dei loro nemici.
I  fatti  sono  gravi  perché  sono  chiara  testimonianza  di  un’insubordinazione contro il « tribunale mafioso » che ha mandato assolto Di Pisa.  più  grave  ancora  è il  coinvolgimento  nella  vendetta  di  Salvatore La Barbera che ha personalmente partecipato a quella riunione. Un tale  comportamento  non  può   certo  essere  ignorato  né  tanto  meno tollerato. Salvatore La Barbera scompare il 17 gennaio 1963 in circostanze   misteriose   e   non   fa   più   rientro   a   casa.
La   morte   di Manzella segue di poco quella di Salvatore La Barbera e gli inquirenti mettono  in  relazione  le  due  morti  giacche´   ritengono  che  sia  stato proprio Angelo La Barbera a volere la morte del Manzella, in quanto è stato uno dei promotori della riunione del « tribunale di mafia » che, inquisendo sull’operato di Salvatore La Barbera ne ha decretato « la soppressione e la scomparsa, per avere costui ingiustamente assassinato l’intraprendente Calcedonio Di Pisa ».
La guerra che esplode si basa su un presupposto che anni dopo si scoprirà  essere totalmente falso. A uccidere Calcedonio Di Pisa non sono stati i La Barbera, ma Michele Cavataio che è stato abilissimo ad ingannare  tutti  quanti,  compresi  i  più   grossi  e  più   esperti  cervelli mafiosi i quali non si accorgono della trappola in cui si vanno a cacciare.
L’uccisione di Calcedonio Di Pisa rompe una fragile tregua rag- giunta tra i principali mafiosi del tempo in attesa di capire meglio quali effetti concreti avrebbe prodotto l’imminente costituzione della Commissione parlamentare antimafia che a quell’epoca è limitata alla sola Sicilia. I mafiosi precedentemente chiamati a stabilire « la linea di condotta da tenere », secondo talune fonti di « origine confidenziale », sono   « alcuni   malfattori   e   cioè  Manzella   Cesare   da   Cinisi,   Greco Salvatore nato nel 1923 da Palermo, Badalamenti Gaetano da Cinisi, Panno Giuseppe da Casteldaccia, La Barbera Salvatore da Palermo, Leggio  Luciano  da  Corleone.  Per  concorde  volontà  di  costoro  venne deciso   di   sospendere   ogni   attività   delittuosa   che   avrebbe   potuto confermare   la   pericolosità   della   malavita   associata,   con   impegno reciproco di rispettare la tregua da parte di tutte le “famiglie mafiose” della Sicilia occidentale e di Palermo e provincia in particolare ». L’elenco  dei  nomi  è oltremodo  interessante  perché  svela  la  singolare  circostanza  di  Cinisi  che  è l’unico  paese  ad  avere  due  rappresentanti,  il  più  anziano  Cesare  Manzella  e  il  giovane  Gaetano  Badalamenti, già  a quel tempo «conosciuto anche all’estero come contrabbandiere e trafficante di droghe».
Potenza dei nomi o importanza del territorio controllato che comprendeva lo scalo aereo di Punta Raisi, nodo cruciale per gli arrivi di mafiosi o di droga e per le partenze di uomini o di droga verso – e da – ogni parte d’Italia e del mondo? Probabilmente sia l’uno che l’altro. Su quel territorio cruciale per i traffici nazionali e internazionali degli stupefacenti, si affermeranno due boss di prima grandezza, entrambi, guarda caso, con solidi legami con gli Stati Uniti d’America.

Fonte mafie blog autore repubblica