Le perquisizioni e la pista del terrorismo

La chiave di tipo Yale rinvenuta nei pressi di un cespuglio di agave ricompare alle ore 11,10 del 9 maggio nelle mani dei carabinieri che procedono alla perquisizione dei locali adibiti ad emittente Radio privata Aut in Terrasini alla via Vittorio Emanuele, n. 100. Il  verbale  della  perquisizione  dà  preliminarmente atto che  essa viene effettuata « nella immediatezza dell’evento diretto presumibilmente a provocare un disastro ferroviario, allo scopo di ricercare ogni possibile elemento per far luce sul fatto ». I militari scrivono che « nel corso dell’operazione, considerato che i locali erano chiusi e che non era possibile reperire alcuno dei responsabili in loco, stante l’urgenza […] abbiamo provveduto … ad aprire la porta di ingresso facendo uso di una chiave marca Yale rinvenuta nella mattinata nel corso del sopralluogo effettuato in località Feudo del   comune   di   Cinisi   in prossimità   del  cadavere  del  predetto  Impastato ». Alla perquisizione, veniva chiamato ad assistere tale Palazzolo Salvatore, un sarto residente in uno stabile vicino. La perquisizione termina alle ore 11,30 e consente ai carabinieri di sequestrare un cavo, molto verosimilmente telefonico, in tre spezzoni, della lunghezza di mt. 30 « molto simile a quello rinvenuto nel corso del sopralluogo sulla linea ferrata… », così descritto nel verbale di sequestro debitamente formato.
Il maresciallo Riggio riferirà, esaminato da Chinnici, che la chiave adoperata per aprire la porta di ingresso della radio, gli era stata consegnata dal comandante della stazione di Cinisi, che riteneva fosse appunto quella della radio. L’interesse del giudice istruttore a ricostruire il ritrovamento e il successivo impiego della chiave Yale nella perquisizione  della  sede  della  radio  derivò certamente  dal  punto  n  3 del promemoria della redazione di radio Aut, tutto dedicato a questi particolari.  E  –  come  si  è detto  –  è proprio  tentando  di  ricostruire questi fatti che Chinnici esamina Liborio e apprende dell’avvenuto ritrovamento di altre tre chiavi vicino alla Fiat 850. Altri particolari su questo specifico episodio sono riferiti da Salvatore Vitale, nel corso dell’audizione del 28 settembre 2000 dinanzi al comitato: l’indomani, dopo la morte di Peppino, intorno alle ore 10, io da casa mia vidi dei carabinieri che stavano andando alla sede di Radio Aut; sono andato; insieme a me c’era un dirigente del PCI di Cinisi, si chiama Vincenzo Puleo, e i carabinieri avevano una chiave con cui hanno aperto la sede della Radio. Sia il Puleo che io gli contestammo che non potevano entrare senza  un mandato di perquisizione, gli chiedemmo cosa fosse quella chiave. Ci risposero  che  era  la  chiave  dell’Impastato. Com’è che i carabinieri  potessero avere  la  chiave  della  Radio  è rimasto  sempre  un  mistero.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Vorremmo sapere se il fatto  che  Peppino Impastato avesse un mazzo di chiavi e la chiave di Radio Aut separata dal mazzo fosse un fatto notorio in paese, per cui lo potessero sapere anche i carabinieri.

VITALE. No, era qualcosa che potevano sapere esclusivamente quelli che lavoravano alla Radio, non era un fatto per nulla noto.

Alla domanda di un commissario che chiedeva di sapere se era possibile  che  i  carabinieri  l’avessero addirittura  avuta  già  prima  del delitto, Salvo Vitale risponde:  « Teoricamente è possibile perché se io trovo una chiave nella sua tasca, non  è che  vado  ad  individuare  che  chiave  e`,  quindi  potrebbe  anche  essere.  I carabinieri in quella fase alla Radio vennero solo a cercare una matassa di filo, un cavo telefonico, per dimostrare che era dello stesso tipo di quello che c’era nella macchina di Peppino Impastato ». Quindi, richiesto « se i carabinieri conoscessero il fatto che a Radio Aut c’era del filo » Vitale osserva: « Nessuno esclude che abbiano potuto trovarlo occasionalmente. Loro andarono a cercarlo… fra l’altro era in uno stanzino, non dove era la Radio, ma ad un piano superiore. Andarono a cercarlo e lo portarono… […], non mi hanno fatto entrare nella Radio, mi hanno tenuto fuori ».

[…] I primi atti della polizia giudiziaria sono state le perquisizione domiciliari presso la casa familiare di Giuseppe Impastato, al corso Umberto 220, ove abitava la madre Felicia Bartolotta e presso il suo domicilio di piazza stazione 12, ove il giovane viveva ospite della zia Fara Bartolotta. La perquisizione al corso Umberto si concludeva, secondo il verbale alle ore 8,30 circa con esito negativo. Il relativo verbale porta la firma del solo maresciallo De Bono.
Viceversa presso l’abitazione della zia Fara i carabinieri rinvenivano e sottoponevano a sequestro 6 lettere e un manoscritto, ritenuti di interesse investigativo. Detto manoscritto, secondo gli inquirenti, attesta  la  volontà  dell’Impastato  di  porre  fine  ai  suoi  giorni  con  un gesto eclatante, o meglio, una vera e propria azione terroristica… Di seguito alcuni passi del rapporto dell’11 maggio 1978, sull’argomento:  «Nel corso della perquisizione domiciliare eseguita nell’abitazione di Bartolotta Fara, nella camera da letto di Impastato e precisamente nel cassetto del comodino, venivano rinvenute sei lettere e un manoscritto composto di tre fogli a firma di Giuseppe (Impastato) … Di rilievo … appare lo scritto autografo…  in  esso  è  manifestato  il  proposito  di  suicidio  ed  è  manifesta  anche  la motivazione che lo ha indotto a tale grave decisione. Egli dice infatti: « Il parto (ossia  la  decisione  non  è stato  indolore  (ossia  gli  è costato),  ma  la  decisione è presa … (ossia non revocabile) – Proclamo pubblicamente il mio fallimento  come uomo e come rivoluzionario! Non voglio funerali di alcun genere ». La  motivazione  che  è già  dato  rilevare  nella  frase  « il  mio  fallimento  come uomo  e  come  rivoluzionario »  acquista  contorni  ancor  più   precisi  laddove egli critica aspramente « coloro » i quali propugnano « il personalismo », il « riprendiamoci  la  vita »  e  la  « creatività»,  finendo  col  dire  che  costoro  sono le persone peggiori che ha conosciuto e che a loro preferisce « criminali incalliti, ladri, prostitute, stupratori, assassini e le canaglie in genere ».
Da queste frasi traspare per intero la macerata delusione per avere speso tanti anni  in  una  intensa  ed  appassionata  attività  politica,  non  compresa  da  molti compagni   del   suo   gruppo e dagli stessi frustrata con attività meno impegnate politicamente….  Alla  stregua  delle  su  esposte  considerazioni è dato ritenere che egli il giorno 8 maggio, uscito dalla  sede  della  radio  AUT verso le ore 20,15, abbia rinunciato a partecipare alla riunione fissata intorno alle ore 21 e che dopo avere riflettuto ancora una volta su quello che egli stesso ha definito un fallimento, abbia progettato ed attuato l’attentato dinamitardo alla linea ferrata in maniera da legare  il  ricordo della sua morte ad un fatto eclatante …».

L’alto grado di inverosimiglianza del costrutto rende difficile accettare l’ipotesi che esso possa avere costituito la struttura portante di un rapporto giudiziario relativo ad un evento così grave e complesso. La contemporaneità  tra risoluzione suicidaria, coniugata ad un intento « terroristico » e l’attuazione del progetto palesa profili di evidente illogicità  tenuto  solo  conto  della  necessaria  predisposizione  di  particolari mezzi (esplosivi, inneschi, ecc.), di cui peraltro non è rinvenuta traccia dagli stessi artificieri chiamati a ispezionare il veicolo.
A tali conclusioni del tutto eccentriche rispetto alle concordanti deposizioni dei compagni dell’Impastato ed al comune sentire, che lo vedevano strenuo oppositore degli interessi mafiosi, il verbalizzante sembra poter pervenire senza tenere conto degli esiti negativi delle perquisizioni e dell’assenza di qualsiasi sia pur minima traccia  o  sospetto di terrorismo.
Invero, va evidenziato che in occasione di un grave evento  delittuoso che vide due carabinieri misteriosamente trucidati all’interno di una caserma dell’arma la notte del 27 gennaio 1976 (la cosiddetta strage della casermetta di Alcamo Marina), vennero orientate dai carabinieri indagini nei confronti di militanti di organizzazioni  politiche di sinistra, rivelatesi del tutto prive di risultati e, in tale contesto, anche l’Impastato subì una perquisizione domiciliare, con  esito  negativo.
A Cinisi, tra l’altro, c’era un’assoluta mancanza di qualsiasi fenomeno riconducibile a presenze terroristiche. Quanto al riferimento, pure presente nel libro Nel cuore dei coralli, a sequestri di documentazione presso l’Impastato senza la redazione di un dettagliato verbale, dall’esame degli atti del fascicolo « P » (permanente) del reparto operativo – acquisito in copia presso il comando provinciale dei carabinieri di Palermo nell’ambito dell’attività preparatoria  all’elaborazione  di  questa  relazione  –  è  stato  possibile individuare un cospicuo elenco di materiali e documenti di pertinenza dell’Impastato,  oggetto  di  un  « SEQUESTRO  INFORMALE »,  nonché ulteriore corrispondenza fra comandi dipendenti dal gruppo di Palermo relativa a questa documentazione.
Così, con una nota del 1 giugno 1978, a firma del maggiore Enrico Frasca, il nucleo informativo del gruppo di Palermo scriveva alle stazioni di Cinisi e Terrasini e al comando della compagnia di Partinico, trasmettendo un « elenco, sequestrato informalmente nella abitazione di Giuseppe Impastato nel corso delle indagini relative al suo decesso » e richiedendo l’identificazione delle « persone in esso indicate ».
Pertanto  è provato  che,  dopo  i  sequestri  informali  eseguiti,  cioè senza il rispetto delle formalità  di legge, di materiale documentario di proprietà  di  Giuseppe  Impastato,  sono  stati  posti  in  essere  ulteriori accertamenti  di  cui  agli  atti  processuali  non  vi  è  alcun  riscontro.
La  macroscopicità di questa violazione della legge processuale costituisce una anomalia  di intrinseca  e  indiscutibile  gravità.  Essa comporta  la  ideologica  falsità degli atti  descrittivi  delle  operazioni  di perquisizione e sequestro nei domicili di Giuseppe Impastato, ove venne omesso qualsiasi riferimento a tale documentazione.
Infatti, nel processo verbale di perquisizione domiciliare eseguita ai sensi dell’articolo 224 c.p.p. nell’abitazione di Bartolotta Fara – ove dimorava l’Impastato – firmato, nell’ordine, dall’appuntato Abramo Francesco, dal brigadiere Carmelo Canale e dal maresciallo Di Bono Francesco – non si legge alcun riferimento a documenti diversi dalla sei lettere e al manoscritto, « ritenuti utili per la prosecuzione delle indagini, e in particolare il manoscritto che mette in chiara evidenza   i propositi suicidi dell’Impastato » e « opportunamente sequestrati ». Mentre è il solo maresciallo Di Bono a firmare il processo verbale della perquisizione domiciliare ai sensi dell’articolo 224 c.p.p. presso l’abitazione di Felicia Bartolotta, conclusasi alle ore 8,30 del 9 maggio «con esito negativo». Detto atto «fatto, letto confermato e sottoscritto in data  e  luogo  di  cui  sopra»  (e  cioè alle  ore  21  del  9  maggio  presso  la stazione di Cinisi) non reca la firma della Bartolotta.
E lo stesso Chinnici sembra aver dubitato delle modalità di verbalizzazione degli atti della polizia giudiziaria, come si evince dall’ultima domanda posta al maresciallo Travali nel lungo esame testimoniale del 19 dicembre 1978. Il tenore della risposta – dal significato evidentemente « relativistico » – fu il seguente: « Di tutti gli atti ai quali io partecipai fu redatto regolare processo verbale che io sottoscrissi e trasmisi alla procura della Repubblica e che confermo ».

Fonte mafie blog autore repubblica