I depistaggi dell’antimafia

Se un caso ingenera un sospetto, due casi costituiscono un indizio, tre casi fondano una probabilità. Per non dire una ragionevole certezza. Negli anni 2008, 2012 e 2015 vengono “sciolti” per infiltrazioni mafiose tre comuni le cui amministrazioni si erano opposte alla realizzazione di altrettante discariche di rifiuti solidi urbani (RSU), ossia le nuove miniere d’oro dell’epoca attuale, esercitando democraticamente il governo del proprio territorio. Tutti “mafiosi” che impedivano l’attuazione del mantra “sviluppo & legalità” coniato dall’ex senatore Lumia, paladino dell’antimafia di potere, il cui nome ricorre per ben 40 volte nell’ultima relazione della Commissione regionale antimafia presieduta da Claudio Fava. Invece no. Tutti prosciolti o assolti. Pm che dopo appena due mesi fanno marcia indietro, chiedendo ed ottenendo l’archiviazione. Tribunali che tuonano contro pm e gip, perché quel processo non s’aveva da farsi. Ma nel frattanto il ministero dell’interno scioglie i comuni. Consentendo ai “re dei rifiuti” di realizzare profitti per decine di milioni di euro, causando verosimilmente pregiudizi all’ambiente e quindi alla salute di inermi cittadini. Soprattutto in quei casi in cui le autorizzazioni rilasciate dagli uffici regionali si fossero dimostrate illegittime, impregnate dall’olezzo della corruzione ed infettate dal germe dell’interferenza. Chi esercitava i doverosi poteri di vigilanza, chi segnalava le manifeste illegalità, chi si opponeva con atti amministrativi ad operazioni evidentemente in contrasto con gli interessi delle comunità, veniva denunciato e travolto da un’antimafia quanto meno fuori strada.

Visita dell’allora ministro dell’interno Cancellieri a Racalmuto (dal servizio di Angelo Ruoppolo, Teleacras, 10 aprile 2012)
Basta osservare (esiste una vasta documentazione video e fotografica reperibile in rete) l’ingresso trionfale a Racalmuto nel 2012, al tempo dello scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, di Antonello Montante e Giuseppe Catanzaro al fianco dell’allora ministro dell’interno, la prefetta Anna Maria Cancellieri, per rendersi conto di una realtà che ha travalicato ogni più fervida immaginazione, dove la legge è stata piegata alle ragioni del più forte, di chi intendeva affermare il proprio tornaconto privato sino al punto di pregiudicare, anche irreversibilmente, beni costituzionalmente tutelati come la salute e l’integrità del territorio. E per comprendere la dimensione del potere assunto dalla “antimafia” di Montante & Co. basta pensare che l’ex ministro all’interno Angelino Alfano nominava nientemeno che lo stesso Montante ai vertici dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia, ossia un patrimonio di decine di miliardi di euro, e che all’ex paladino “antimafioso” ed ex presidente di Confindustria Sicilia bastava una telefonata per chiedere ed ottenere lo spostamento di un prefetto, e sia nel caso che fosse “scomodo” (ut amoveatur) perché fedele ai propri doveri e sia nel caso in cui invece fosse “meritevole” (ut promoveatur) per la vicinanza dimostrata a questa “antimafia” degenere. Se poi persino il giornalismo ritenuto “virtuoso” omette di informare i cittadini su fatti rilevanti come quelli portati alla luce dalla Commissione Fava se non addirittura delegittimandone l’operato, il termine “antimafia” perde di significato.


ANTIMAFIA, SOSPETTI SUGLI SCIOGLIMENTI: “SINDACI VIA PER I NO AI RE DEI RIFIUTI”

di Antonio Fraschilla

Scioglimenti «forzati» di Comuni, con sindaci e amministratori poi prosciolti senza nemmeno arrivare a processo, ma che avevano tutti una cosa che li legava: si opponevano ai grandi padroni delle discariche. Un’ombra enorme, quella messa dalla commissione regionale antimafia guidata da Claudio Fava nella relazione sui rifiuti, un’ombra che oscura scelte di forze dell’ordine, procure e ministri. Scelte forse affrettate, certamente «forzate». «Una somma di coincidenze che questa commissione pone all’attenzione anche del Parlamento nazionale, manifestando la preoccupazione che in alcuni casi ci possa essere stato un uso strumentale delle norme», si legge nella relazione.

Il primo caso strano è quello dello scioglimento per mafia del Comune di Siculiana, sindaco Giuseppe Sinaguglia. «Nel 2005 viene aperto un fascicolo dalla procura di Agrigento a seguito dell’esposto presentato dall’impresa Catanzaro che riteneva di subire una serie di controlli da parte del Comune nella gestione della discarica ritenuti vessatori». Il procedimento si conclude con una sentenza di assoluzione emessa dal gup del tribunale di Palermo, con la formula «perché il fatto non sussiste»: «Ragionevolmente — dice la sentenza — non può escludersi che l’intento propugnato e conseguito dagli imputati, tutti appartenenti all’amministrazione locale, sia stato invece quello di far valere quelle che ritenevano legittime prerogative di vigilanza del Comune». Scrive la commissione: «Ma è stata proprio questa inchiesta a fare da presupposto allo scioglimento del Comune di Siculiana, il 13 giugno del 2008».
Altro scioglimento nel mirino della commissione è quello del Comune di Racalmuto: «Il provvedimento in questione nasce sulla scia di un’inchiesta condotta dalla Dda di Palermo nel giugno del 2011 nell’ambito della quale il sindaco dell’epoca, Salvatore Petrotto, viene indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Petrotto si dimette, ma l’ipotesi investigativa nei suoi confronti non viene ritenuta solida dai pubblici ministeri, che due mesi dopo, nel settembre 2011, avanzano richiesta di archiviazione. Richiesta che verrà poi accolta nell’ottobre dello stesso anno dal gip». Ma per l’allora ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri il fatto che il giudice abbia accolto la richiesta di archiviazione del sindaco «non avrebbe intaccato la vicinanza di quest’ultimo all’associazione mafiosa locale». «Un’affermazione talmente perentoria — dice Fava — che, se vera, si porrebbe in manifesta contraddizione con il proscioglimento di Petrotto».
L’ex sindaco, ascoltato dalla commissione, non ha dubbi sul motivo dello scioglimento subito: «Nel maggio del 2011 ho inaugurato il centro comunale di raccolta dei rifiuti … che era al servizio di tre comuni e ho dichiarato pubblicamente che non avrei più conferito un chilo di rifiuti in discarica … dopo una decina di giorni mi arriva l’avviso per concorso esterno».
Il terzo caso è quello del Comune di Scicli: «Come in molte vicende affrontate nel corso della presente inchiesta — si legge nella relazione — anche in questo caso le coincidenze sono importanti perché, proprio all’indomani di un parere negativo espresso nei confronti del progetto di ampliamento presentato dall’Acif, l’amministrazione comunale sciclitana viene travolta da un’inchiesta giudiziaria. La delibera di giunta è la numero 125 del 15 luglio 2014; l’indomani il prefetto di Ragusa nomina una commissione di accesso agli atti del Comune; il 17 luglio, due giorni dopo, il sindaco Francesco Susino riceve un avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa. Il 29 aprile del 2015 verrà disposto lo scioglimento del Comune. E l’anno dopo, va da sé, l’Acif otterrà l’attesa autorizzazione».
Sottolinea la commissione: «Occorre aggiungere che, anche in questo caso, come già a Siculiana e a Racalmuto, l’indagine penale a carico del sindaco verrà cassata in sede di giudizio, con una sentenza del tribunale insolitamente perentoria per il tono usato nei confronti dei colleghi della procura e dell’ufficio del gip: “È inaudito che il processo abbia potuto superare la fase delle udienze preliminari”. Parole nette e preoccupanti». Sì, davvero preoccupanti.

[articolo apparso su “La Repubblica”, 20 aprile 2020]