Matteo Messina Denaro: il boss che resiste pure alle pandemie

Matteo Messina Denaro: 28 anni di latitanza ma non li dimostra…

Lo Stato, con i suoi alti livelli,  ha fatto bene le ricerche? Chi ha commesso errori gravi di strategia per arrestarlo ha pagato?

La latitanza del superboss ha avuto molti fiancheggiatori ma anche investigatori non all’altezza del compito. Se una persona riesce a stare in libertà nonostante tutto, è evidente che qualcosa non ha funzionato anche tra chi ha investigato. Negli ultimi 20 anni , sono stati effettuati centinaia di arresti, usando il suo nome come azione investigativa contro la mafia. Castelvetrano ha pagato e paga il prezzo più alto in questa guerra tra Lo Stato che  “vuole” prendere e il boss e chi gioca con due mazzi di carte. Poi si scopre che, molti guardavano solo a  Castelvetrano e invece, la mafia, si rafforzava da altre parti.

L’azione di rastrellamento della Procura, durata oltre 10 anni, definita “Terra Bruciata”, ha demolito apparati della mafia locale colpendo anche innocenti , l’economia del territorio  considerata infiltrata, senza riuscire a scalfire la libertà del boss

La latitanza di Matteo Messina Denaro ha raggiunto il limite di sopportazione. Troppe inchieste e troppi giorni d’indagini senza centrare l’obiettivo. Un numero di ore di investigazione speciale che fa sensazione. L’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti, che diede il via a questo lungo periodo, fu emessa nel 1993, circa sei mesi dopo l’arresto di Totò Riina.

 

A suo carico pendono crimini come associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, furto ed altro.

Nel 1994 sono state diramate le ricerche in campo internazionale, per l’arresto ai fini dell’estradizione.Niente, nel mondo nessuno riesce a fermarlo: Una cosa è certa: Messina Denaro sa troppe cose sul quel becero rapporto  definito :Stato -Mafia

L’erede di Totò Riina e Bernardo Provenzano, originario di Castelvetrano, proprio settimane fa a compiuto 58 anni. In tempi e condizioni normali sarebbe stato in carcere da quando ne aveva 31. Praticamente un carattere dalla potenza di fuoco che nessuno ha mai fermato e una astuzia criminale di livello lo tengono lontano dalle patrie galere continuando , con la sua latitanza, a togliere ogni speranza  ai cittadini onesti e a chi subisce ancora la pressione dello Stato per la sua mancata cattura. In fondo, a 58 anni, si è ancora troppo in auge affinché si finisca in mani nemiche… Ai suoi più importanti predecessori, ciò accadde in età molto avanzata: Totò Riina fu catturato a 62 anni, il 15 gennaio del 1993, mentre Bernardo Provenzano, scovato nell’aprile del 2006, di anni ne aveva addirittura 73. Altrettanto importanti e significativi i periodi di latitanza: 24 per Riina, quasi 43 anni per Provenzano. Così, Messina Denaro ha abbondantemente superato il “capo dei capi” e corre verso il record dell’altro boss corleonese. Ma questa non può passare alla storia come la più triste e squallida corsa a chi resiste di più in latitanza rispetto all’altro. Sembriamo in un film dove va in scena l’assurdo.

Intanto, oggi, mentre riflettiamo sulle oltre  diecimila albe trascorse all’aria aperta dal superboss, tocca innanzitutto ricordare che abbiamo vissuto la  pandemia da Coronavirus e che neanche il periodo più controllato degli ultimi 70 anni è riuscito a stanarlo.Possibile che con tutto fermo  e controllato, il boss non abbia avuto difficoltà ? Possibile che la sua tanto decantata rete di protezione abbia cosi bene funzionato da proteggerlo pure dalla pandemia?Quante stranezze

Matteo Messina Denaro , piaccia o no, adesso, è il simbolo di un’Italia sommersa, nascosta, dove lo Stato appare solo in superficie, preferendo a volte la retorica all’impegno. E’ il simbolo di uno Stato che ha gestito male la lotta alla sua latitanza con azioni che spesso hanno sparato nel mucchio ,facendo scappare la selvaggina più pregiata

Nell’area trapanese, siciliana, nazionale e internazionale, a vario titolo, Matteo Messina Denaro sembra dominare qualcosa di apparentemente indefinito.Molti gregari  di terzo livello in carcere, pochissimi i colletti bianchi  potenti beccati

La recente inchiesta su Castellammare del Golfo arriva tardi

Nel 2002 il boss pentito Antonino giuffrè, ex fidatissimo di Provenzano, aveva dichiarato: “Allo stato attuale Trapani, e in particolare il paese di Castellammare del Golfo, rappresentano una delle zone più forti della mafia, non solo perché la meno colpita dalle forze dell’ordine, ma soprattutto perché punto di riferimento non solo di traffici normali, come droga e armi, ma anche luogo dove si incontrano alcune componenti che girano attorno alla mafia. È un punto di incontro della massoneria, ma anche per i servizi segreti deviati”.. Sono frasi che fanno tremare. Eppure, Giuffrè, non è stato ascoltato bene

 Castelvetrano tra decine di arresti  e lo scioglimento  del comune per mafia

Sul paese d’origine del boss, ci sarebbe da dire molto. Sono tante le relazioni investigative eseguite negli anni, che dimostrano una relazione continua tra l’ata borghesia locale e i mafiosi di rango. Relazioni che partono dagli anni 50. Eppure, di gente  con la cravatta firmata, finita in carcere e condannata  per mafia a Castelvetrano, non ne risultano. Una dettagliata relazione della Commissione Parlamentare Antimafia, presieduta da Rosy Bindi, inviata all’aula di Montecitorio il 21 dicembre 2017 a sei mesi dello scioglimento avvenuto nel giugno  dello stesso anno, intitolava un capitolo proprio alle vicende di Castelvetrano.

“L’attuale capo della mafia della provincia di Trapani, – si legge nella relazione-il latitante Matteo Messina Denaro, da almeno un ventennio gestisce l’associazione mafiosa e il suo rapportarsi con il territorio secondo regole solidaristiche volte all’acquisizione del consenso degli associati e della società civile. L’imprenditoria, ad esempio, non è vessata dall’imposizione del pizzo ma riceve l’aiuto economico e il sostegno mafioso offrendo in cambio, sinallagmaticamente, la titolarità di quote delle imprese. (…)  In tale contesto – prosegue la relazione  – la cittadina di Castelvetrano è al centro delle dinamiche mafiose della provincia di Trapani non solo quale luogo natale dei messina denaro, ma soprattutto perché matteo messina denaro da sempre amministra Cosa nostra trapanese attraverso una cerchia di stretti parenti e di fidati amici lì residenti che gli consentono, a tutela della sua latitanza, di evitare una continua permanenza in quel territorio e di mantenere comunicazioni diradate con gli associati”.

Dunque, di tutto e di più. Come dire, un profilo perfetto di movimenti, dentro il quale si inquadra una latitanza dorata. Una vita sospesa, sottotraccia, nel sottobosco infimo della società, dove operano volti e profili puliti intenti ad azionare la leva della perenne sfida ad uno Stato dalle mille partite irrisolte, dentro una irrefrenabile altalena tra valori, inefficienze e connivenze. A distanza di tre anni dalle  varie ispezioni prefettizie non vi è un solo indagato per mafia dentro il comune e tra i politici. Insomma Messina Denaro gestiva gli interessi di Castelvetrano  anche dentro il comune ,solo con quattro straccioni e qualche vecchio boss. E’ chi ci crede è fesso.

Come già detto,siamo in tempi di Coronavirus, fenomeno in cui un microorganismo invade un macrocosmo.  Le metafore spesso  aiutano. E il ricercato appare come un essere invisibile, da sequenziare: sopravvive, si camuffa, si inserisce tra le pieghe molli degli organismi di una società assuefatta e insensibile. E proprio in questa fase, col mondo in buona parte in isolamento forzato, quando si cercano spasmodicamente rimedi con antidoti e vaccini, sembra che la “malattia” legata al superlatitante di Cosa nostra non sia più contagiosa come una volta: lo Stato sembra aver fatto gli anticorpi… Il problema è capire quali anticorpi.

Individuazione, tracciamento, isolamento serviranno per capire finalmente il vero potere che ha aiutato e aiuta il boss?

Mescolando le tre fasi, adattandole alla realtà, ecco come ad un soggetto microscopico che sta cambiando le sorti del mondo, sia associabile alla vicenda del superlatitante di Cosa nostra.

Sarà che le agende si spostano, si differiscono, sarà che conviene sempre lavorare nel silenzio…Qualcosa sarà. Ma sembra registrarsi una sorta di assuefazione al male, di una convivenza con esso.

Ci si chiede come, dove e grazie a chi Matteo Messina Denaro faccia valere la sua potenza in clandestinità. È incontrastato? Non ha un sostituto?

A Castelvetrano il tempo sembra essersi fermato, mentre la vita del super boss continua . Sarà lì ? E’ altrove? Dovunque cazzo sia è necessario trovarlo e sbatterlo in galera. Basta con i lancia fiamme. Non servono. Ci vogliono i laser di precisione per arrivare a colpire il suo fortino

Fonte: IL Carrettino