I fatti e il movente, la requisitoria

Alle ore 8,00 del mattino del 29 luglio del 1983 veniva attivata a distanza, con il sistema del telecomando, una carica di esplosivo collocata all’interno del bagagliaio di una Fiat 126 parcheggiata proprio in prossimità del portone d’ingresso dello stabile di via Pipitone Federico a Palermo dove abitava il dottor Rocco Chinnici, all’epoca Consigliere Istruttore e quindi dirigente dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo.
L’autovettura all’interno della quale era stata collocata la carica esplosiva era stata rubata nei giorni precedenti, sempre in Palermo, e le targhe che erano state apposte a questa autovettura erano state rubate nella notte tra il 28 e il 29 luglio da un’altra 126 di proprietà di tale Santonocito.
La terribile esplosione provocava la morte del dottor Chinnici, di due componenti della scorta dei carabinieri: il maresciallo Trapassi e l’appuntato Bartolotta, del portinaio dello stabile Stefano Lisacchi, nonchè il ferimento grave, gravissimo – Presidente, il soggetto rimase per un lungo periodo in stato di coma – dell’autista giudiziario Paparcuri, che si era recato, appunto, a prendere il dottor Chinnici, come faceva ogni mattina, presso l’abitazione di via Pipitone Federico per portarlo al Palazzo di Giustizia.
Residuavano, poi si accerterà, nei confronti del Paparcuri delle lesioni di carattere permanente e consistenti nell’affievolimento permanente dell’organo dell’udito e delle funzioni dell’udito.
Ancora, si provocava il ferimento più lieve di innumerevoli altre persone, compresi altri carabinieri addetti alla scorta del dottor Chinnici.
L’esplosione provocava altresì la vera e propria devastazione del teatro della zona con la distruzione e il danneggiamento degli stabili circostanti, delle automobili parcheggiate, delle saracinesche di molti negozi ancora chiusi a quell’ora del mattino.
Ci trovavamo di fronte, eravamo al 29 luglio del 1983, non al primo omicidio cosiddetto eccellente, non alla prima eliminazione di un rappresentante delle istituzioni, di un rappresentante così autorevole come poteva essere ed era il capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo; ma ci trovavamo però di fronte al primo episodio di omicidio eccellente realizzato mediante il sistema dell’autobomba, mediante un sistema ed una metodologia tipicamente terroristica.
Purtroppo ci troviamo in presenza di quello che è stato solo il primo episodio di una serie che poi è sfociata negli attentati del 1992, nelle stragi del 1992, nelle quali rispettivamente persero la vita il dottor Falcone, la dottoressa Morvillo, i poliziotti della loro scorta, il dottor Borsellino e i poliziotti della sua scorta.
Dicevo, un parallelismo con le stragi di Capaci e di via D’Amelio; un parallelismo che non sta soltanto nelle modalità esecutive che sono drammaticamente e palesemente analoghe, soprattutto con riferimento alla strage di via D’Amelio, ma un’identità ed un parallelismo che va ben al di là di questi dati strettamente riconducibili alla fase esecutiva.
Per quanto riguarda il prosieguo di questa esposizione introduttiva, volevo innanzitutto dire che noi l’affronteremo in questo modo,  tra l’altro attenendoci a quello che è lo spirito e il disposto del codice, senza approfondimenti eccessivi e senza, soprattutto, il riferimento specifico a fonti di prova che poi, invece, verranno esaminate e valutate dalla Corte nel corso dell’istruttoria.
Volevo però dire quello che il Pubblico Ministero intende dimostrare e volevo dire che io mi occuperò in questa breve prolusione, in questa breve esposizione introduttiva di quello che intendiamo dimostrare in ordine al movente e ai mandanti dell’attentato; la collega nel prosieguo proseguirà in relazione alle fasi più strettamente esecutive.
Dicevo del movente, signori della Corte. Noi intenderemo e intendiamo dimostrare che, come spesso accade nei delitti di mafia, forse come sempre accade, il movente della strage di via Pipitone Federico è un movente di carattere complesso, dove certamente c’è una componente fondamentale di vendetta nei confronti del dottor Chinnici; dove, però, altrettanto fondamentale, se non ancora più importante, è un movente – per così dire – di prevenzione in relazione ad una attività che il dottor Chinnici, quale dirigente dell’Ufficio Istruzione, stava approfondendo e stava organizzando proprio in quel periodo.
Dobbiamo riportarci innanzitutto a quel periodo 1983 che è un periodo assolutamente diverso rispetto a quello che viviamo oggi nel contrasto, nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata; ed è anche un periodo completamente diverso rispetto al 1992 quando furono perpetrate le stragi di Capaci e di via D’Amelio.
Siamo in un periodo, primi anni ’80, nel quale sostanzialmente ancora non abbiamo alcun apporto, non solo decisivo ma addirittura importante, rilevante dei collaboratori di giustizia, di soggetti che, fuoriuscendo dall’ambito criminale di cosa nostra, aiutano gli inquirenti con le loro dichiarazioni a capire il mondo di cosa nostra, a capire l’organizzazione, a parlare dei singoli delitti-fine posti in essere dall’organizzazione.
Siamo in un periodo in cui le indagini si muovono soltanto sulla capacità e in base alla capacità investigativa ed organizzativa di pochissimi giudici, tra l’altro ancora non organizzati in strutture efficienti, in quelli che poi verranno chiamati e poi istituzionalizzati come “pool antimafia”.
Ebbene, il dottore Chinnici, e lo dimostreremo nel corso dell’istruzione dibattimentale, era stato l’antesignano dei pool antimafia, era stato il primo magistrato che, nella sua qualità di Consigliere Istruttore a Palermo, aveva organizzato il lavoro suo e dei suoi colleghi d’ufficio in maniera che ciascuno conoscesse quello che stava facendo l’altro, in maniera che tutte le indagini su un fenomeno che il dottore Chinnici considerava unitario, qual era il fenomeno dell’attività di cosa nostra a Palermo e in Sicilia, venissero coordinate e viste in un’ottica di insieme.
Oggi ci appare scontato, oggi, nel 1991 sono state costituite le Direzioni Distrettuali Antimafia, è stato in un qualche modo istituzionalizzato il lavoro di pool, lo scambio continuo di informazioni, il travaso continuo di dati processuali da un fascicolo processuale all’altro, il collegamento tra i vari giudici che si scambiavano tutte le informazione relative ad indagini rispettivamente compiute.
Oggi ci sembra tutto scontato. Allora no; allora il dottore Chinnici avvertì questa esigenza di affrontare in maniera sistematica l’attività di indagine di cosa nostra. E quello che dimostreremo, Signori della Corte, nel corso di questo processo è che cosa nostra, almeno nei suoi esponenti più avvertiti, e non sono pochi, e più intelligenti, avvertì il pericolo che quella organizzazione in pool del lavoro dei giudici antimafia avrebbe costituito.
Lo dimostreremo attraverso dichiarazioni di collaboratori di Giustizia. Parlavo anche di motivazioni di vendetta. Produrremo documentazione atta a provare quello che il dottore Chinnici, personalmente e come coordinatore del lavoro degli altri giudici istruttori e del dottore Falcone in particolare stava facendo in quel periodo tra la fine del 1982 e il 1983.
Per la prima volta a Palermo, e veramente per la prima volta, vengono spiccati dei mandati di cattura numerosi e ciascuno nei confronti di decine e decine di persone, proprio nei confronti di coloro i quali – oggi lo sappiamo anche in virtù di sentenze passate in giudicato – in quel momento erano i capi e i capi emergenti dell’organizzazione, i capi praticamente sconosciuti.
Andremo a vedere come pochi mesi prima di morire, per esempio, il giudice Chinnici avesse spiccato un mandato di cattura, allora così si definivano, nei confronti di 88 componenti di cosa nostra tra i quali, tanto per fare dei nomi, il Riina, il Provenzano, i Pullarà della famiglia di Santa Maria di Gesù, i Vernengo, Greco Michele, che fino a poco tempo prima era stato il capo incontrastato dell’organizzazione, Greco Salvatore, Profeta Salvatore e compagnia cantante.
Dimostreremo come il 13 luglio, 15 giorni prima del… 16 giorni prima della strage il dottore Chinnici insieme al dottore Falcone aveva coordinato una operazione che era sfociata in – mi pare – 14 mandati di cattura, tra gli altri c’era Riina, tra gli altri c’era Provenzano, in relazione all’omicidio del generale Dalla Chiesa, in relazione all’omicidio di Stefano Bontate, in relazione ad altri fatti, eliminazioni di capomafia tipo Salvatore Inzerillo, che erano frutto di quella guerra di mafia che da poco si era conclusa e che aveva insanguinato in maniera irripetibile e irripetuta le strade di Palermo.
Siamo in presenza di un’attività dell’Ufficio Istruzione che in quel momento è particolarmente penetrante, e per la prima volta penetrante nei confronti di quella che poi verrà definita la fazione corleonese dell’organizzazione criminale cosa nostra.
Ma vi è di più, e qui si inserisce, Signori della Corte, quello che io definisco l’aspetto preventivo del movente.

 

https://mafie.blogautore.repubblica.it/