Le indagini sugli esattori salvo

e indagini sugli esattori Salvo

2Il dottore Chinnici personalmente stava, diciamo, gestendo tutte le indagini relative a quella presentazione di un rapporto ormai quasi storico nelle vicende di mafia palermitana, il cosiddetto rapporto Greco Michele + 161.
Un rapporto, tra l’altro, relativo a varie vicende di mafia, a vari omicidio, all’omicidio – tanto per fare alcuni esempi e per farvi capire l’importanza di quell’indagine – all’omicidio Reina, all’omicidio Mattarella, all’omicidio La Torre.
I primi 88 mandati di cattura erano stati emessi proprio in relazione e a seguito di quella presentazione del rapporto dei 162.
Il dottore Chinnici più volte, lo provano per esempio quei verbali che oggi sono stati acquisiti al fascicolo per il dibattimento, verbali di dichiarazioni rese dal dottor Borsellino e dal dottor Falcone nell’immediatezza della strage di via Pipitone Federico, più volte aveva manifestato la sua precisa convinzione, desunta dai primi elementi di natura probatoria, che tutti quei delitti, tutti quei delitti eccellenti anche, fossero legati da un unico filo, da un unico movente ed in qualche modo riconducibili proprio alla attività dei cosiddetti corleonesi.
Ancora, il dottore Chinnici, sempre sviluppando o nel tentativo di sviluppare appieno quel rapporto dei 162, stava indagando, e non ne faceva mistero, forse anche imprudentemente non ne faceva mistero, su quelli che erano i legami tra l’ala già conosciuta come ala militare di cosa nostra e due esponenti che, signori della Corte, mi rivolgo soprattutto ai giudici popolari, in quel periodo a Palermo, e chi ha vissuto a Palermo lo sa anche se non si è occupato come addetto ai lavori di queste cose, rappresentavano veramente la massima potenza che si potesse pensare in capo delle persone in Sicilia; mi riferisco a Nino ed Ignazio Salvo, i cugini Salvo di Salemi che poi dimostreremo, e lo hanno dimostrato in parte anche delle sentenze passate in giudicato, erano tra l’altro anche uomini d’onore della famiglia di Salemi, ma uomini d’onore che non esplicitavano ed esplicavano la loro attività soltanto nell’ambito della famiglia di Salemi ma erano assolutamente in stretto contatto con i vertici dell’organizzazione.
Prima erano stati in stretto contatto operativo con i Bontate, con gli Inzerillo, con i Badalamenti; dopo, avendo forse fiutato il vento del cambiamento che la guerra di mafia aveva portato in seno all’organizzazione cosa nostra, erano diventati assolutamente un tutt’uno con i Riina, i Madonia, i Ganci, tutti quelli che poi rappresentano la cosiddetta fazione corleonese che prevale alla fine della guerra di mafia.
Ebbene, il dottore Chinnici, già l’avete agli atti del fascicolo per il dibattimento, andava dicendo in quei giorni, in quei mesi che bisognava approfondire il rapporto e le indagini che il rapporto aveva già superficialmente prospettato proprio in relazione all’attività dei cugini Salvo; andava dicendo ad investigatori, colleghi, e andava esplicitando questa sua convinzione anche con deleghe di indagini che dietro i fatti di mafia più eclatanti in quel momento c’era, mi riferisco a… parole del dottor Borsellino, la mano dei cugini Salvo.
Lo andava dicendo il dottore Chinnici nel 1983, non in un’epoca in cui poi tutti cominciarono a parlare, anche i giornali e anche, a seguito delle dichiarazioni di Buscetta e di altri pentiti, si cominciò molti anni dopo a parlare dei cugini Salvo come collusi colla mafia. Lo diceva il dottore Chinnici nel 1983.
Ecco, allora, quella che noi riteniamo essere stata una componente preventiva dell’omicidio di un giudice la cui azione doveva necessariamente essere frenata, e frenata in una maniera talmente eclatante che servisse da monito anche a chi, come Giovanni Falcone in particolare, assecondava il dottore Chinnici, anche a chiunque altro in periodo in cui spesso l’azione e l’impegno della magistratura e delle forze dell’ordine nel contrasto a cosa nostra era piuttosto oscillante, servisse – dicevo – da monito anche a chi, invece, volesse fare sul serio.
Noi abbiamo la possibilità ed abbiamo intenzione di dimostrare che a questo movente composto si ricollega un’attribuzione di responsabilità nei confronti dei mandanti così come individuati nella richiesta di rinvio a giudizio.
A tal proposito noi intendiamo dimostrare che la decisione di uccidere il dottor Chinnici fu presa e deliberata dalla commissione provinciale di Palermo di “cosa nostra”, così come venutasi a determinare… e nella composizione venutasi a determinare al termine della cosiddetta guerra di mafia.
In questo senso intendiamo appunto dimostrare che gli imputati che oggi rispondono nella loro qualità di mandanti erano tutti a vario titolo membri di quella commissione.
Fin d’ora nell’esposizione introduttiva, secondo la nostra impostazione, mette conto sottolineare ed anticipare una cosa: noi dimostreremo che già nel 1982 proprio su input e disposizione precisa e volontà espressamente esplicitata dei cugini Salvo, in seguito ad una riunione che si tenne in contrada Dammusi tra i cugini Salvo, Riina, Bernardo Brusca e… non mi ricordo se Madonia Francesco o Madonia Antonino, in questo momento posso anche sbagliare, Giovanni Brusca, si diede l’incarico proprio a Giovanni Brusca, ad Antonino Madonia, a Pino Greco, detto “scarpa”, successivamente ucciso, a Balduccio Di Maggio di studiare la possibilità di eliminare il dottor Chinnici già nell’estate del 1982 presso la di lui abitazione estiva a Salemi.
A questo proposito e per questo scopo questi soggetti che ho detto, ed in particolare Bernardo Brusca, si recarono a Salemi, dai cugini Salvo ricevettero l’indicazione precisa della ubicazione della villa del dottor Chinnici e per alcuni giorni stazionarono lì per vedere come organizzare l’attentato che doveva essere compiuto con mezzi tradizionali, cioè attraverso l’esplosione della solita raffica di mitra o dei soliti colpi di pistola.
In quel frangente quell’attentato così come già deliberato e organizzato non fu realizzato perchè il dottor Chinnici fruiva anche di una vigilanza dei Carabinieri anche durante il periodo di ferie e in qualche modo ciò comportò una difficoltà di esecuzione in quel luogo e con quelle modalità che comportò una sospensione della delibera di morte che già la commissione provinciale di cosa nostra aveva adottato nei confronti del dottor Chinnici.
Nel 1983 la situazione, l’esigenza di eliminare il dottor Chinnici si ripresenta, si ripresenta ancora più urgente proprio in relazione alla attività più penetrante svolta nei confronti dei cugini Salvo e nei confronti di tutta cosa nostra e nuovamente, presidente, noi questo intendiamo dimostrarlo e lo intendiamo precisare fin da ora, nuovamente la commissione si riunì e nuovamente vennero attribuiti gli incarichi organizzativi ed esecutivi secondo lo schema che successivamente delineeremo, e stavolta si decise di porre in essere la strage pensata, o meglio l’omicidio pensato, attraverso delle vere e proprie modalità stragiste, cioè attraverso l’attivazione dell’autobomba in pieno centro a Palermo.
Perchè, presidente e signori della Corte, fin d’ora ho precisato da questo punto di vista quello che intendiamo provare? Perchè dobbiamo inquadrare anche, e sarà nostro compito rendervi chiaro attraverso l’istruzione probatoria quello che sto affermando, il delitto Chinnici in un contesto di vicende di “cosa nostra” ben particolare.
Attraverso i collaboratori di giustizia, ma non solo attraverso le loro dichiarazioni, proveremo che a partire dal 1981 a Palermo la fazione cosiddetta corleonese facente capo a Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, e che a Palermo aveva trovato validissimi alleati in Madonia Francesco, odierno imputato, Ganci Raffaele, odierno imputato, ed in altri soggetti odierni imputati, aveva portato a termine una vera e propria opera sistematica di sterminio di tutti coloro che erano precedentemente collegati ad altri capimandamento storici tipo Stefano Bontate, tipo Salvatore Inzerillo, tipo Badalamenti.
Questa cosiddetta guerra di mafia fu portata avanti soprattutto attraverso le forze, i picciotti, gli uomini d’onore espressi dalle famiglie di questi soggetti; vi dimostreremo che, per esempio, i figli di Madonia Francesco, e in particolare Madonia Antonino, odierno imputato, fu uno dei principali artefici della maggior parte degli omicidi realizzatisi in numero di centinaia in quegli anni che vanno dall’81 alla fine dell’82.
Vi dimostreremo che, per esempio, altri soggetti, i figli di Ganci Raffaele, Ganci Calogero, Ganci Domenico, il di loro cugino Anzelmo Francesco Paolo, non meno di Antonino Madonia, rappresentavano le braccia di quella forza tremenda che in quel momento era costituita dalla offensiva dei corleonesi.
Vi dimostreremo che Giovanni Brusca, odierno imputato, non meno di Antonino Madonia, non meno di Calogero Ganci, di Mimmo Ganci, di Francesco Paolo Anselmo, contribuiva con decine e decine di omicidi al raggiungimento di quel fine di sterminio della fazione opposta.
Vi dimostreremo che con la fine del 1982 storicamente si collega la guerra… la fine della guerra di mafia all’omicidio di Scaglione del 30 novembre del 1982 – Scaglione era un uomo d’onore della Noce, non mi riferisco all’ex procuratore ucciso nel 1970 – con il 30 novembre ’82, comunque con la fine dell’82, la guerra di mafia ha fine e viene ricostituita “cosa nostra” e i mandamenti che compongono la struttura portante di “cosa nostra” a Palermo e provincia, secondo uno schema che prevedeva l’attribuzione di poteri nei mandamenti a tutti coloro i quali si erano schierati con Riina, Provenzano e i corleonesi.
Vi dimostreremo che tra la fine dell’82 e il gennaio dell’83, in seguito proprio ad una riunione, sempre nella contrada Dammusi di San Giuseppe Jato, venne ricostituita la commissione provinciale di Palermo e tra l’altro vennero attribuiti, in questa sede di ricostituzione di tutta la struttura portante, dei mandamenti che prima non esistevano o che prima erano stati, seppure momentaneamente, cancellati.
Guarda caso viene ripristinato il mandamento alla Noce, viene designato come capomandamento Ganci Raffaele.
Guarda caso viene ampliato il territorio, già importante e ampio, facente capo al mandamento di Resuttana, quello .. alla cui guida, alla cui direzione, per usare un termine improprio, era come capomandamento Francesco Madonia.
Sostanzialmente, con la ricostituzione dei mandamenti vengono premiati coloro i quali erano stati i più stretti alleati, anche alleati operativi, di Totò Riina, nella guerra di mafia da poco conclusasi.
Il problema che dobbiamo fin da subito individuare: noi abbiamo, e ve l’ho già anticipato, una prima deliberazione che interviene nell’estate del 1982, quindi in costanza ancora di guerra, e quindi presumibilmente adottata, secondo le regole di cosa nostra adottata, dalla commissione provinciale di Palermo così come allora costituita.
Abbiamo però una seconda nuova deliberazione che interviene soltanto qualche mese prima rispetto alla perpetrazione della strage del 29 luglio e che quindi, noi dimostreremo, è da attribuire alla commissione provinciale di Palermo, così come composta dopo la ricostituzione della commissione nel gennaio del 1983.
E d’altra parte, signori della Corte, non poteva accadere altrimenti.
Una cosa è deliberare l’omicidio di un magistrato, un omicidio eccellente, però fatto con sistemi tradizionali, attraverso l’esplosione di colpi di arma da fuoco, una cosa è decidere di attuare una vera e propria strage nel pieno centro di Palermo.
Le regole di “cosa nostra”, che tra l’altro sono sancite nella sentenza ormai passata in giudicato, la nr. 80/92 che di qui a poco vi andremo a produrre, sono assolutamente chiare.
La deliberazione dell’omicidio eccellente non può che essere fatta da tutti i capimandamento riuniti nella commissione provinciale di Palermo. Questa è una regola che noi riteniamo ancora valida, sicuramente valida, almeno fino all’epoca delle stragi del 1992, ancora più valida, ancora più pregnante, ancora più inderogabile nel 1983, nel momento in cui la commissione provinciale di Palermo a seguito della ricomposizione del gennaio ’83 è nel momento di sua massima coesione e di suo massimo splendore.
Riteniamo tra l’altro, e in questo senso comincio ad avviare l’esposizione introduttiva verso quello che attiene agli aspetti organizzativi, che la strage sia stata organizzata secondo dei canoni che poi vedremo essere soliti nella consumazione dei delitti eccellenti.
Per la consumazione della strage furono incaricati uomini d’onore appartenenti a più mandamenti, non solo uomini d’onore appartenenti al territorio del mandamento dove la strage si sarebbe dovuta consumare, via Pipitone Federico, che ricade del mandamento di Resuttana, quello di Francesco Madonia, di Antonino Madonia, ma alla strage partecipano uomini d’onore del mandamento di San Giuseppe Jato, del mandamento di Resuttana, del mandamento della Noce, del mandamento di Ciaculli e del mandamento di San Lorenzo.
Siamo in presenza, signori della Corte, dell’incarico operativo affidato proprio a quei soggetti che da poco rivestivano la qualità di capomandamento e che tale designazione avevano ricevuto come premio dell’apporto alla guerra di mafia.
Mi riferisco alla Noce, mi riferisco a San Lorenzo e quindi al capomandamento Giacomo Giuseppe Gambino, mi riferisco a San Giuseppe… a San Giuseppe Jato, che, come abbiamo visto, aveva dato un apporto decisivo alla guerra di mafia, mi riferisco a quel Pino Greco “scarpa”, capomandamento allora di Ciaculli che un apporto decisivo aveva dato alla guerra di mafia.
Vedremo come la ripartizione del compito operativo ed organizzativo ha seguito uno schema ben preciso: quello della segmentazione tra gli incarichi dei vari mandamenti ma del rapporto costante e operativo tra gli uomini d’onore degli stessi mandamenti.

Fonte mafie blog autore repubblica