Quei vicerè (mafiosi) della Sicilia

Con riferimento all’interesse investigativo per i Salvo ed al loro coinvolgimento nelle vicende connesse con la guerra di mafia, va rilevato che il dr.Antonino Cassarà, già dirigente della Squadra Mobile  di Palermo, ucciso nell’agosto del 1985, nel corso della deposizione resa in data 20/3/1984 alla corte di Assise di Caltanissetta riferì di avere appreso dai sostituti procuratori della repubblica Di Pisa Alberto e Geraci Vincenzo, dopo la morte del consigliere Chinnici, dell’intendimento di quest’ultimo di emettere mandati di cattura nei confronti dei cugini Salvo i quali fino a quel momento erano destinatari di una comunicazione giudiziaria per il reato di cui all’art 416 bis c.p. nell’ambito del procedimento per la scomparsa dell’ing. Lo Presti, valorizzando detta posizione processuale.
Anche il teste Accordino ha confermato che il dr.Chinnici aveva manifestato precise opinioni sui cugini Salvo (f.46, ud.cit) e sulla opportunità di arrestarli.
In un contesto come quello sopra delineato non può sorprendere il clima di preoccupazione e di emarginazione che traspare dalle dichiarazioni rese al C.S.M. e da talune annotazioni figuranti nel diario del dr. Chinnici, atteso che, in un momento storico in cui le organizzazioni mafiose erano ancora indenni dagli effetti devastanti che il fenomeno della collaborazione avrebbe provocato sui tradizionali equilibri e sulla consolidata impunità dei suoi affiliati, il nuovo clima di impegno giudiziario, i nuovi metodi di indagine e, soprattutto, il diverso approccio culturale ed investigativo con il fenomeno mafioso non poteva non suscitare viva preoccupazione ed allarme nell’organizzazione mafiosa in un momento di riacquistata stabilità negli assetti organizzativi.
Ma era soprattutto il rinnovato ed insolito impegno civile di un magistrato come il dr. Chinnici, a capo di un ufficio che costituiva, per il modello processuale vigente, il centro propulsore delle indagini in un’area geografica di primaria importanza strategica per ragioni storiche e sociali, che costituiva motivo di preoccupazione per i centri di potere politico-mafioso, atteso che il dr. Chinnici si era fatto promotore di iniziative sociali volte a favorire tra i giovani e soprattutto tra gli studenti lo sviluppo di un’autentica cultura della legalità.
Ad avviso della Corte la partecipazione a dibattiti in pubblici convegni e nelle scuole depone per la presa di coscienza di quello che deve essere l’obiettivo privilegiato, innanzitutto, della scuola ed in genere di chiunque, privato o istituzione pubblica, abbia il compito di formare le coscienze dei giovani: educare per favorire la crescita di una coscienza collettiva che consenta una scelta chiara e consapevole in favore di quei valori in nome dei quali molti servitori dello stato hanno sacrificato la loro vita.
Questi valori possono sintetizzarsi in una parola, carica di pregnante significazione civile e sociale : legalità, intesa quale valore etico che deve entrare a pieno titolo non solo nella deontologia di determinate categorie professionali che più specificatamente operano nel sociale, ma nello stile di vita di qualunque cittadino.
Egli aveva colto l’importanza che in una società civile e in uno stato di diritto la scuola, in ogni ordine e grado, assume sul piano della formazione delle coscienze, che devono essere orientate verso la formazione di una autentica cultura antimafiosa, e ciò nella piena consapevolezza che la battaglia sociale per una nuova moralità pubblica, di cui solo dopo le stragi del 1992 cominciano ad intravedersi i primi segnali di successo, non può prescindere da una crescita culturale e politica complessiva della società civile e delle istituzioni che deve manifestarsi attraverso l’impegno di tutti per un profondo risanamento del tessuto istituzionale, dell’organizzazione sociale e produttiva.
Estremamente significativo appare, sul punto, riportare le
dichiarazioni rese dal teste Rizzo Aldo all’udienza del 18/1/1999:
“ … per iniziativa, lo possiamo dire, di Rocco Chinnici fu creato il centro studi Cesare Terranova, centro che lui volle creare per onorare la memoria di un altro grande magistrato, di Cesare Terranova, e lui volle essere il segretario generale; mi impose, io direi, di essere il presidente di di questo centro. Perchè Rocco Chinnici concepiva il suo impegno per la legalità, per la Giustizia e contro la mafia, non soltanto come magistrato, cioè prestando servizio nel Palazzo di Giustizia. Riteneva che la lotta contro la mafia si dovesse portare fuori dal Palazzo di Giustizia, e quando lui sosteneva questa tesi era un periodo in cui ancora non c’era quel grande canto corale che poi si è sviluppato nel tempo e che ha consentito un coinvolgimento anche di grandi masse. A quel tempo c’era una grande sostanziale indifferenza all’esterno, eppure lui con notevole impegno ebbe a sviluppare questo suo lavoro con convegni, seminari, partecipando a tavole rotonde, non soltanto a Palermo, ma anche fuori Palermo, e volle creare questo centro Cesare Terranova, che voleva essere un punto di collegamento in fondo tra la Magistratura e l’ambiente esterno di Palermo”.
Alla stregua delle considerazioni che precedono e tenuto conto del fatto che le organizzazioni mafiose si sono progressivamente imposte e radicate nel tessuto sociale soprattutto nelle aree geografiche in cui più sensibilmente si è manifestata la crisi etico-sociale delle istituzioni, non può seriamente revocarsi in dubbio che il consigliere istruttore Chinnici – soprattutto per l’interesse investigativo, di cui non aveva fatto mistero, per il ruolo dei cugini Salvo – costituiva certamente un magistrato particolarmente “pericoloso” in un momento storico in cui la tradizionale impunità delle organizzazioni mafiose poteva essere messa in discussione da una maggiore incisività delle indagini e, soprattutto, dalla presa di coscienza del loro rapporto strutturale, ora parassitario, ora organico, ora simbiotico con gruppi e centri di potere politico- economico.
La centralità del ruolo dei cugini Nino e Ignazio Salvo nella ricostruzione del movente della strage per cui è processo, come emerge univocamente dalle circostanziate dichiarazioni rese dall’imputato Brusca Giovanni, di cui si dirà più avanti, cominciava già a delinearsi nel corso delle indagini esperite nell’ambito del primo processo celebratosi nel 1984, imponendosi progressivamente, nel complessivo contesto probatorio, come una acquisizione processuale dotata di univoca valenza indiziante.
Ed infatti, come sopra anticipato, nel corso delle indagini esperite in relazione al procedimento penale scaturito dal “rapporto dei 162”, ed in particolare nel corso di quelle relative all’omicidio di Salvatore Inzerillo (11/5/1981), il consigliere istruttore Chinnici cominciò ad acquisire i primi concreti elementi che deponevano per un coinvolgimento  operativo dei cugini Nino ed Ignazio Salvo nelle vicende connesse con la
c.d. guerra di mafia scoppiata agli inizi degli anni ’80, elementi che solo successivamente, attraverso una complessa istruzione formale, ed in particolare dopo le circostanziate dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia Buscetta Tommaso e Contorno Salvatore, avrebbero consentito l’acquisizione di prove inconfutabili in ordine all’affiliazione   dei   predetti all’organizzazione   “cosa   nostra”, sì   da consentirne dapprima l’arresto con mandato in data 12/11/1984 e poi il rinvio a giudizio, con la nota sentenza-ordinanza dell’8/11/1985, dinanzi la corte di Assise di Palermo per rispondere del delitto di cui all’art.416 bis c.p., unitamente ad altri 474 imputati nell’ambito del c.d. primo maxi processo.

Le successive acquisizioni processuali avrebbero consentito di delineare lo spessore criminale dei predetti cugini, uomini d’onore della “famiglia” di Salemi, ed il loro ruolo di raccordo, nel panorama politico siciliano, quali esponenti di spicco di un importante centro di potere politico-finanziario, tra l’organizzazione “cosa nostra” ed una certa classe politica, con conseguente notevole capacità di influire – grazie al tradizionale controllo, fin dagli anni ’60, di una larga fetta dell’elettorato trapanese – sulle scelte delle istituzioni politiche regionali a precipuo vantaggio del loro gruppo finanziario.

L’interesse investigativo del dr.Chinnici per gli esattori di Salemi era ben noto negli ambienti investigativi e lo stesso magistrato non ne faceva mistero.
Nel corso della deposizione in data 3/8/1983 il dr. Borsellino dichiarava testualmente : ” Chinnici era convinto che ai fatti di mafia, almeno di un certo livello, fossero coinvolti anche gli esattori Salvo…contemporaneamente lamentava, ed era amareggiato per questo fatto che finiva con l’intralciare il rapido ed efficace svolgimento di attività, che nei confronti di costoro si agisse con i guanti gialli da parte di tutti ed anzi aggiunse nei loro confronti una volta, che se gli stessi elementi li avessero avuti nei confronti di altri, certamente si sarebbe proceduto”.
Lo stesso magistrato, nel corso della deposizione dibattimentale del 30/3/1984, dichiarava che il dr. Chinnici aveva chiesto pochi giorni prima della morte la trasmissione delle intercettazioni telefoniche allegate alla strage del generale Dalla Chiesa.
Le intercettazioni riguardavano principalmente una conversazione tra l’Ing. Lo Presti – parente acquisito dei Salvo, avendo sposato una Corleo, poi rimasto vittima di lupara bianca nel settembre del 1982 – e Buscetta Tommaso, nel corso della quale si faceva riferimento ad un incontro tra quest’ultimo e Salvo Nino.
Anche il dr. Giovanni Falcone, nel corso della deposizione dibattimentale resa all’udienza del 12/4/1984 nell’ambito del primo processo per la strage di via Pipitone Federico, aveva riferito che sul cadavere di Inzerillo Salvatore erano stati trovati appunti sui quali erano annotate le utenze telefoniche dell’ing. Lo Presti e di una società di Milano di cui era titolare Gaeta Carmelo, imputato per associazione mafiosa nel blitz di San Valentino.
Come sopra anticipato, la telefonata tra il Lo Presti e Buscetta (Roberto) conteneva la richiesta a quest’ultimo di far rientro in Italia per tentare la riappacificazione tra le varie famiglie ed arginare la guerra di mafia in corso; il Lo Presti riferiva di parlare per conto di un certo Nino poi identificato in Salvo Antonino.
Anche il Salvo Ignazio venne indiziato di associazione mafiosa sulla base di alcuni elementi emersi da conversazioni telefoniche intercettate sull’utenza del Lo Presti nelle quali si faceva riferimento a tale Giuseppe, poi identificato nel predetto Salvo Ignazio.
Il dr. Antonino Cassarà, (cfr. dep. dib. 16-20-21 marzo 1984), ucciso nell’agosto 1985, riferì nel corso di quel dibattimento sul contenuto di dette intercettazioni telefoniche e sulla stretta contiguità tra i Salvo e gli esponenti mafiosi Bontate Stefano e Inzerillo Salvatore fino alla loro morte, precisando che successivamente i cugini Salvo si erano avvicinati al gruppo vincente facente capo a Greco Michele.
Estremamente significativa appare la seguente dichiarazione del teste : “È inevitabile che gruppi finanziari dell’importanza di quello dei Salvo abbiano bisogno dell’appoggio della mafia per potere operare verificandosi una situazione qual è quella che si era verificata in quel particolare momento;…si sono verificati dei fatti particolari che sono appunto indicativi di questo avvicinamento dei Salvo al gruppo dei Greco e precisamente a Giuseppe Greco figlio di Michele”.
Il teste riferiva, altresì, che dopo la morte di Inzerillo i Salvo si erano improvvisamente allontanati in crociera per due mesi e mezzo, facendo addirittura rinviare il matrimonio di una nipote; a questo allontanamento gli inquirenti avevano attribuito il significato di un’attesa da parte dei Salvo che si ristabilisse la calma attraverso nuovi equilibri.
Il teste Di Pisa Alberto (verb. 31/3/1999), ha riferito che il dr.Chinnici era di Salemi e conosceva i Salvo, precisando che le citate intercettazioni telefoniche erano state acquisite qualche giorno prima della strage tanto che lo stesso magistrato aveva commentato con il collega Ayala la possibile esistenza di un nesso con l’attentato.
Ha inoltre confermato l’intenzione del dr. Chinnici di arrestare i Salvo
– determinazione, questa, che venne adottata solo dopo le rivelazioni di Buscetta, che li indicò come uomini d’onore – nonché l’abitudine del consigliere istruttore di esternare le sue convinzioni, tanto che ne aveva parlato con lui, con il collega Geraci e certamente con altri.
Il teste ha altresì riferito che nel mese di luglio si era sparsa la voce che era andata smarrita una richiesta di cattura per i Salvo, circostanza appresa dal collega Signorino, sicchè si era recato insieme al dr. Geraci presso l’ufficio del consigliere istruttore il quale aveva smentito la notizia, aggiungendo tuttavia che il suo ufficio avrebbe comunque accolto qualunque richiesta della Procura in tale senso.
Ulteriori conferme sono state fornire dal teste Accordino, il quale nel corso della deposizione dibattimentale (ud.1/6/1999) ha testualmente dichiarato: “Il dr. Chinnici aveva più volte manifestato, non credo nemmeno in maniera diciamo nascosta, la sua convinzione che i cugini Salvo fossero dei personaggi… dei referenti molto importanti dell’organizzazione mafiosa. Più volte aveva manifestato anche la sua convinzione che i cugini Salvo dovessero essere colpiti da provvedimenti giudiziari….…Lo ha fatto sapere non soltanto a me, ma lo diceva in maniera, diciamo, anche abbastanza aperta; anche se nell’ambiente circolava la famosa battuta che chi tocca i Salvo muore, cioè che bisognava stare molto attenti, in quanto si trattava di persone, diciamo, di una certa pericolosità…. Era convinto che i Salvo erano degli importanti referenti delle famiglie mafiose emergenti”.
Anche il teste Accordino ha riferito circa il contenuto dell’intercettazione telefonica riguardante l’ing. Lo Presti, ribadendo che il dr. Chinnici intendeva perseguire i Salvo per il reato di associazione mafiosa.
Il quadro ricostruttivo sopra delineato in ordine alla centralità del ruolo dei Salvo nella presente vicenda processuale non può prescindere dalla deposizione del col. Pellegrini, dalla quale emerge una significativa circostanza che assume una particolare rilevanza probatoria se valutata in correlazione con le dichiarazioni dell’imputato Brusca Giovanni il quale, come si avrà modo di esporre più diffusamente nel prosieguo della motivazione, ha riferito di una riunione tra Salvo Nino, Brusca Bernardo e Riina Salvatore in contrada Dammusi, nell’estate 1982.
Nel richiamare quanto sopra evidenziato in ordine alla rilevanza ed al contenuto della intercettazione telefonica più volte citata, di poco successiva all’omicidio Inzerillo, va rilevato che di quel contatto telefonico e dei relativi spunti investigativi, che avrebbero potuto gravemente compromettere il loro prestigio e la loro impunità, i Salvo dovettero essere stati informati attraverso i canali sui quali potevano contare, così come certamente dovettero temere l’adozione di provvedimenti restrittivi, tanto più che l’intendimento più volte manifestato in tale senso dal consigliere istruttore, sia pur nell’ambito dell’ambiente giudiziario, non pare fosse stato connotato dalla dovuta riservatezza.

Il teste Pellegrini (ud. 15/6/1999, ff. 35 e segg.) ha riferito che : “si premeva un pò la magistratura perché emettesse dei provvedimenti nei confronti dei cugini Salvo…..due pareri diversi: mentre il dr. Falcone e alcuni funzionari anche delle forze di Polizia erano dell’idea che occorreva ancora di più approfondire questa indagine prima dell’emissione di un provvedimento restrittivo, d’altra parte altri magistrati e tra questi anche il dr. Chinnici era dell’avviso che si sarebbe potuto emettere anche in base alle circostanze che erano emerse nel corso delle indagini”.
È evidente che l’interesse investigativo del consigliere istruttore nei confronti dei cugini Salvo risale ad epoca immediatamente precedente all’incontro tra Salvo Antonino, Riina e Brusca, essendo stato il rapporto dei 162 depositato il 13.07.1982..
E peraltro, le preoccupazioni dei Salvo risultano ulteriormente confermate dal predetto teste il quale ha riferito di un episodio occorso in epoca in cui si celebrava il primo dibattimento per l’eccidio di Via Pipitone Federico.
In relazione alle notizie riportate dalla stampa dell’epoca (cfr.articolo del Giornale di Sicilia acquisito agli atti) in ordine al contenuto delle deposizioni rese in quel processo dal dr. Cassarà e dal dr. D’Antona in ordine alla volontà del dr. Chinnici di emettere provvedimenti restrittivi nei confronti dei cugini Salvo, il teste Pellegrini ha riferito che ancor prima del dibattimento i Salvo avevano tentato inutilmente di avere un colloquio con lui, fino a quando il Salvo Antonino si era presentato nel suo ufficio lamentando che quelle indagini erano scaturite da un  interesse del Partito Comunista che, sfruttando la loro incriminazione, intendeva contrastare la D.C. in Sicilia e principalmente gli on. Lima e Gullotti; in quel contesto il Salvo aveva minacciato di sporgere querela nei confronti dell’autore del rapporto giudiziario che inopinatamente aveva inserito il suo nome e quello del cugino Ignazio.
L’episodio di cui il quotidiano siciliano si era occupato, riguardava la testimonianza del dr. Cassarà il quale aveva confermato di avere appreso dal dr. Chinnici dell’intenzione di arrestare i due esattori; questa testimonianza, non confermata da altri funzionari, tra i quali il dr. D’Antona, era stata invece pienamente avvalorata dallo stesso ufficiale, destinatario delle stesse confidenze.
Sul punto il teste ha riferito: “..a me il dott. Chinnici lo aveva riferito personalmente. Aveva detto che avrebbe sicuramente arrestato i Salvo e come lo aveva detto a me lo sapevano parecchie persone dell’entourage e anche fuori dell’entourage della Procura e dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo e allora dopo questa testimonianza, chiaramente ci fu un pò di polemica sui giornali e uscirono dei titoli nei confronti dei Salvo che furono chiamati i grandi gabellieri della Sicilia e cose varie” (cfr.ff. 45-46).

Il col Pellegrini ha inoltre deposto sul contenuto di una conversazione telefonica intercettata tra l’avv. Guarrasi e Nino Salvo – la cui bobina non è stato possibile reperire (cfr.documentazione acquisita) – riferendo testualmente alcune delle frasi più significative pronunciate dagli interlocutori a commento della deposizione del dr. Cassarà: “ricomincia l’altalena e qui è difficile che ci siano smentite. Cosa ci vuole a fare questa puntatina? A me nessuno mi ha parlato, mi ha parlato, ma solo il defunto. però io lo…spavento…no spavento, lo schianto, perché faccio bile dentro di me………..Ti pare giusto? continua a dare timpulate a noialtri che gliel’abbiamo data prima di lui.”
L’importanza del ruolo dei cugini Salvo nel contesto politico-mafioso dell’epoca risulta conclamata univocamente dalle  concordi testimonianze di ufficiali di p.g. e collaboratori di giustizia, con particolare riferimento a quelle rese dal Di Carlo, in ordine alla consapevolezza dei Salvo circa le indagini condotte nei loro confronti  dal dr. Chinnici, e dal Brusca che ne ha delineato il ruolo nella fase di ideazione dell’attentato.
I collaboratori escussi hanno riferito dell’affiliazione dei Salvo a “cosa nostra”, sottolineandone anche lo stretto rapporto politico con certi settori della D.C. siciliana facenti capo agli onorevoli Lima e Gullotti.

 

https://mafie.blogautore.repubblica.it/