Giovanni Brusca e il piano criminale

Uomo d’onore della famiglia di S.Giuseppe Jato e figlio di uno dei maggiori esponenti di “cosa nostra”, venne affiliato formalmente nel 1975 con un “padrino” prestigioso, Riina Salvatore, legato da forti vincoli di amicizia con il padre Bernardo, che tradizionalmente ne era stato uno dei più fedeli alleati tanto che dopo il trasferimento in Brasile del capomandamento Antonino Salamone, aveva assunto la reggenza prima quale sostituto e poi quale capo mandamento a tutti gli effetti del territorio di San Giuseppe Jato.
L’esame della sua condotta, connotata da spiccate attitudini operative, consente di delinearne uno spessore criminale tra i più elevati all’interno dell’organizzazione, in seno alla quale ha progressivamente assunto un prestigio sempre maggiore, dapprima come semplice uomo d’onore alle dirette dipendenze di Riina e successivamente, a seguito dell’arresto del padre Bernardo, come sostituto di quest’ultimo il quale, nel 1982, dopo l’eliminazione degli avversari interni, aveva assunto dapprima la carica di “rappresentante” dell’anzidetta “famiglia”, succedendo a Scaglione Salvatore e nel 1983 quella di capomandamento.
La sua vicinanza a Riina, favorita dai vincoli di sangue con il padre Bernardo, elemento di spicco dell’organizzazione, a sua volta legato al primo da una solidissima amicizia, ha consentito al Brusca Giovanni di acquisire un rilevante patrimonio di conoscenze che gli ha consentito di ricostruire le fasi e le ragioni della c.d. guerra di mafia alla quale partecipò attivamente, nonché i rapporti tra l’organizzazione e centri di potere politico ed economico, tra i quali i Salvo.
È appena il caso di ricordare che la vicinanza al Riina si estrinsecava anche in una assidua frequentazione in quanto il Brusca accompagnava il padre “per tutta la Sicilia; stessa cosa per Salvatore Riina. Anzi per un periodo più per Riina che per mio padre”(cfr.f.23,ud.1/3/99).
Peraltro anche il fratello Emanuele nonché uno zio materno, un cugino del padre, Mario, ed il di lui figlio Calogero avevano assunto la qualità di uomini d’onore.
[…]  Con riferimento alla strage per cui è processo ha precisato che nella prima fase, nel corso dei colloqui investigativi, si era limitato a dare indicazioni sommarie (“No, solo sommariamente, cioè: “Sono responsabile e posso parlare della strage Chinnici”).

[…] Passando ora alla specifica disamina della ricostruzione della fase esecutiva dell’attentato fornita dal Brusca e ricollegandoci a quanto sopra evidenziato in ordine all’abbandono dell’originario progetto esecutivo per l’inadeguatezza delle vie di fuga e degli appoggi logistici nella zona di Salemi (ff.7-8,ud.2/3), va sottolineato che il Brusca ha ipotizzato che il temporaneo accantonamento dell’esecuzione della strage sia da ascrivere al fatto che si era in piena guerra di mafia e la presenza di qualche “scappato” in zona talvolta imponeva repentine modifiche di piani criminosi, non escludendo, peraltro, che possa avervi contribuito l’esecuzione della strage di via Isidoro Carini in danno del prefetto Dalla Chiesa.
Il Brusca ha riferito che la ripresa operativa del progetto criminoso risale al maggio 1983 e comunque a circa 15-20 giorni prima della strage, senza essere tuttavia in grado di fornire indicazioni temporali precise (“ non glielo so dire con precisione comunque un pò di tempo prima”) allorchè gli venne affidato dal Riina o dal padre l’incarico di reperire un vetro blindato per effettuare sullo stesso una prova di sfondamento.
Dopo avere personalmente verificato, unitamente a Madonia Antonino, la consistenza di tale tipo di vetro, esaminando presso il fondo Pipitone dei Galatolo quelli montati sull’autovettura blindata Alfa 6, che i Salvo avevano a tal fine messo temporaneamente a loro disposizione, il primo si assunse l’incarico di reperirne uno tramite la “famiglia” napoletana dei Nuvoletta.
Non è stato in grado di precisare se fu uno degli affiliati a tale gruppo mafioso che provvide a recapitare il vetro ovvero se di ciò ebbe ad occuparsi lo stesso Madonia, recandosi a prelevarlo personalmente nel napoletano e portandolo poi a S.Giuseppe Jato, dove furono eseguite le prove.
Insieme al Madonia e al Di Maggio, che aveva frattanto predisposto un telaio per appoggiare a terra il vetro, si era recato presso una cava abusiva di proprietà della famiglia Di Maggio, sita in territorio di San Giuseppe Jato e con un fucile Kalashnikov avevano effettuato prove di sfondamento con esito positivo.
Subito dopo si erano trasferiti, ad eccezione del Madonia, in contrada Dammusi dove il padre Bernardo, alla presenza anche di Salvatore Lazio, aveva distrutto definitivamente il vetro, colpendolo con un fucile di grosso calibro.
Trascorsi alcuni giorni il progetto criminoso subì delle modifiche nelle modalità esecutive (ff.23-24, ud.2/3) e si era cominciato a parlare di auto-bomba.
Il Brusca ha attribuito l’ideazione di tale tipo di attentato a Madonia Antonino, previo concerto con il Riina e con il padre Bernardo, prendendo spunto da analoghi fatti commessi nel napoletano.
Proseguendo nel suo racconto il collaboratore ha riferito che da quel momento lo scambio di informazioni era divenuto continuo ed egli aveva ricevuto l’incarico di reperire l’esplosivo, di procurare una bombola di gas da riempire con l’esplosivo e di portare il tutto a Palermo.
Frattanto, qualche giorno prima che gli venisse assegnato quell’incarico, aveva assistito alla prove di funzionamento di un telecomando in contrada Dammusi ove a tal fine erano giunti Madonia Antonino, Ganci Raffaele e Gambino Giuseppe Giacomo; in quell’occasione era stato il Madonia a portare un telecomando dello stesso tipo di quello poi utilizzato per la strage di Capaci e normalmente impiegato nell’aeromodellismo.
Il Brusca ha così descritto le caratteristiche tecniche e strutturali del congegno ricetrasmittente (ud.2.3.1999.f.29):
“Dunque, la ricevente era combinata in una cassetta… una scatoletta di legno, piccola scatoletta di legno larga dieci – quindici centimetri, dodici, quadrato o rettangolare leggermente, alta sette – otto – nove – dieci centimetri, ma non più di tanto, dove c’era montato il servo, che sarebbe un motorino che faceva girare una levetta per poi andare a fare il contatto con il detonatore, un chiodo per fare il… il falso conta… cioè il falso contatto, per poi fare esplodere il telecomando; poi c’erano le batterie sia per fare funzionare il servo sia per alimentare… cioè, per dare la carica al chiodo e fare poi il contatto per poi dare l’impulso al… al detonatore elettrico e scoppiare. E credo che abbia… anche su questo ho fatto pure uno schizzetto su… su un pezzo di carta.
Poi c’era… e con l’antenna, era un filo… un filo… proprio un filo di colore nero, se non ricordo male, proprio finissimo che faceva da antenna, che poi siccome l’ho montato io questo apparecchio usciva dallo sportello e l’ho fatto scendere nel… nel correntino della… della 126.
.. la trasmittente era un piccolo apparecchio… cioè un piccolo apparecchio, un… anche una specie di scatoletta con due… due levette e un’antenna centrale, se non ricordo male di colore argento o nero – argento. Sono passati tantissimi anni, quindi… però in linea di massima era colore nero – argento e anche su questo ho fatto pure un altro… in linea di massima uno schizzetto”.

Ha inoltre precisato che per effettuare questa prova il Madonia e Lazio Salvatore si erano allontanati a circa trecento metri di distanza, recandosi nella proprietà limitrofa di tale Campione, mentre gli altri presenti, e cioè il Gambino, Ganci Raffaele e suo padre Bernardo, avevano il compito di verificare se il detonatore, posto a debita distanza dalla ricevente e che lui stesso provvedeva a montare e smontare, esplodesse a seguito dell’impulso proveniente dalla trasmittente.
Alla specifica domanda del P.M. se tutti i presenti fossero perfettamente consapevoli che quel telecomando sarebbe stato utilizzato per l’attentato al dr. Chinnici, il Brusca ha così risposto (ff. 36-37- ud.2/3) :
“Al centouno per cento che era destinato al dottor Chinnici”.
P.M. – Lei era presente, sentì anche fare ai presenti discussioni con riferimento al dottore Chinnici? Cioè, sentì proprio dei discorsi specifici in questo senso?
BRUSCA: – Dottoressa, non c’era ogni volta bisogno di far il nome del dottor Chinnici. Bastava una volta, due volte, quindi poi il progetto era quello e non si parlava più, non c’era bisogno più di fare il… il nome.
P.M. : – E al momento di questa prova qualcuno dei presenti aveva già previsto in quale luogo si sarebbe realizzato l’attentato?
BRUSCA : – Sì, si sapeva che già era previsto, cioè davanti la porta, quando lui usciva da casa, .. a Palermo.; cioè davanti l’abitazione, cioè la porta dove lui usciva, la portineria. E c’era chi aveva studiato le abitudini, cioè i movimenti, quando entrava, quando usciva.
P.M.: – E lei come l’ha appreso questo fatto?
BRUSCA : – L’ho appreso perchè poi si è parlato che si stava preparando questo attentato a Palermo e già c’era tutto pronto, si conoscevano le abitudini. Però io non sapevo sino alla mattina quando sono arrivato, non conoscevo le altre persone che erano dedicati a questo tipo di attività.
Ha inoltre precisato che fino al momento del trasporto dell’esplosivo a Palermo, le persone che più frequentemente si recavano a San Giuseppe Jato, “per questo e per altri fatti”, erano Raffaele Ganci, Giuseppe Giacomo Gambino e Antonino Madonia, “quindi per i preparativi poi se la sbrigavano loro, cioè delegare o chiedere altri aiuti, ognuno poi metteva le sue persone a disposizione”;
Quanto al reperimento dell’esplosivo, il collaboratore ha dichiarato che la richiesta era stata fatta dallo zio Brusca Mariuccio ad un parente, tale Piediscalzi Franco, fuochino presso la cava INCO di Modesto Giuseppe, persona a disposizione già da tempo dell’organizzazione mafiosa e che la consegna gli era stata fatta personalmente dal Piediscalzi presso la cava; l’esplosivo era stato poi custodito per un paio di giorni in contrada Dammusi.
A specifica domanda ha precisato che del quantitativo necessario “si parlò in famiglia” e “l’argomento come prima cosa l’affrontò Mariuccio Brusca…noi abbiamo chiesto un bel pò di polvere e ce ne ha dato un bel pò”.
Quanto poi al tipo di esplosivo, il Brusca ha chiarito che non ne fu richiesto uno specifico, ma essendo il Piediscalzi un “fuochino” aveva la possibilità “nel momento in cui lo collocava, non lo collocava tutto, ne toglieva una parte e lo conservava.. cioè lo detraeva dall’esplosione che lui faceva in generale”
L’esplosivo consegnato in due sacchetti del tipo di quelli utilizzati per il sale chimico presentava le seguenti caratteristiche:
BRUSCA :“ No, era tipo granuloso, un bianco leggermente scuro; .. non rotondo, ma era un pò sformato, non era proprio rotondo a palline, però granuloso. Credo che ho fatto sul punto, un paio di mesi fa, tre mesi fa, con dei consulenti da parte vostra, sul punto ho specificato nel dettaglio il tipo di esplosivo che io ho maneggiato per Capaci.
P.M. : – Per Capaci?
BRUSCA : – … siccome per Capaci sono stati adoperati tipo di esplosivo e siccome stesso materiale che è adoperato per il dottor Chinnici, è stato adoperato per Capaci, quindi siccome in quella occasione sono stati adoperati diversi qualità, però una era quella del dottor Chinnici, in parte era uguale a quella del dottor Falcone. O perlomeno la fonte era la stessa, poi non so se il… quella di allora era la stessa ditta fornitrice che… che il Piediscalzi ci aveva dato.”
In ordina alla fase di confezionamento e trasporto dell’esplosivo, il
Brusca ha riferito quanto segue.
La quantità contenuta nei sacchetti era all’incirca di 40-50-60 chilogrammi.
Egli aveva richiesto al Di Maggio di costruire una scatola in ferro con un’apertura nella parte superiore, fornendogli anche le dimensioni – preventivamente concordate con Madonia Antonino – e facendogli presente che avrebbe dovuto essere collocata nel portabagagli di una FIAT 126.
Frattanto aveva reperito in un garage di contrada Dammusi una bombola di gas e dopo averne svitato il rubinetto, collaborato dal Di Maggio all’interno dell’officina meccanica di quest’ultimo, aveva provveduto a riempire la bombola, collocando la rimanente parte di esplosivo in due scatole di “aspor”, e sistemando il tutto (bombola, scatole e scatola metallica) nel portabagagli dell’autovettura Golf del Di Maggio.
Nelle prime ore del pomeriggio del giorno antecedente la strage, messosi alla guida della predetta autovettura, preceduto dal Di Maggio che gli batteva la strada a bordo della FIAT UNO intestata al fratello Giuseppe, si erano diretto a Palermo, recandosi in una traversa della via Ammiraglio Rizzo, davanti all’esercizio commerciale “Gammicchia gomme”, dove aveva appuntamento con il Madonia.
A quel punto il DI Maggio, dopo avere offerto la propria disponibilità a rimanere qualora la sua presenza fosse stata utile, si era allontanato; subito dopo il Brusca a bordo della GOLF ed il Madonia a bordo di una FIAT UNO si erano introdotti in uno scantinato, sito nelle vicinanze in una traversa della via Ammiraglio Rizzo, all’interno del quale aveva notato una FIAT 126 di colore “verde oliva” poi utilizzata per compiere l’attentato; non ricordava se in quell’occasione fosse presente anche Ganci Calogero o se fosse sopraggiunto dopo.
Erano, quindi, iniziate le operazioni di preparazione e collocazione
dell’ordigno esplosivo, che il collaboratore ha così descritto:
“ BRUSCA: – Dunque, da quel momento in poi subito ci siamo messi in moto per cominciare a preparare, cioè passare i fili, montare tutta la ricevente, posizionare la bombola dell’esplosivo.
P.M. : – Cominciamo con il posizionamento dell’esplosivo. Dove l’avete collocato e se avete utilizzato determinati accorgimenti.
BRUSCA: – Dunque, mi ricordo che abbiamo messo prima la bombola di gas, poi questa scatola di cart… questa scatola di ferro e nel mezzo dei due, di laterale, abbiamo messo del cartone non farli sbattere, cioè non fargli fare attrito eventualmente qualche imprevisto strada facendo.
P.M. : – Avete tolto la ruota di scorta?
BRUSCA : – Non me lo ricordo, dottoressa, non… è un particolare che non… non mi ricordo.
P.M. – Che altra attività avete fatto, compiuto sulla macchina oltre a collocare l’esplosivo?
BRUSCA : – Poi abbiamo passato… cioè dovevamo passare i fili… i fili dall’interno della macchina; abbiamo dovuto passare il detonato… cioè i fili del detonatore che si doveva andare a posizionare dentro il cofano della macchina, cioè dovevamo prendere il detonatore e poi infilarlo dentro…
P.M. : – Chi ve li aveva forniti i detonatori?
BRUSCA: – Sempre Franco Piediscalzi, sempre la stessa ditta. Quindi abbiamo perso un bel pò di tempo per potere fare tutto questo tipo di lavoro. La ricevente l’abbiamo collocata proprio sotto il seggiolino della macchina.
P.M.: – Seggiolino… BRUSCA: – Guida.
P.M.: – … lato guida? BRUSCA : – Lato guida, sì.
P.M.: – Avete collocato anche un’antenna?
BRUSCA: – L’antenna era quella a filino, ricoperta di plastica, che poi l’abbiamo fatto fuoriuscire per quattro – cinque centimetri tra sportello e correntino della macchina.”
Dopo avere precisato, a specifica domanda, che il detonatore, anch’esso fornito dal Piediscalzi, era stato collocato la mattina successiva dopo una breve sosta, prima di posteggiare l’auto dinanzi allo stabile del Dott. Chinnici – attività, questa, di cui si parlerà più avanti – il Brusca ha riferito che durante la preparazione dell’auto-bomba curata da lui e dal Madonia era presente anche Ganci Calogero, pur non  ricordando se si trovasse già all’interno del garage o fosse sopraggiunto dopo il loro arrivo, mentre “Enzo Galatolo andava e veniva”, portando acqua, attrezzi ed altro materiale necessario; non ricordava se in quella circostanza avesse notato la presenza di Anzelmo Paolo,  certamente visto successivamente.
Tutta l’attività “per assemblare dentro la macchina i pezzi” li aveva impegnatati per 4-5-6 ore ed era stata ultimata “tardissimo”, senza essere tuttavia in grado di precisare l’orario esatto.
Ricordava che subito dopo insieme al Madonia aveva rubato le targhe di un’auto che l’indomani mattina, prima di uscire dal garage, avevano montato sulla FIAT 126; le targhe erano state asportate nel corso della notte(“era notte fonda”) da un’altra FIAT 126 posteggiata in una traversa della via Sampolo di fronte ad alcuni negozi, precisando che nei pressi vi era un panificio ed un Hotel.
Subito dopo, insieme al Madonia, erano andati a dormire per qualche ora in un appartamento sito in via D’Amelio, curando di mettere la sveglia per le ore 5,30 ed attivando altresì la sveglia telefonica.
A specifica domanda se oltre alle prove di funzionamento del telecomando in c.da Dammusi ne avessero effettuato altre in luoghi diversi ed in particolare nello scantinato, dichiarava testualmente (ff.65- 66) :
BRUSCA : – Non me lo ricordo. Cioè, nello scantinato sì, il funzionamento dentro lo scantinato cioè lo abbiamo fatto qualche prova, se funzionava, c’era qualche .. cioè qualche stupida… no stupidaggine, qualche cosa che non funzionava, ma era cosa momentanea. Cioè, abbiamo fatto le prove, ma subito li abbiamo…
P.M.: – E dopo queste prove all’interno dello scantinato lei ricorda se avete effettuato altre prove in altri posti prima proprio dell’attentato?
BRUSCA – Dottoressa, non me lo ricordo, cioè proprio…
P.M. : – Ricorda se nel corso della notte, prima o dopo il furto delle targhe, lei si è nuovamente recato a fondo Pipitone?
BRUSCA : – Dottoressa, non me lo ricordo se io sia andato in fondo Pipitone, ..non sono in condizioni nè di escludere nè di confermarlo, perchè non ho un ricordo ben preciso.”
Ha inoltre riferito che la mattina della strage insieme al Madonia, a bordo della Fiat Uno, si spostarono dall’appartamento di via D’Amelio – dove la sera precedente aveva posteggiato la Golf – al garage in cui era custodita la FIAT 126, precisando che Galatolo Vincenzo aveva aperto la saracinesca.
Dopo avere montato le targhe rubate si era messo alla guida della FIAT 126, mentre il Madonia con la FIAT Uno aveva fatto da battistrada fino alla via Pipitone Federico.
Giunto sulla strada, aveva avuto modo di vedere a circa cento metri di distanza, all’altezza della Fiera del Mediterraneo, il Gambino Giacomo Giuseppe e Ganci Raffaele nella via Ammiraglio Rizzo, a bordo di un’autovettura, i quali si erano subito allontanati certamente per perlustrare la strada.
Poco prima di arrivare nella via Pipitone Federico si era fermato, era sceso dall’auto, e dopo avere aperto il cofano aveva inserito il detonatore nella bombola del gas; ripresa la marcia, giunto nel luogo della strage, aveva notato Ganci Calogero e Anzelmo Francesco Paolo, all’interno di un’autovettura bianca, probabilmente una FIAT 127 o una GOLF, che stavano liberando il posteggio dinanzi all’abitazione del dr. Chinnici per far posto alla FIAT 126.

Secondo le istruzioni ricevute dal Madonia, aveva quindi provveduto ad occupare il posto lasciato libero, avendo cura di posteggiare l’auto- bomba in posizione orizzontale e cioè parallela rispetto al marciapiede, lasciando altresì uno spazio davanti la parte anteriore dell’autovettura e si era trattenuto all’interno dell’abitacolo per effettuare alcune operazioni.

All’udienza del 2/3/1999 il Brusca ha così descritto la fase sopra menzionata:
BRUSCA – Esce Calogero Ganci ed entro io. Entro io e posiziono la macchina, già stabilito, in modo che il dottor Chinnici quando  esce dal portone esca proprio davanti alla 126. Cioè, lascio proprio  lo spazio, perchè c’erano due piante, cioè due vasi con delle piante posteggiati davanti la portineria e io posiziono la 126 in maniera che il dottor Chinnici appena usciva di casa non doveva svirgolare fra le macchine. Cioè, direttamente dalla portineria si andava a mettere in macchina, cioè proprio in modo che passasse proprio davanti alla 126. Io esco, chiudo… cioè, esco con molta cautela, perché c’era già tutto azionato. L’unica cosa che faccio è che quando scendo dalla macchina alzo il sediolino; siccome preventivamente avevamo preso… dove c’era il chiodo avevamo messo un tubicino di plastica per ricoprire il chiodo di ferro in modo che se succedeva qualche falso contatto, qualche cosa, il contatto, cioè la levetta che avevamo costruito antecedentemente non andava a fare contatto o se si muoveva c’era l’isolante, che era questo tubicino di ferro. Alzo l’isolante di gomma, cioè che sarebbe come lo spessore era questo, il tubicino che si adoperava per i motorini per la benzina, non so  se lei ne ha presente. Dopodichè io alzo il sediolino, tolgo questa custodia, alzo il sediolino, prendo l’antenna, la faccio fuoriuscire dalla macchina tre – quattro – cinque centimetri proprio sotto lo sportello; chiudo lo sportello con molta calma, lo appoggio e poi per chiuderlo definitivamente con… di dietro cioè lo spingo e siccome l’avevo toccato con le mani, cioè, faccio in modo che tolgo pure le impronte digitali, perchè non sapevo se usciva, se non riusciva tutto. E avevo un pezza per non farla vedere, che se qualcuno possibilmente affacciava dal balcone non la faccio notare. Dopodichè scendo da questa macchina, la chiudo regolarmente e me ne vado. Me ne vado… in un primo tempo ricordavo che me n’ero andato a piedi verso via Libertà.
P.M. : – Come l’ha chiusa la… lo sportello…?
BRUSCA : – L’occhietto… cioè, l’occhiello l’ho appoggiato e poi…
P.M. : – Poggiato, perfetto.
BRUSCA : – … e l’ho spinto con il di dietro, cioè in maniera da
chiudersi definitivamente……Per non dargli lo botto.”
Sceso dall’auto, dopo avere percorso 30-40-50 metri fino al luogo in cui era posteggiato il camion ed in cui notò la presenza del Ferrante, era salito sull’auto del Ganci e dell’Anzelmo che lo avevano accompagnato “verso la via Libertà” (f.80) e più precisamente nelle immediate vicinanze del camion, nei pressi del quale era posteggiata la FIAT Uno prima condotta dal Madonia nella fase di trasferimento dal garage al luogo dell’attentato.
Era quindi salito su tale ultima autovettura, a bordo della quale si trovava ancora il Madonia, il quale subito si era collocato sul cassone del camion, probabilmente un modello FIAT 110, alla guida del quale aveva riconosciuto Giovan Battista Ferrante.
Sul punto Brusca ha precisato che in realtà quella era la prima volta che vedeva il Ferrante, uomo d’onore che non conosceva e che rivide successivamente, riconoscendolo, in occasione dell’omicidio di Puccio Pietro.
Precisava che il camion era posteggiato nella via Pipitone Federico, con direzione di marcia verso la chiesa di S.Michele, a circa cento- centocinquanta – duecento metri dalla FIAT 126 – rispetto alla quale era collocato più a sud e cioè più vicino alla via Libertà – sul lato opposto rispetto a quello dove era posteggiata l’auto-bomba ed era accostato ad un’impalcatura e distaccato rispetto al marciapiede.
Sul cassone del camion vi erano bidoni di calce e materiale per l’edilizia ed il Madonia era vestito da muratore, con canottiera e pantaloncini corti.
Per evitare di destare sospetti sostando a bordo dell’autovettura aveva effettuato dei giri di perlustrazione nella zona, nel corso dei quali aveva notato la presenza di altri uomini d’onore che effettuavano lo stesso servizio: Pino Greco detto “Scarpa” assieme a Vincenzo Puccio a bordo di una SIMCA Talbot ed Enzo Galatolo a bordo di una Lancia Beta coupè di colore azzurro.
Ad un certo punto aveva notato l’arrivo delle auto del servizio di scorta al Dott. Chinnici ed i Carabinieri avevano provveduto a chiudere la strada bloccando il traffico nelle due traverse che, a monte ed a valle, intersecavano quel tratto della Via Pipitone Federico dove era ubicata l’abitazione del giudice.
A quel punto aveva posteggiato la FIAT Uno dietro al camion e il Madonia, che era già salito sul camion portando con sè il telecomando custodito all’interno di una busta di plastica, si era posto sul cassone dietro la cabina con le mani appoggiate sulla c.d. “forca”, aveva premuto il telecomando ed “era successo il finimondo”.
Ha precisato che il Madonia si era collocato a ridosso della cabina la cui altezza consentiva al primo di sporgere con il capo oltre il tettuccio e di avere quindi una comoda visuale.
Il telecomando aveva le dimensioni di circa venti centimetri ed un’altezza di circa 5-6-7 centimetri, ed era del tipo di quello utilizzato per gli impulsi a distanza delle macchinette-giocattolo, con le levette, di colore argento metallizzato.
Ha inoltre riferito di avere notato il Madonia nell’atto di richiudere l’antenna del telecomando, mentre il camion si era mosso repentinamente imboccando una traversa sulla destra e dopo avere percorso pochi metri aveva effettuato una sosta per consentire al Madonia di scendere e di salire sull’auto guidata dallo stesso Brusca.
Giunti in via D’Amelio, il Brusca aveva posteggiato la FIAT Uno e si era recato con la propria Golf presso uno studio notarile sito nei pressi del palazzo di giustizia per stipulare un atto; dichiarava di non ricordare il nome del notaio precisando tuttavia di avere appreso frattanto che era morto suicida.
Il Madonia era poi salito su un’Alfa Beta coupé, che il Brusca non è stato in grado di precisare se fosse quella del Galatolo o quella dello stesso Madonia, possedendo entrambi un’autovettura dello stesso tipo.

Il quadro ricostruttivo della fase esecutiva della strage offerto dal Brusca appare qualificato, ad avviso della corte, da indubbi connotati di originalità e specificità che depongono per la provenienza delle informazioni fornite da un patrimonio di conoscenze proprio del collaboratore, non essendo ravvisabile, anche alla luce della ricostruzione fornita dagli altri coimputati, di cui si dirà più avanti, né una pedissequa ripetitività né un mero recepimento manipolatorio del racconto degli altri protagonisti della stessa fase.
Quanto, poi, all’attendibilità intrinseca, sub specie della coerenza e della costanza delle dichiarazioni, va innanzitutto rilevato che molte delle contestazioni mosse dalla difesa in sede di controesame devono ritenersi ampiamente superate alla luce dei plausibili chiarimenti forniti dallo stesso imputato, con particolare riferimento ai seguenti punti(cfr.ud.3/3).
[…]
Va peraltro rilevato che nel verbale in data 24/10/1997(f.20) il Brusca aveva riferito della presenza del Galatolo indicandolo come colui che aveva aperto la saracinesca.
Il 13/8/1996, inoltre, a distanza di due giorni dal primo interrogatorio, Brusca, mentre parlava di altri fatti, aveva riferito spontaneamente: “A proposito della strage Chinnici ho ricordato ieri sera che probabilmente ho visto anche Enzo Galatolo all’interno dello scantinato, di cui ho già detto, il giorno della consumazione della strage. Se non ricordo male entrò per portarci dell’acqua e subito dopo andò via. Ho rivisto il Galatolo anche l’indomani mattina nella zona in cui fu consumata la strage. Preciso di averlo visto con una Lancia Beta Coupè”. (cfr.f.50, ud.3/3/1999 e verbali acquisiti ex art.503 c.p.p.)
Alla domanda della difesa se fosse rimasto a dormire in via D’Amelio nel “covo” di Antonino Madonia o fosse andato nel fondo Pipitone, il Brusca ha ribadito di avere dormito nella casa di Madonia e di non ricordare di essere andato nel fondo Pipitone, pur affermando di non poterlo escludere.(“ Non sono neppure in condizioni di poterlo escludere perchè non me lo ricordo… non lo escludo perchè non me lo ricordo. Io escludo una cosa quando sono sicuro”).
Anche in ordine alle prove del telecomando ed in particolare alla domanda se oltre che in contrada Dammusi fosse stato provato altre volte, il Brusca ha ribadito testualmente :
“ Io ho detto, ho dichiarato che mi ricordo solo quello in contrada Dammusi, poi  dentro  lo  scantinato  abbiamo  fatto  qualche  prova così, momentanea. In altri posti non mi ricordo. Non lo posso neanche
escludere perchè non me lo ricordo”.
Nel corso del controesame, con riferimento al furto delle targhe ed alla sostituzione di quelle originarie della Fiat 126 con quelle sottratte nel corso della notte(nelle prime ore del 29 luglio) unitamente al Madonia, la difesa ha contestato il contenuto del verbale in data 11 agosto 1996 dal quale risulta (pag.13) che “a questo punto il Pubblico Ministero formula altre domande a specificazione di quanto sin qui dichiarato e lo stesso risponde….Non è in grado di riferire chi si era occupato della 126 nè se ci fosse stata una sostituzione di targhe nè il modello delle targhe montate sopra”, ciò che contrasta con quanto dichiarato sia in dibattimento che nel corso dell’interrogatorio reso al P.M. il 24 ottobre ’97, e cioè di essersi attivato unitamente ad Antonino Madonia prima per il furto delle targhe e poi la loro sostituzione.
Invitato a fornire chiarimenti, il Brusca ha dichiarato :
“ Signor Presidente, che non ho rubato la 126, non so chi l’ha rubata; non mi ricordo delle targhe, non mi ricordavo del furto delle targhe. A forza poi di ricordare piccoli particolari, mi sono ricordato di avere rubato le targhe assieme ad Antonino Madonia e della sostituzione della macchina… cioè della macchina, delle… delle targhe prima di uscire dal garage. Questo particolare. Tutto il resto, 126, che targhe aveva, non me li ricordo, Signor Presidente. Credo che siano quelle vecchie, però non me lo ricordo con… con certezza”.
Nel corso del controesame, su sollecitazione della difesa, il Brusca, confermando quanto dichiarato nel corso dell’udienza precedente, ha ribadito che subito dopo la collocazione della FIAT 126 si diresse verso la chiesa di S.Michele, ammettendo di avere inizialmente (verb.11/8/1996) fornito una versione parzialmente diversa: […]
A quel punto la difesa ha contestato all’imputato il verbale in data 13/6/1997 dal quale risulta che il Brusca aveva dichiarato testualmente: “… essendo che stiamo fermi in via Pipitone Federico facciamo ogni tanto qualche giro per non stare fermi sempre in un punto, io e Antonino Madonia”.
Invitato a precisare se i giri intorno all’isolato li avesse fatti da solo, il
Brusca ha dichiarato : “ Signor Presidente, io li ho fatti da solo. Ripeto, non escluso che ne abbia fatto qualcuno con Antonino Madonia, ma li ho fatti da solo e facevo qualche giro; passavo dalla macchina, cioè dov’era posteggiata la macchina, tenevo sempre sotto controllo la macchina, non mi muovevo da là. Cioè, io se facevo… il tempo di girare l’angolo, però ero sempre là, sulla zona, non è che mi allontanavo o mi spostavo che me ne andavo al Politeama o me ne andavo a piazza Leone. Il tempo di fare la traversa e giravo, cioè non stavo fermo. Ogni dieci minuti – un quarto d’ora mettevo in moto e facevo un giretto, ma era… in sostanza ero sempre là.”
Quanto all’orario di arrivo del camion, il collaboratore ha dichiarato : BRUSCA “Il camion non l’ho visto arrivare. Gli posso dire che il camion era lì, però se era arrivato prima, un’ora, due ore, tre ore, cinque ore, non… se è pernottato là…
PRESIDENTE: – Quindi, lei lo ha trovato lì il camion.
BRUSCA : – Sì, me lo ri… e quando sono sceso dalla macchina con i due l’ho trovato lì.
AVV. IMPELLIZZERI: – E a che ora l’ha visto?
BRUSCA: – Avvocato, io sono arrivato intorno alle sei e mezza – sette meno un quarto – sette meno venti, non… non è che mi sono puntato l’orologio. Sicuramente prima delle sette che cominciasse il traffico, che aprissero le portinerie, che prima di aprire le portinerie noi dovevamo essere già sul posto, che di solito le portinerie aprono alle sette – sette e un quarto – sette e dieci. Almeno questo mi fu stato detto.
AVV. IMPELLIZZERI: – Quindi quando voi facevate i giri attorno all’isolato il camion era lì?
BRUSCA: – Quando io facevo i giri e dopo che sono sceso dalla macchina con Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci il camion l’ho trovato lì. Dopodichè io mi sono messo in macchina nella macchina di Antonino Madonia e ho fatto quell’attività che poco fa ho detto.
Altro punto di contrasto con precedenti dichiarazioni, oggetto di specifica contestazione da parte della difesa, riguarda l’autovettura con la quale il Madonia ed il Brusca si sarebbero allontanati dalla via Pipitone Federico subito dopo l’esplosione per raggiungere via D’Amelio.

Il collaboratore ha infatti ribadito di avere raggiunto la Via D’Amelio con il Madonia a bordo di una sola autovettura, la FIAT uno più volte citata, mentre nel corso dell’interrogatorio reso il 24 ottobre ’97 aveva riferito della presenza di un’altra macchina con la quale sarebbe andato via Antonino Madonia.
A pag. 29 del citato verbale, infatti, il Brusca aveva dichiarato: “Dottoressa, io sono rimasto sul punto cento per cento e tanto è vero che io era d’accordo con Antonino Madonia che appena il Ferrante fra un pò di… cioè appena si fa l’attentato Antonino Madonia scende dal camion,  lo prendo io e poi gli consegno la macchina che Enzo Galatolo aveva portato per mettersi a sua disposizione. Io e Antonino. Io con la Fiat Uno ed Antonino Madonia con la Lancia Beta ci rechiamo in via D’Amelio. Io posteggio la Fiat Uno e subito me ne vado; poi non so loro cosa hanno fatto e cosa non hanno fatto”.
Alla contestazione Brusca ha fornito la seguente risposta :
“ Sì, ho capito. Io ho visto… no, l’ho chiarito ieri. Ho visto la presenza di Enzo Galatolo. Siccome mi ricordavo che Enzo Galatolo, avevo pensato che se n’era andato con Antonino Madonia, ma invece Antonino Madonia se n’è andato con me, mi ricordo che se n’è andato con me. Siamo arrivati in via D’Amelio, la presenza di Enzo Galatolo sul posto l’ha visto, la… era con la Lancia Beta e pensavo che se n’era andato con Antonino Madonia, cioè Enzo Galatolo e Antonino Madonia, invece no, ricordo che Antonino Madonia se n’è andato con me. Siamo arrivati sul posto, abbiamo posteggiato la macchina; io ho preso la mia macchina e me ne sono andato, cioè la mia, quella di Di Maggio che era una Golf, che poi ho dato a mio fratello Emanuele e se n’è andato, che io sono rimasto con la mia macchina, con la macchina di… di mio fratello, dopodichè ci siamo divisi, cioè ognuno per la sua strada.”””””
Va peraltro rilevato che la versione fornita in dibattimento è conforme a quella resa in precedenza al GIP nell’interrogatorio in data 13/6/1997, nel corso del quale aveva riferito di avere raggiunto la via D’Amelio insieme al Madonia a bordo della FIAT Uno.
Successivamente, il ricordo di avere visto la Lancia Beta nel luogo della strage aveva fuorviato la sua ricostruzione mnemonica inducendolo a ritenere che il Madonia si fosse servito di quell’autovettura per allontanarsi dalla via Pipitone Federico ( “successivamente avevo fatto questa valutazione. La Lancia c’è, l’ho visto sul territorio e avevo pensato che se ne stava andando Antonino Madonia con Enzo Galatolo; invece ricordo che Antonino Madonia se n’è andato con me e la Lancia c’è,  Enzo Galatolo c’è. Pensavo che aveva avuto questo compito, ma Antonino Madonia se ne viene con me”).

Alla luce di quanto sopra evidenziato appare chiaro che, anche in relazione a taluni punti significativi della ricostruzione della fase preparatoria ed esecutiva della strage, la “formazione progressiva” degli elementi di prova forniti dal Brusca non tradisce affatto un tardivo e strumentale recepimento manipolatorio di dichiarazioni rese da altri correi, frattanto apprese, ma sottende, piuttosto, un fisiologico processo di memorizzazione tanto più plausibile quanto più, come nel caso del Brusca, il vissuto criminale sia intenso ed il correlativo patrimonio conoscitivo ricco di contenuti descrittivi.
Tanto più, poi, eventuali lacune mnemoniche devono ritenersi fisiologicamente assorbibili in quel margine di incertezza ricostruttiva che discende dal tempo frattanto trascorso e dalla enorme ricchezza dei particolari di cui si compone il patrimonio conoscitivo del soggetto, quando, come nel caso di specie, il successivo ricordo di un elemento descrittivo sia del tutto spontaneo e non già il frutto della “suggestiva” contestazione di altre fonti di prova alle quali il collaboratore decida di allinearsi compiacentemente.
Non può non rilevarsi, inoltre, che il Brusca ha offerto ulteriori elementi probatori del tutto nuovi rispetto alle propalazioni degli altri collaboratori, in relazione alla specificità del ruolo svolto nella fase preparatoria ed esecutiva, fornendo una ricostruzione connotata da indubbi profili di originalità ed autonomia che, da una parte, hanno trovato riscontro in elementi idonei a suffragarne l’attendibilità, e, dall’altra, depongono per la provenienza delle sue dichiarazioni dal bagaglio proprio del dichiarante, con esclusione di qualsivoglia pedissequa ripetitività o “contaminatio”.
Sotto altro profilo, le pur innegabili discrasie con quanto riferito dagli altri chiamanti in correità, che saranno compiutamente analizzate più avanti, anche in relazione a fasi o segmenti della condotta criminosa connotati dal contestuale protagonismo dei dichiaranti, depongono per l’assenza di reciproche influenze e di successivo allineamento di elementi e dettagli in origine divergenti in ciascuna propalazione.
Il quadro ricostruttivo offerto dalle sue dichiarazioni ha consentito di far luce non solo sul movente e sui rapporti tra “cosa nostra” e centri di potere politico-economico, ma altresì di accertare la provenienza ed il tipo di esplosivo, le modalità della preparazione dell’auto-bomba, il furto delle targhe apposte alla FIAT 126, contribuendo, quindi, ad arricchire un quadro probatorio che senza il suo apporto sarebbe stato destinato a rimanere inevitabilmente lacunoso.
Non può inoltre tacersi che la collaborazione del Brusca si è rivelata estremamente significativa – in relazione al prestigio goduto ed alla centralità del ruolo operativo rivestito, avuto riguardo al rilievo della sua famiglia di sangue ed alla particolare vicinanza al Riina – per la ricostruzione dei meccanismi operativi della “commissione” e per l’identificazione dei suoi componenti.
La sua lunga militanza nell’organizzazione, connotata da quella particolare posizione sopra ricordata che ne ha favorito una cognizione e valutazione delle dinamiche interne da un osservatorio privilegiato, ha inoltre consentito al suo patrimonio informativo di acquisire una enorme mole di conoscenze anche in ordine alla c.d. guerra di mafia, sicchè il suo contributo probatorio si è rivelato particolarmente prezioso in relazione alla ricostruzione delle alleanze, delle contrapposizioni ed in genere degli equilibri interni fino all’assunzione della incontrastata e definitiva preminenza gerarchica da parte del Riina.
Brusca ha inoltre chiarito le ragioni non solo delle diverse modalità esecutive della strage rispetto all’originario progetto che prevedeva un attentato nella casa di villeggiatura in Salemi, ma anche della decisione di sospenderne temporaneamente l’esecuzione per privilegiare altre esigenze prioritarie connesse con le dinamiche interne a “cosa nostra” in quel momento storico, per poi riprenderlo con rinnovato impegno operativo prevedendo, per la prima volta, ben più eclatanti e devastanti modalità “perché si è voluto dare un’impronta forte”(cfr.f.132, ud.3/3/1999).
Non può peraltro essere sottaciuto che le propalazioni del Brusca, il cui protagonismo operativo ha connotato tutte le fasi del progetto criminoso, ha costantemente assunto i caratteri tipici della incondizionata chiamata in correità, senza atteggiamenti riduttivi nei confronti della propria responsabilità, né compiacenti nei confronti di altri correi ed in particolare del padre Bernardo.
Alla stregua delle considerazioni che precedono va rilevato che le pur innegabili reticenze ed omissioni, peraltro ammesse dallo stesso imputato, nella fase iniziale della sua collaborazione, sulla quale hanno pesantemente influito le vicende relative alla ripresa dell’attività criminosa nel suo territorio di origine da parte dei collaboratori di giustizia Di Matteo, la Barbera e Di Maggio, quest’ultimo considerato suo nemico personale e della sua famiglia, non autorizzano a screditarne l’attendibilità complessiva, disconoscendone il rilevante apporto probatorio, ma impongono una doverosa particolare cautela nella valutazione della sua attendibilità, in applicazione del principio della frazionabilità della stessa, valorizzando quelle parti del racconto propalatorio che risultino positivamente riscontrate e certamente immuni dal sospetto di inquinamento, di fraudolente concertazioni o tardivo allineamento alle dichiarazioni di altri correi. […].

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