La “famiglia” della Noce

Mafia: pentito, volevamo uccidere Falcone con bazooka

Anzelmo Francesco Paolo rivestiva il ruolo di vice rappresentante della “famiglia” della Noce, la quale, prima del 1983, faceva parte del mandamento di Porta Nuova il cui rappresentante era Calò Giuseppe.
Nel novembre del 1982, conclusasi con la vittoria della fazione corleonese la fase più acuta della c.d. seconda guerra di mafia,  all’interno di Cosa Nostra si era proceduto alla ricostituzione delle “famiglie”, con nuovi assetti nelle cariche di vertice, con particolare riferimento a quelle famiglie i cui capi erano stati in precedenza schierati con la c.d. mafia perdente.
Ganci Raffaele, da sempre legato da solidi rapporti di amicizia a Riina Salvatore, di cui ha sempre costituito uno dei più fedeli alleati, era stato eletto rappresentante con votazione unanime degli “uomini d’onore” della “famiglia” della Noce, mentre l’Anzelmo era stato nominato suo vice.
Nel gennaio del 1983 la fedeltà del Ganci era stata premiata con l’attribuzione allo stesso della carica di capomandamento, essendo stata la “famiglia” della Noce scorporata dal mandamento di Porta Nuova.
La stretta vicinanza dello Anzelmo ad uno degli uomini d’onore che maggiormente aveva contribuito all’attuazione ed affermazione della strategia criminale perseguita dal Riina ne aveva ben presto comportato il coinvolgimento in alcuni dei più efferati delitti che avevano rappresentato l’esempio più evidente della strategia di attacco alle istituzione, fra i quali gli omicidi del Capitano dei Carabinieri D’Aleo e del Commissario Cassarà, nonché la c.d. strage della Circonvallazione  di Palermo, in cui vennero uccisi il boss catanese Ferlito Alfio e gli uomini addetti alla sua traduzione dal carcere, e l’omicidio del Generale Dalla Chiesa, Prefetto di Palermo.
Oltre a riferire su fatti costituenti reato, con numerose chiamate in reità e correità, l’Anzelmo ha fornito un notevole contributo informativo in ordine alla consistenza del proprio patrimonio mobiliare ed immobiliare, con particolare riferimento ai beni di provenienza illecita, intestati a prestanomi, non solo di sua pertinenza ma anche appartenenti ai componenti della famiglia Ganci (Calogero. Mimmo, Raffaele e Stefano Ganci), consentendo l’adozione di provvedimenti di sequestro.
Ha inoltre riferito notizie probatoriamente rilevanti sul conto di imprenditori vicini a “cosa nostra” ed in genere su fatti di criminalità economica ed imprenditoriale.
Nel quadro di una complessiva valutazione della personalità dell’Anzelmo e di alcuni profili della sua attendibilità intrinseca non può peraltro essere sottaciuto che al momento della decisione di collaborare il predetto rivestiva la posizione processuale di imputato nell’ambito del
c.d. processo “Agrigento” in cui era stato colpito da provvedimento restrittivo per associazione mafiosa ed una “scomparsa”(c.d. lupara bianca), ma la sua collaborazione era stata decisiva perché lo stesso Balduccio Di Maggio, per le particolari modalità di quel sequestro di persona non avrebbe potuto chiamarlo in correità anche per l’evento letale, sicchè il quadro probatorio era tale da consentirgli apprezzabili margini di difesa.
[…] Ha inoltre precisato che nell’ambito del processo “Agrigento”- definito nei suoi confronti con sentenza di condanna frattanto divenuta irrevocabile perché da lui non appellata – prima di rendere l’esame dibattimentale non aveva avuto modo di conferire con il proprio difensore e che dall’inizio della collaborazione fino al momento della revoca della misura cautelare era trascorso più di un anno, nel corso del quale(dal 12 luglio ’96 al 14 agosto del 1997) era rimasto “chiuso in una stanza da solo”, priva di finestre, senza poter vedere “nemmeno il cielo” e senza alcun contatto umano tranne che con gli agenti di  custodia perchè era ospitato in una struttura destinata esclusivamente a lui.
Quanto poi agli altri gravi episodi delittuosi confessati, ed in particolare ai fatti omicidiari (cap. D’Aleo, dr. Cassarà, strage della circonvallazione) l’Anzelmo non era stato chiamato in causa da altri collaboratori.
Ha inoltre dichiarato che mentre era a conoscenza della collaborazione del Ganci, per esserne stato informato preventivamente dallo stesso, nulla era in grado di riferire in ordine ai tempi della collaborazione del Ferrante né in particolare se avesse iniziato a collaborare prima di lui.
La scelta collaborativa dell’Anzelmo, maturata, come sopra ricordato, poco dopo quella del Ganci, è stata contraddistinta da un rilevante contributo probatorio fornito proprio in ordine ai delitti sopra citati.
Sebbene non possa disconoscersi che la decisione del cugino dovette esercitare una indubbia influenza sulla scelta dell’Anzelmo, ciò non ne incrina affatto l’autonomia del patrimonio conoscitivo e la rilevanza del contributo probatorio fornito nel presente processo.
Ed invero, mentre da una parte la sua collaborazione appare contraddistinta da una innegabile disponibilità incondizionata a confessare i crimini più efferati senza atteggiamenti riduttivi in ordine alla propria responsabilità, dall’altra, il breve incontro con il Ganci, sopra ricordato, prima dell’inizio della loro collaborazione, non può certamente averne compromesso l’autonomia, attesa l’ampiezza della collaborazione su un rilevante numero di fatti criminosi ed in particolare la circostanza che l’Anzelmo nulla ha riferito in ordine alla preparazione delle stragi del 1992: ciò che depone univocamente per l’assenza di pedissequa ripetitività rispetto al racconto di altri collaboratori.
Anche il quadro ricostruttivo della fase esecutiva della strage offerto dall’Anzelmo appare qualificato, ad avviso della corte, da indubbi connotati di originalità e specificità che depongono per la provenienza delle informazioni fornite da un patrimonio di conoscenze proprio del collaboratore, non essendo ravvisabile, anche alla luce della ricostruzione fornita dagli altri coimputati, un mero recepimento manipolatorio del racconto degli altri protagonisti della stessa fase.
La mancata partecipazione dell’Anzelmo alle fasi organizzativa ed esecutiva delle stragi di Capaci e di via D’Amelio non appare in contrasto né con l’importanza del suo ruolo all’interno del mandamento della Noce né con la sua vicinanza a Ganci Raffaele, ove si consideri che il grave effetto disarticolante prodotto all’interno della rigida e monolitica struttura dell’organizzazione dal fenomeno della “collaborazione” indusse i vertici della stessa ed in particolare il Riina ad introdurre la regola di una sempre più ferrea “compartimentazione” dei ruoli di ciascuno dei partecipanti a un disegno criminoso.
Anzelmo ha dichiarato di essere stato “combinato” nel marzo-aprile del 1980 nella famiglia della Noce in una proprietà di Salvatore Scaglione, che all’epoca era il rappresentante, insieme ad altri sette: Mimmo Ganci, Pippo Spina, Franco Spina, Totò Severino, Enzo (Mistreri) e Aurelio Sciarabba.
A quell’epoca la famiglia della Noce era aggregata al mandamento di Porta Nuova, con a capo Pippo Calò che era anche il rappresentante dell’omonima famiglia.
L’Anzelmo apparteneva ad un famiglia di sangue mafiosa in quanto i fratelli del padre, Rosario e Vincenzo, erano tutti uomini d’onore e vi erano anche rapporti di parentela con la famiglia Ganci in quanto lo zio Anzelmo Rosario (capodecina), fratello del padre, Giuseppe, aveva sposato Spina Caterina, sorella di Spina Giuseppina, moglie di Ganci Raffaele.
[…] Dopo avere illustrato i periodi di detenzione ha riferito di avere ucciso nel 1984, per ordine di Ganci Raffaele, lo zio, Anzelmo Salvatore, fratello del padre, perché aveva iniziato a collaborare, reato per il quale venne tratto in arresto il 7 marzo del 1989 in esecuzione di un mandato di cattura del 1986 dopo un lungo periodo di latitanza.
L’omicidio era stato consumato a casa della vittima dove erano presenti alcuni familiari, uno dei quali dapprima aveva fornito elementi a suo carico che aveva poi ritrattato.
Dopo diciotto mesi di custodia cautelare, infatti, venne prosciolto per non aver commesso il fatto e scarcerato il 7 settembre del 1990; rientrato a Palermo venne arrestato per l’ultima volta il 10 giugno del 1993 insieme a Ganci Raffaele e Ganci Calogero nell’ambito della “Operazione Corleone”, il cui processo venne poi chiamato “Agrigento” dal nome del capolista.
Nel 1995, durante la detenzione, a seguito della riapertura delle indagini per l’omicidio dello zio, venne raggiunto da un nuovo provvedimento restrittivo.
Richiesto di chiarire i motivi della scelta collaborativa, l’Anzelmo ha dichiarato quanto segue:
P.M. – Lei quando ha iniziato a collaborare? ANZELMO – Io a luglio ’96.
P.M. – Ci sono stati dei motivi particolari che l’hanno indotta a collaborare?
ANZELMO – Sì, ci sono stati, diciamo, dei motivi particolari, perchè… ho maturato questa decisione, principalmente diciamo per… perchè io venivo da questa famiglia mafiosa e quindi da piccolo avevo vissuto quest’aria, cioè non è che potevo diventare ingegnere. E questo dovevo diventare perchè… fin da bambini i miei zii, anche mio padre, per dire, che non era uomo d’onore però diciamo c’era questa avversità con le Forze dell’Ordine, e quindi diciamo che ho vissuto diciamo in questo clima ed era una cosa naturale che io sarei finito per come sono finito.
E quindi diciamo che poi cominciai a pensare, diciamo, dopo, quando mi hanno arrestato, cominciai a pensare a mio figlio Pippo, che porta il nome di mio padre, e… io a mio figlio lo avevo fatto crescere mentre che c’ero io in libertà, diciamo, in una gabbia dorata, fuori di tutto, senza… invece ora, venendo a mancare io, pensavo che mio figlio sarebbe stato avvicinato dai parenti e magari diciamo portato, diciamo, in una via diversa di quella che io ci stavo insegnando, visto che avevo fatto questa esperienza, che c’ero entrato io in questa storia. E poi diciamo perchè non… in poche parole, non mi ci riconoscevo più in questa situazione,  ma la cosa principale è stata questa del mio bambino che non volevo che…
Quando sono stato arrestato io nel ’93 mio figlio aveva 11 anni, quando nel ’96 già ne aveva quasi 15. Quindi diciamo che l’età era quella già da cominciare a tenerlo d’occhio e quindi io, se c’ero io fuori, sicuramente magari potevo fare qualche cosa ma essendo in carcere io che potevo fare? E quindi questa situazione non mi faceva dormire la notte, avevo gli incubi; poi – le ripeto – non mi ci riconoscevo più.
Poi ho visto pure al processo “Agrigento” la videoconferenza di Santino Di Matteo che si scagliava contro Giovanni Brusca per il discorso di suo figlio e quindi diciamo… ho detto, và…
P.M. : – Perchè lei non si riconosceva più in “Cosa Nostra”?
ANZELMO : – Perchè… non… non mi ci riconoscevo più perchè vedevo diciamo che non c’era più… più nessuna cosa, và, anche questo… questo fatto del figlio di Santino Di Matteo, del bambino; cioè io, io per dire, quando mio zio collaborò e si decise.…… che doveva morire mio zio Salvatore, io se volevo mi potevo pure rifiutare, per dire, và, “Zù Raffaele, mandiamoci a un altro” e invece io no, ci sono andato io propria perchè sapevo che a casa di mio zio c’erano i bambini e se ci andava un altro non è che sapevo quello che faceva; io, invece, a rischio di andarmi a prendere l’ergastolo, ci sono salito io in casa di mio zio, davanti a mia zia, davanti ai miei cugini e ai miei cuginetti e ci ho sparato io a suo padre proprio per… per evitare diciamo di… di toccare i bambini; i bambini che colpa avevano? Che c’entravano i bambini?
Non è che a me Ganci Raffaele mi impose che ci dovevo andare io.
P.M. : – Senta, la sua collaborazione è precedente o successiva a  quella di Calogero Ganci?
ANZELMO : – No, successiva, anche perchè io con Calogero Ganci, proprio in virtù dei discorsi che noi avevamo in carcere, perchè mentre che eravamo detenuti, eravamo messi pure nella stessa cella, per certi periodi diciamo, qua, nel processo “Agrigento”, per i discorsi che avevamo avuto e lui lo vedeva che io ero stanco, lui mi mandò a chiamare per dire: “Vedi che io sto collaborando”, però io in quel momento, preso alla sprovvista, ci dissi: “No, lasciami stare a me”, anche perchè prima dovevo avere pure la certezza se mia moglie e i miei figli mi seguivano, sennò se io… mia moglie e i miei figli non… non mi seguivano, io non… non li mettevo diciamo in difficoltà a mia moglie e i miei figli.”
[…]
Ma in realtà il lento processo interiore di revisione critica di precedenti scelte di vita, con particolare riferimento ai fatti omicidiari, aveva già cominciato a manifestare i primi segnali di disagio durante un periodo di detenzione nel 1989.
Ed infatti, dopo avere riferito che l’ultimo omicidio commesso per conto di “cosa nostra” risaliva al 1987- duplice omicidio Caccamo – Gallarate – l’Anzelmo ha dichiarato quanto segue :
ANZELMO : – No, poi a me, diciamo, nel… il 7 marzo dell’89 mi hanno arrestato, perchè io, come ho detto, ero latitante e io sono stato detenuto per diciotto mesi, perchè sono stato scarcerato il 7 settembre del 1990, e mentre che ero detenuto avevo detto in me e me che non dovevo uccidere più nessuno; basta, ero… non dovevo uccidere più. Infatti poi, quando io sono stato scarcerato, nel ’91, Ganci Raffaele mi mandò un appuntamento da… dal cugino di Totò Cancemi, qua, da Carmelino Cancemi, che c’ha un deposito di… che lui fa lavori di sbancamento qua, vicino al “Baby Luna”, una mattina presto, e là, diciamo, io trovai a Ganci Raffaele, a Totò Cancemi, Ciccio La Marca, Giovanni Brusca, Santino Madonia, Giuseppe Graviano, Pietro Salerno e qualche altro, e dovevamo andare a commettere un omicidio ai danni di un alcamese, che in quel periodo c’era questa situazione di Alcamo, che si doveva andare a visitare, perchè forse era rimasto ferito in un precedente attentato; si doveva andare a visitare al civico e ci dovevo sparare io e Ciccio La Marca, e gli altri, diciamo, servivano come copertura. Fortunatamente quel giorno non arrivò questo e quindi si rinviò l’appuntamento per… fra quindici giorni. Io, forte di quella promessa che avevo fatto e sapendo che fra quindici giorni mi sarei dovuto presentare là, sono partito, me ne sono andato a Merano, nel Veneto, e mi sono andato a ricoverare che c’ho una lussazione nella spalla, dove per un… perchè avevo fatto questa promessa che non dovevo uccidere più a nessuno. E quindi, diciamo, non… in quell’appuntamento poi io ero ricoverato, non so pure nemmeno come finì.
P.M. : – Ma com’era maturata questa sua intenzione durante il periodo di detenzione di non partecipare più ad omicidi?
ANZELMO : – E perchè non avevo… non ne volevo… cercavo il modo possibile di… di tirarmi fuori, anche se non è che era facile tirarsi fuori, però ne avevo fatti tanti, tanti ne avevo fatto, tantissimi.
P.M.: – Lei questa sua, diciamo, decisione o questa sua volontà la comunicò in qualche modo a qualcuno?
ANZELMO : – No, assolutamente, assolutamente.
P.M. : – Ma a lei è stato chiesto di attivarsi in qualche modo per le stragi del ’92? Mi riferisco alla strage in danno del dottor Falcone e a quella in danno del dottor Borsellino.
ANZELMO : – No, no, io non… non c’entro niente, e meno male.
P.M. : – Ma lei in quel periodo era a conoscenza di eventuali attività di altri appartenenti alla famiglia della Noce o era stato tenuto, diciamo, al di fuori da questa situazione?
ANZELMO : – No, io diciamo che poi, dal ’90 in poi, quando sono stato scarcerato, mi sono occupato più che altro degli… degli affari della famiglia, che curavo gli interessi con i costruttori dove noi eravamo interessati, e quindi diciamo che per questa situazione Ganci Raffaele non mi chiamò, anche se per la strage di Capaci lui sapeva che io avevo un lavoro… stavo facendo un albergo a Terrasini e lui mi disse di… di non prendere l’autostrada.
[…]
Sui tempi della collaborazione rispetto a quella del cugino Ganci Calogero e del Ferrante, che lo precedettero sia pur di poco tempo, e sulla eventuale conoscenza dello loro dichiarazioni, l’Anzelmo ha dichiarato:
ANZELMO : – “No, ma io non lo sapevo che collaborava Ferrante Giovan Battista. Non lo so quando quando cominciò a collaborare Ferrante Giovan Battista”.
Ha decisamente escluso di avere avuto la possibilità di conoscere, anche sulla base di resoconti giornalistici, il contenuto delle dichiarazioni rese dai predetti sui fatti più gravi :
ANZELMO: – No, ma forse non mi sono spiegato. Io di Giovanni Ferrante, l’ho saputo dopo che collaboravo io che lui collaborava. Io non è che sapevo che lui collaborava, Giovanni Ferrante.
Anche, anche perchè non so quando cominciò lui a collaborare Ferrante. Io, io ho collaborato a luglio, lui non lo so quando iniziò a collaborare”.
Quanto al Ganci ed alla conoscenza delle sue dichiarazioni sulla strage per cui è processo, ha precisato :
ANZELMO: – No, come facevo…? Cioè, non è che avevo ricevuto niente io. Non avevo… non è che avevo io… che avevo ricevuto mandato di cattura, io niente avevo ricevuto”.
Sul ruolo rivestito in seno al mandamento il collaboratore ha dichiarato di essere stato nominato sottocapo della famiglia della Noce nel dicembre 1982, precisando che nel 1987, dopo l’arresto di Ganci Raffaele, aveva retto il mandamento per circa un anno insieme a Ganci Domenico, senza tuttavia assumere formalmente alcuna carica.
Ha spiegato che quella di sottocapo non è una carica elettiva, perchè venivano eletti solo il rappresentante e il consigliere, mentre il sottocapo era scelto dal rappresentante quale persona di sua massima fiducia.
Nel caso di specie, poiché la famiglia Ganci esprimeva già il capomandamento, Ganci Raffaele per una precisa regola interna non poteva nominare uno dei suoi figli e, pertanto, aveva nominato l’Anzelmo che aveva sempre trattato quasi come un figlio.
Appare opportuno, a questo punto, al fine di introdurre il tema della fase esecutiva e del ruolo svolto dall’imputato in esame, accennare brevemente, anticipando quanto sarà più diffusamente esposto nella parte dedicata alla fase deliberativa, alle modalità delle riunioni del massimo organo deliberativo di cosa nostra, la commissione provinciale.

fonte https://mafie.blogautore.repubblica.it/