L’ordine partito dalla macelleria dei Ganci

18L’Anzelmo ha dichiarato che dette riunioni venivano tenute in vari luoghi, ed in particolare “ a Dammusi, a San Giuseppe Jato, a borgo Molara da Raffaele Ganci, a San Lorenzo”.
Ha aggiunto che nei primi periodi le riunioni si facevano in forma plenaria; a seguito delle dichiarazioni di Buscetta e dei mandati di cattura che seguirono si era evitato, per ragioni di sicurezza, di concentrare troppe persone in uno stesso luogo e si era preferito procedere a gruppi in giorni diversi con modalità tali che comunque era assicurato il pieno coinvolgimento di tutti i componenti.
Nel periodo della strage che ci occupa, vale a dire nel 1983, (“quando ci fu il fatto del dottore Chinnici”) le riunioni avvenivano in forma plenaria.

Alla domanda se avesse avuto modo di constatare personalmente la partecipazione di tutti i capimandamento alle riunioni, l’Anzelmo ha fornito la seguente risposta:
ANZELMO : – Ma per quelle che io mi ricordo sì.
P.M. : – Lei come mai ha potuto constatarlo?
ANZELMO : – E perchè diciamo che quando c’erano queste riunioni, per dire, si svolgeva la riunione, che le voglio dire, a borgo Molara da Ganci Raffaele, e noi eravamo là e lo andavamo a prendere e lo portavamo, per dire, nella sede, diciamo, qua a borgo… a borgo Molara, per dire; e a noi ci potevano dare l’incarico, per dire, di andare a prendere a Pippo Calò per portarlo a borgo Molara, Pippo Calò e ce lo portavamo. Quindi è per questo. Poi ci eravamo presenti anche là a livello che ‘u zì Raffaele, per dire, poi ci diceva a noi: “Fate ‘u cafè”, oppure restavano a mangiare là e quindi accendevamo il fuoco e si arrostiva. Questa era la situazione, perchè noi non è che avevamo nessun titolo per entrare là dentro e partecipare alla riunione.
P.M.: – Le è mai capitato di conoscere qual era stato l’argomento oggetto della riunione?
ANZELMO : – No, io poi le cose le apprendevo da Ganci Raffaele. Sì, specialmente trattandosi di queste cose poi c’era Ganci Raffaele, per dire, che me lo diceva. A livello, per dire, quando ci fu la situazione del dottore Cassarà mi disse: “Noi ci dobbiamo interessare del dottor Cassarà; gli altri ciacuddari si interessano di ‘u dutturi Montana”, cioè perchè qua fu una cosa quasi in contemporanea. Altrettanto poi fu per il dottore Chinnici: lui mi disse quello che dovevamo fare e quello che non dovevamo fare.
P.M. – Ecco, ricorda, se riesce a ricordarlo ovviamente, che cosa le disse con riferimento a Chinnici il Ganci Raffaele?
ANZELMO : – Niente, il Ganci Raffaele fu in macelleria, io mi ricordo, questo discorso che lui ce lo portò.
P.M. : – No, lei parla della fase esecutiva?
ANZELMO : – No, io parlo della fase, diciamo, di quando fu messo al corrente che doveva essere ucciso il Consigliere Istruttore Chinnici.
P.M. : – Sì, su questo ora ci torneremo, perchè dobbiamo poi affrontare la fase esecutiva organicamente. Le chiedevo: lei è a conoscenza di una riunione nel corso della quale si deliberò di uccidere il dottore Chinnici?
ANZELMO : – No, io se ci… quando fu questa riunione non la so, dottoressa.
P.M.:- Quando e ad opera di chi lei per la prima volta sente parlare del progetto di uccidere il dottor Chinnici?
ANZELMO : – Io la prima volta ne sento parlare da Ganci Raffaele, un quindici – venti giorni prima, mentre eravamo in macelleria qui, in via Lancia di Brolo, che a quell’epoca la gestiva Calogero Ganci e Stefano Ganci, perchè Mimmo Ganci stava nell’altra macelleria di via Lo  Iacono, lui ci mette a conoscenza di questo progetto e ci dice che il nostro compito è solo quello di prendere il posteggio e di rubare una macchina di piccola cilindrata: o una Cinquecento o una 126. E quindi, diciamo, io qua vengo a conoscenza di questa situazione.
P.M. : – Volevo innanzitutto capire se questa macelleria di via Lancia di Brolo veniva utilizzata normalmente per questo tipo di incontri e per questo tipo di discorsi da voi componenti della famiglia.
ANZELMO : – Sì, sì, a voglia. Sì, era punto di incontro; a voglia.
P.M.: – Mi dica una cosa: lei riesce a ricordare con precisione i presenti a quella conversazione?
ANZELMO: – Io, Ganci Raffaele sicuro, Calogero e Stefano. Mimmo no, Mimmo no, Mimmo… non lo ricordo a Mimmo.
P.M. : – La presenza di Calogero Ganci e di Stefano Ganci la ricorda con certezza?
ANZELMO: – Sì, diciamo che è sì, anche perchè poi questa situazione l’abbiamo svolta insieme.
P.M. : – In questa circostanza vi viene già specificato… le viene già specificato a che cosa doveva servire quell’attività di procurare il posteggio e chi doveva essere vittima dell’attentato?
ANZELMO : – Sì, a me, le ripeto, io in questa circostanza venni messo a conoscenza del progetto di uccidere il dottore Chinnici e le ripeto che il nostro compito era quello di prendere il posteggio e di posteggiare la macchina. Invece poi anche all’epilogo io sono stato presente poi.
P.M. : – Raffaele Ganci in quella circostanza vi disse quando dovevate rubare la macchina?
ANZELMO : – No, lui in un primo momento ci disse che i nostri compiti erano questi, ma la cosa principale che dovevamo fare era quella di riuscire a prendere il posteggio, la prima cosa che si doveva fare.
P.M. : – E per quanto riguarda il furto?
ANZELMO : – Di cominciare, diciamo, a vedere di potere trovare una macchina, cioè di tenerla sott’occhio una macchina per vedere il momento in cui si sarebbe dovuta prendere, così si poteva prendere. Già noi avevamo sott’occhio la macchina, questo era il discorso. Ma la cosa principale in quel momento era quella di riuscire a prendere il posteggio sotto l’abitazione del dottore Chinnici.”

In ordine a quest’ultima attività l’Anzelmo ha riferito che l’incarico era stato assunto proprio da lui e dal Ganci Raffaele, precisando che nei primi giorni era stato impossibile occupare il posto per la costante presenza di macchine posteggiate e per l’impossibilità, per ragioni di prudenza, di “stare là tutto il giorno .. così, a girare a zonzo, … con il rischio di essere notati”.
Dopo avere precisato, a specifica domanda, di essersi recato per la prima volta sotto l’abitazione del magistrato accompagnato dal Ganci, che evidentemente conosceva il posto, l’Anzelmo ha continuato la sua narrazione riferendo che dopo un paio di giorni di vani tentativi avevano notato, proprio davanti l’ingresso dello stabile del dr. Chinnici, la presenza di un camioncino semiscoperto di una ditta di trasporti, sul quale figurava scritto un numero di telefono ed un indirizzo corrispondente ad una via, forse sita all’angolo con la via Pipitone Federico.
A quel punto, “alzando l’ingegno”, avevano pensato di telefonare a quel numero ed alla interlocutrice che aveva risposto lo stesso Anzelmo si era qualificato come potenziale cliente, richiedendo l’invio del furgone per trasportare una lavatrice che assumeva di avere comprato presso la ditta Migliore, sita nei pressi del cinema ”Jolly” e della stazione Notarbartolo.
Avendo la ditta aderito alla richiesta, non appena il furgone lasciò il posto fu possibile al Ganci piazzarvi un’autovettura “proprio davanti l’androne….di dove scendeva il Consigliere Istruttore Chinnici”. (cfr.f.92).

In relazione alle dimensioni dello spazio da occupare, l’Anzelmo ha precisato che il Ganci aveva dato delle precise indicazioni nel senso che doveva trattarsi di un posteggio in grado di contenere un’autovettura a quattro sportelli; invitato a chiarire come ciò si conciliasse con l’indicazione di rubare un’autovettura di piccola cilindrata del tipo Fiat 500 o 126, l’Anzelmo ha fornito la seguente risposta:
ANZELMO : – Certo, il motivo era che noi, prendendo il posteggio con la macchina quattro sportelli, eravamo sicuri così che la macchina… posteggiando poi la macchina, o la Cinquecento o la 126, ma in questo caso poi fu la 126, perchè noi rubammo poi una 126, eravamo sicuri che il cofano davanti andasse a finire propria dove… dove doveva passare il Consigliere Istruttore Chinnici; cioè, la buttavamo più indietro possibile in modo che il cofano rimaneva là. Avevamo lo spazio, cioè, in poche parole, per poterla posteggiare per come doveva andare posteggiata. Non so se mi sono spiegato.”
Il collaboratore non è stato in grado di ricordare quale fosse il tipo di autovettura che aveva occupato per prima quello spazio lasciato dal furgone; ha comunque precisato che tutte le autovetture utilizzate a quel fine erano “pulite”, cioè non di provenienza furtiva, a quattro sportelli e per evitare di destare sospetti e far sì che fossero sempre diverse, se necessario, ne chiedevano in prestito qualcuna.
Avevano avuto, inoltre, l’accortezza di spostare e sostituire ogni giorno le autovetture senza orari prestabiliti, adempimento che veniva curato di volta in volta da due persone – una per spostare l’auto dal posteggio e l’altra per occupare subito il posto – esclusivamente appartenenti alla famiglia della Noce ed in particolare da lui stesso, da Raffaele, Calogero e Stefano Ganci e, forse, qualche altro.( “solo noi della Noce, non ci ha messo mano nessuno”).
Questa attività si era protratta per circa “sei, sette, otto giorni”, fino a quando Ganci Raffaele non disse loro che si poteva rubare la macchina di piccola cilindrata.
A specifica domanda ha dichiarato che nel periodo in cui unitamente ai fratelli Stefano e Calogero Ganci si erano attivati per la “conservazione del posteggio”, tutti e tre erano ben consapevoli delle finalità dell’operazione e dell’obiettivo da colpire. (cfr.ff.27-28,ud. 9/3/1999).
In ordine al ruolo svolto in questa fase da Mimmo Ganci, l’Anzelmo ha ribadito di essere sicuro che il predetto non fosse presente nel momento in cui Ganci Raffaele nella macelleria di via lancia di Brolo aveva dato le disposizioni sopra ricordate né in occasione delle sostituzioni delle autovetture.
[…] Ha inoltre precisato che l’ordine di rubare l’autovettura era stato dato “fra i due e i quattro giorni prima dell’attentato” e Ganci Raffaele ne aveva parlato proprio con lui. (“Ne parlò con me e io ci sono andato con Stefano a rubare la macchina. La… la rubò lui la macchina”).
Non ha escluso che fossero presenti Calogero e Stefano; era certo comunque della propria presenza e del fatto che poi lui stesso era andato a rubare l’auto con Stefano Ganci, collocando il furto fra i due e i quattro giorni prima dell’attentato (“l’abbiamo rubata quasi all’ultimo la macchina”).

Alla specifica domanda in ordine all’intervallo di tempo intercorso tra l’ordine e la materiale esecuzione del furto, l’imputato ha ribadito quanto segue:
ANZELMO : – Ma noi quando Ganci Raffaele ci dà l’incarico noi ci mettiamo subito, diciamo, alla ricerca di potere prendere questa macchina e quando, diciamo… ora le ripeto, non posso essere preciso se fu due giorni prima o tre giorni prima, o quattro giorni prima. Noi ci mettiamo in condizione e gli rubiamo questa macchina. La troviamo posteggiata là con le chiavi inserite nel cruscotto e ce le portiamo. Però le ripeto, non posso essere più preciso, non mi ricordo, diciamo, se sono due – tre giorni, quattro giorni prima di rubare… di… dell’attentato.”

L’imputato ha anche chiarito le ragioni per le quali Stefano Ganci aveva ritenuto che fosse opportuno asportare proprio quell’autovettura da lui notata, precisando che la stessa si presentava “sempre con le chiavi inserite nel cruscotto e questa era la cosa che ( “a noi”) interessava”.
[…] Il collaboratore ha aggiunto che il furto era stato commesso “fra le (ore) undici e le dodici” e che l’autovettura era posteggiata in doppia fila con le chiavi appese, precisando altresì che quel giorno la stessa era stata utilizzata per fare scuola guida in una traversa di via Leonardo Da Vinci, la via Galileo Galilei, circostanza da loro notata in quanto avevano dovuta seguirla per poi approfittare del momento in cui, rientrata, era stata lasciata incustodita, in doppia fila e con le chiavi inserite.
A seguito di sollecitazione del ricordo (verb.23/7/1996) confermava che il colore dell’autovettura rubata era verde.
L’imputato ha così riferito la fase successiva:
“Stefano è sceso dalla macchina, quella pulita, si è messo alla guida; io mi sono messo davanti, poi l’ho passato, e siamo andati dove c’è il cinema “Jolly”, in questa via, via Di Maria. C’era… c’è pure una traversa che non spuntava all’epoca, ora non lo so se spunta, comunque era… credo che non spunta, perchè c’era la ferrovia, e abbiamo lasciato la macchina qua. Siamo andati da Pino Di Napoli, che aveva l’officina di elettrauto in una traversa di via Terrasanta; l’ho fatto venire e c’ho fatto levare, diciamo, le tabelle della scuola guida. L’abbiamo chiusa e ce ne siamo riandati in macelleria. Ce l’ho detto a Ganci Raffaele, mi sono incontrato con Ganci Raffaele, che avevamo preso la macchina; siamo andati a riprenderla questa macchina e ce la siamo andati a lasciare ad Enzo Galatolo, dicendoci: “Questa è per il dottore”. Il dottore è Nino Madonia”.
[…] Dopo avere ribadito che fino alla via Generale Di Maria la Fiat 126 era stata condotta da Stefano Ganci, ha precisato che anche lui successivamente aveva avuto l’opportunità di guidarla quando l’aveva portata dal Galatolo.
L’Anzelmo ed il Ganci Stefano erano quindi rientrati nella macelleria di via Lancia di Brolo ed avevano atteso l’arrivo di Ganci Raffaele – con il quale erano soliti incontrasi in quell’esercizio commerciale – informandolo che avevano rubato l’autovettura e che il Di Napoli aveva tolto le insegne.
L’Anzelmo ed il Ganci Raffaele si erano quindi recati nel posto in cui la 126 era stata lasciata ed ivi giunti, come precedentemente concordato, il primo si era messo alla guida dell’utilitaria ed aveva seguito il Ganci che gli batteva la strada con altra autovettura fino a casa del Galatolo presso il quale avevano lasciato l’autovettura dicendogli “questa è per il dottore”; ciò era avvenuto nel primo pomeriggio.
Ha precisato di non avere fatto caso se la 126 fosse munita di doppi comandi.

Il collaboratore ha fornito, inoltre, specifiche indicazioni topografiche in ordine all’abitazione del Galatolo, […].
Precisava di essersi più volte recato in quel posto, utilizzato come “punto di riferimento” dopo l’esecuzione di omicidi fra i quali ricordava quello in pregiudizio del Prefetto Dalla Chiesa.
Per quanto riguarda le fasi successive, l’Anzelmo ha riferito di ricordare benissimo che Ganci Raffaele, il 28 luglio, disse a lui ed al figlio Calogero che quella stessa notte, intorno alle ore due-tre, dovevano recarsi là dove avevano lasciato l’autovettura, e cioè presso i Galatolo, dove avrebbero trovato “u dutturi” e Giovanni Brusca.
Ha precisato di ricordare bene la circostanza perché proprio  per  quella sera con il Ganci Calogero avevano già programmato di assistere alla manifestazione canora “Cantamare” che avrebbe dovuto tenersi a Mondello, sicchè inizialmente avevano ritenuto di doverla disertare.
Ma quando fu loro precisato l’orario dell’appuntamento convennero sul fatto che avrebbero potuto parteciparvi lo stesso.
Al termine della manifestazione, intorno alle ore 23,30-24,00 si erano recati in via Mariano Accardi, dove abitava Calogero Ganci da sposato, e le rispettive mogli avevano pensato di dormire insieme per non rimanere da sole.
L’Anzelmo ed il Ganci Calogero si erano quindi recati in un locale sito in località Monte Pellegrino, denominato “Brasil”, dove avevano incontrato Pippo Spina e Franco Spina, trattenendovisi per bere qualcosa fino alle ore 2,00–3,00, per poi raggiungere a bordo di una sola autovettura quella “casetta” nella disponibilità di Enzo Galatolo.
Qui avevano trovato, oltre al Galatolo, anche Giovanni Brusca e Nino Madonia.
Non è stato in grado di precisare con esattezza l’orario in cui giunsero al fondo Pipitone, ribadiva tuttavia che l’appuntamento era stato fissato intorno a quell’ora.
L’incontro era avvenuto “all’interno di questa casetta” e “non nel fabbricato dove abitavano loro, ma di fronte al fabbricato” in un piccolo caseggiato al pianoterra, con due stanze.
Come disposto dal Ganci Raffaele avevano avuto cura di portare con loro la chiave dell’autovettura che era rimasta posteggiata in Via Pipitone Federico.
Appena entrato, in una sorta di saletta da pranzo, aveva notato un telecomando su “una tavola” del tipo di quelle che vengono usate in carpenteria “con un grosso chiodo piantato al centro e poi c’era un altro chiodo con un congegno”
[…] Quanto al funzionamento ha riferito che : “Forse… forse delle levette aveva, mi sembra. Però io non è che… le ripeto, non è che l’ho vista tanto. L’ho vista in questa situazione, poi ho visto che Giovanni Brusca uscì; fece questa situazione e io vidi che quando lui uscì questo chiodo girava e andava a toccare questo chiodo piantato al centro, che era un chiodo bello grosso quello del centro, mentre l’altro chiodo, diciamo, quello che girava era quello proprio per piantare le tavole di carpentieri, mentre l’altro, diciamo, era un chiodo quello più grosso”.
La larghezza della tavola si aggirava intorno ai dodici-quindici centimetri e lo spessore di due – tre centimetri; il congegno, ad avviso dell’Anzelmo, era di tipo artigianale.
Ha inoltre riferito che quando Giovanni Brusca entrò Nino Madonia lo rassicurò dicendo “Tutto a posto”.
Continuando nella sua narrazione dei fatti, il collaboratore ha dichiarato che dopo la prova tecnica sopradescritta, trascorsa un’ora o un’ora e mezza, lui, Calogero Ganci ed Enzo Galatolo erano rimasti in quel posto, mentre Nino Madonia e Giovanni Brusca si erano allontanati, assentandosi comunque per circa un’ora.
Intorno alle “sei, sei e un quarto, sei e venti” del mattino, Giovanni Brusca ed Enzo Galatolo si erano spostati per andare a prendere la Fiat 126 che era custodita in un garage, nella disponibilità di quest’ultimo, ubicato all’ingresso della via Ammiraglio Rizzo, “dal lato, diciamo, Fiera”(del Mediterraneo).
[…]  Continuando nella ricostruzione dei fatti, l’Anzelmo ha riferito quanto segue :
“Niente, alle palme io vedo a Giovanni Brusca sulla 126; solo a Giovanni Brusca, perchè Enzo Galatolo se ne va e ci va ad aspettare di nuovo in quel posto dove eravamo… da dove eravamo partiti, ed io, Ganci Calogero e Nino Madonia siamo in una macchina che ci battiamo la strada a Giovanni Brusca per andare in via Pipitone Federico.”
Escludeva di avere visto in quel posto (“alle palme”) anche il Ganci Raffaele, che invece aveva incontrato successivamente nei pressi della Chiesa di S. Michele.(f.94,ud.9/3/1999). Il collaboratore non è stato in grado di precisare a che ora ciò si fosse verificato ma ha aggiunto che quella fase si era svolta “di mattina” perchè avevano “il problema del portiere”, nel senso che avrebbero dovuto completare l’operazione di collocazione della 126 prima delle ore sette e cioè prima che il portiere dello stabile aprisse la portineria e iniziasse a fare le pulizie, precisando, sul punto, di non sapere se qualcuno si fosse preoccupato nei giorni precedenti di accertare con precisione l’orario di apertura, ma che, tuttavia, ciò costituiva un dato di comune esperienza.
L’Anzelmo non ha saputo precisare con quale autovettura lui stesso, Calogero Ganci e Nino Madonia avessero battuto la strada a Giovanni Brusca, escludendo tuttavia che si trattasse di quella con la quale nel corso della notte lui ed il Ganci avevano raggiunto il “fondo Pipitone”.
Richiesto di precisare il percorso seguito per raggiungere la via Pipitone Federico, ha dichiarato:
“Mah… quindi, noi siamo dove ci sono le palme, in via Ammiraglio Rizzo; saliamo per andare verso via Libertà, attraversiamo via Libertà e ci immettiamo in una traversa che poi, diciamo, andiamo ad incrociare via Pipitone Federico e qua ci fermiamo. Io mi ricordo questo particolare, che noi qua ci fermiamo propria dove c’era questa traversa di via Pipitone Federico, perchè io mi sono preoccupato, e credo che forse pure Calogero Ganci si è preoccupato, perchè Giovanni Brusca propria si accostò con il davanti propria, con il davanti della 126 di dietro la macchina dove eravamo noi. Io dissi: “Giusto giusto qua si deve venire a fermare? Non si può fermare cinque metri – sei metri… sei metri prima?”
P.M. – A che distanza eravate dalla via Pipitone Federico suppergiù?
ANZELMO : – Niente, noi siamo… siamo proprio all’incrocio di via Pipitone Federico noi ci fermiamo; venendo da questa strada, diciamo, che abbiamo preso dalla via Libertà poi. Perchè via Pipitone Federico è così e noi veniamo di qua, quindi c’è questo… questo incrocio. Quindi ci fermiamo qua; non mi ricordo se scendo io o se scende Calogero. Spostiamo la macchina, Giovanni Brusca già si mette in direzione di andare a posteggiare, ma credo che Calogero, diciamo, fu che spostò la macchina. Sì, sì, credo che Calogero fu che spostò la macchina.
[…] P.M. : – Cioè, siccome noi non la vediamo, le volevo chiedere: la posteggia in maniera diciamo regolare, parallela al marciapiede?
ANZELMO : – Parallela al marciapiede la posteggia. Bè, non mi veniva la parola. Propria la posteggia parallela al marciapiede. Sta un pò là dentro, perde un paio di minuti là dentro, non mi ricordo quanto; scende, perchè ce l’ho qua, propria qua, davanti gli occhi ce l’ho. C’è questa signora affacciata, lui scende, chiude la macchina piano piano, la chiude a chiave, .. si ci appoggia con il fondoschiena e l’asciuga, diciamo, tipo per levarci le impronte da… le impronte dalle maniglie.
P.M. : – Lei dice: perde un pò di tempo. Ma perde un pò di tempo così, per perdere tempo o per fare qualcosa?
ANZELMO : – No, deve perdere del tempo perchè deve collegare, dottore Di Matteo, non è che lui partì che c’era tutte cose… Quindi, ha dovuto collegare dei fili che io non so, perchè non… non ne capisco niente di questa situazione. Ha dovuto collegare dei fili per mettere, diciamo, tutto a posto, diciamo, in modo che poi con il telecomando si ci dava l’impulso.
P.M. : – Quanto tempo impiegò Brusca dopo avere posteggiatola
macchina, prima di scendere dalla macchina?…Per chiuderla.
ANZELMO : – Ma che le voglio dire, cinque, sette, otto minuti, cioè non è che impiegò… poco impiegò, non è che impiegò tanto. E mi ricordo che lui scese, accostò lo sportello propria piano, poi lo spinse con… con la mano che…
P.M.:- Adesso le volevo chiedere questo: ma in questo frangente, mentre Brusca posteggia e collega quello che doveva collegare, dove vi trovavate lei, Calogero Ganci e Antonino Madonia?
ANZELMO : – Io e Nino Madonia eravamo, diciamo, dov’è che ci eravamo fermati, qua, all’incrocio di via Pipitone Federico. Calogero Ganci prese la macchina; ora non mi ricordo se… se ritornò a marcia indietro verso questa strada o uscì in via Giacomo Leopardi e fece il giro, non me lo ricordo in questo momento.
P.M. : – E lei rimase con Nino Madonia?
ANZELMO – Sì, poi quando venne Calogero Ganci sono sceso e mi sono messo con Calogero Ganci e Giovanni Brusca con… con Nino Madonia.
P.M. : – Cosa succede dopo? Allora, lei dice: “Giovanni Brusca va con Nino Madonia – mi pare che lei ha detto – e io con Calogero Ganci”. Che cosa succede?
ANZELMO : – Niente, andiamo, dice… andiamo di nuovo da Enzo Galatolo. Rimaniamo che con Nino Madonia ci vediamo prima delle otto presso la chiesa di San Michele. Io… Giovanni Brusca se ne va, non lo vedo più io a Giovanni Brusca. E quindi io e Calogero Ganci ce ne andiamo; ci riprendiamo pure la macchina con cui ci eravamo andati, perchè a questo punto non ne avevamo più una, ne avevamo due, perchè avevamo preso la macchina pure che era posteggiata davanti all’abitazione del dottore Chinnici. Ce ne andiamo e poi, prima delle otto, ci siamo visti verso la chiesa di San Michele, e qua vedo pure a Pippo Gambino, Ganci Raffaele e Giovanni Ferrante con un camion, e Nino Madonia, ovviamente.”

A specifica domanda il collaboratore ha dichiarato che nel momento in cui la 126 fu posteggiata davanti l’ingresso dello stabile la portineria era ancora chiusa e che quell’operazione era stata compiuta prima delle ore 7,00 con un certo margine di anticipo anche perché il Brusca non doveva limitarsi a posteggiare l’autovettura ed andar via, ma doveva “perdere del tempo dentro la macchina, anche se erano minuti, cinque, sei, sette, otto..”, e non poteva escludersi che il portiere, se presente, avrebbe potuto notare quei movimenti sospetti compiuti dal Brusca “abbassandosi nel sedile”.
[…]
Ha riferito che prima di quella mattina non era a conoscenza dell’identità del soggetto incaricato di azionare il telecomando.
Quanto agli spostamenti successivi all’esplosione, il collaboratore ha riferito di essersi recato insieme al Calogero Ganci nella macelleria di via Lancia di Brolo.
Ricollegandosi a quanto in precedenza appena accennato in ordine alla presenza del Madonia nell’androne dello stabile del magistrato, il collaboratore, a specifica domanda del P.M., riferiva che il coimputato era stato notato da un vecchio compagno di scuola, circostanza da lui appresa prima della strage in occasione di commenti fatti con Ganci Raffaele e Pippo Gambino in ordine a quella “imprudenza” del Madonia; non escludeva di avere commentato l’episodio anche con Calogero Ganci e Domenico Ganci con i quali si dicevano tutto ( “ci dicevamo tutto, non avevamo problemi di niente, và, non è che ci tenevamo le cose di nascosto”).
Poiché l’Anzelmo non era stato in grado di fornire più precise indicazioni di ordine temporale, il P.M. ne sollecitava il ricordo con la contestazione di precedenti dichiarazioni rese sul punto, tratte dal verbale in data 4/12/1996, […].
A specifica domanda il collaboratore ha precisato che nel momento in cui vide salire il Madonia a bordo del camion questi teneva in mano un telecomando, avvolto nel giornale.

Con riferimento al momento in cui giunsero le autovetture di servizio, l’Anzelmo, dopo aver ribadito che già si trovava sui gradini della Chiesa in un favorevole punto di osservazione, ha dichiarato quanto segue:
“Ma io mi ricordo che i Carabinieri subito sono scesi dalla macchina, me lo ricordo questo. Ora non mi ricordo chi c’era di davanti, in questo momento non ricordo chi c’era, se c’era la macchina civile davanti o i Carabinieri. Non mi ricordo. Credo che i Carabinieri c’erano davanti. E  la macchina, diciamo, si andò a posizionare propria là davanti l’ingresso, e quando scese il dottore Chinnici passò propria… perchè, le ripeto, che noi avevamo il posteggio per una macchina quattro sportelli, per poter buttare più indietro possibile la 126 e lasciarci lo spazio, diciamo, così il dottore Chinnici sarebbe passato propria davanti al cofano della 126. Diciamo che appena poi scese il dottore Chinnici poi successe il finimondo, propria ci fu un finimondo là.”

Ha inoltre dichiarato che quando gli era stato conferito l’incarico di prendere il posteggio e poi di rubare la macchina, non ricordava di avere chiesto o comunque commentato con Raffaele Ganci o con altri le ragioni per le quali si era scelto quel tipo di attentato, cui per la prima volta si era fatto ricorso, né chi lo avesse proposto, precisando inoltre di ignorare chi avesse procurato l’esplosivo.
Non escludeva, comunque, di averne parlato successivamente nell’ambito della famiglia della Noce e ricordava che una volta Ganci Raffaele aveva incaricato proprio lui ed il figlio Mimmo Ganci di recarsi in un posto dove avrebbero loro spiegato come confezionare un ordigno esplosivo, “perchè era venuto a mancare Giovanni Brusca che forse si trovava al soggiorno obbligato o era arrestato”- essendo stati frattanto emessi i mandati di cattura a seguito delle dichiarazioni di Tommaso Buscetta – e si commentava “che era rimasto solo Nino Madonia che sapeva fare queste… queste situazioni”.
Quell’incarico, che poi non aveva avuto seguito, secondo l’Anzelmo doveva essere collocato in epoca successiva alla strage per cui è processo perchè sicuramente era passato del tempo e frattanto Brusca era stato arrestato o inviato al soggiorno obbligato.

Il collaboratore ha precisato che in quell’occasione non gli fu detto quale fosse il progetto criminoso essendosi il Ganci Raffaele limitato a dire che lui e Mimmo dovevano “andare in un posto che ci dovevano spiegare come si doveva fare per mettere in atto una situazione tipo quella del dottore Chinnici”.
Con riferimento alla dimestichezza del Brusca con gli esplosivi ha chiarito che personalmente non gli constava che il predetto fosse un esperto del settore e che quella era stata la prima volta in cui aveva avuto modo di constatarne una certa competenza.

Quanto al movente dell’omicidio del consigliere Chinnici, l’Anzelmo ha dichiarato che era stato ucciso “per la sua inavvicinabilità, perché non era acchiappabile” ed ha precisato che in relazione agli omicidi “eccellenti” ai quali aveva partecipato non sempre era stato messo al corrente preventivamente delle motivazioni. Talvolta però Ganci Raffaele lo aveva informato, come nel caso dell’omicidio del commissario Cassarà, la cui uccisione era stata determinata dal fatto che il funzionario aveva detto che “Pino Greco e Mario Prestifilippo non li doveva prendere vivi ma li doveva ammazzare”.
È appena il caso di rilevare come l’attendibilità intrinseca dell’Anzelmo, in relazione alla chiamata in correità nei confronti del Ganci Domenico, non possa essere incrinata da taluni dissapori registratisi in certi periodi in seno al mandamento, in ordine ai quali il collaboratore ha fornito serene ed obiettive valutazioni suscettibili di favorevole apprezzamento.
[…]
Il quadro probatorio acquisito sul punto, pertanto, consente di affermare che lo schieramento che per un certo periodo di tempo aveva cominciato ad incrinare i rapporti all’interno della famiglia Ganci (Domenico e Stefano Ganci e Galliano da una parte, Raffaele e  Calogero Ganci e Francesco Paolo Anzelmo, dall’altra) era all’epoca dell’inizio della collaborazione già venuto meno.
La spaccatura era stata generata da dissapori sorti tra Ganci Domenico ed il padre all’epoca in cui quest’ultimo era agli arresti domiciliari ed intendeva tornare in possesso del suo ruolo decisionale e di supremazia all’interno del mandamento della Noce, ruolo delegato precedentemente al figlio Domenico.
Ma tale dissidio, sanato completamente già all’epoca delle stragi del ’92, non può essere addotto a sostegno della tesi di una eventuale vendetta da parte dell’Anzelmo nei confronti di esponenti della famiglia che il collaboratore, tra l’altro, nell’ultimo periodo di latitanza (1993) aveva ospitato in immobili nella propria disponibilità.
Nel presente processo il collaboratore non solo ha fornito rilevanti indicazioni probatorie sull’esecuzione dell’attentato, avendovi preso parte da protagonista, ma il suo patrimonio conoscitivo si è rivelato prezioso anche in ordine alle fondamentali regole organizzative di Cosa Nostra ed alla composizione dei suoi organi di vertice, trattandosi di fonte che, per il suo ruolo e per la specifica attività criminale svolta nel settore dei c.d. omicidi eccellenti, può certamente considerarsi qualificata ed aggiornata sino all’epoca del suo arresto avvenuto nel giugno 1993.
In relazione alle persone coinvolte nell’attività di sostituzione delle autovetture posteggiate davanti l’abitazione del consigliere istruttore la difesa di Ganci Stefano, in sede di controesame, dopo aver chiesto conferma all’Anzelmo della sua partecipazione unitamente a Calogero, Stefano e Raffaele Ganci a questi spostamenti, ottenendo risposta affermativa ( “Questi quattro sicuro, sì, sì. Non sono sicuro di altri, però io, Calogero, Stefano e Raffaele li abbiamo fatti questi spostamenti delle macchine pulite”), chiedeva di contestare il verbale del 23.07.1996 ( pag. 6) dal quale risultava che in quella sede il collaboratore non era stato in grado di ricordare chi avesse fatto quegli spostamenti( “Io non è che mi ricordo bene chi fece tutti questi spostamenti”); il pubblico ministero integrava la contestazione dando integrale lettura dell’intero brano di quel verbale dal quale emergeva la seguente ben più completa risposta: ”L’abbiamo curata noi questa situazionè'”. “Sì, sì, noi della Noce, noi della Noce”. “E quando lei parla di ”noi della Nocè’ ricorda in particolare se ci fossero i figli di Raffaele Ganci, ad esempio?” “Ma guardi, quelli che diciamo che eravamo, diciamo, proprio i più stretti eravamo proprio io, Mimmo, Calogero, Stefano”.
Anche dal verbale in data 4 dicembre 1996 (f.5), quindi ancor prima dell’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare, risultava la seguente risposta:
“Ora è in grado di dirci chi, in particolare, partecipò a questa attività?” “Guardi, per quelli che io mi ricordo, io sono sicuro Calogero Ganci e Stefano Ganci. Franco Spina e Pippo Spina penso pure sicuro. Mimmo Ganci non ce l’ho presente, perchè solo noi siamo stati, cioè noi nel senso di parentela, perchè noi, la nostra famiglia era composta di numerosi uomini d’onore, però di questa situazione ce ne siamo occupati solo ed esclusivamente noi, nel senso, diciamo, di parentela”.
Ed ancora, sempre nello stesso contesto di quel verbale, (pag. 9), l’Anzelmo aveva dichiarato:
“Intanto la situazione si sapeva nell’ambito della famiglia? Era noto che era in programma un attentato al dottore Chinnici?”,  Francesco Paolo Anzelmo: “Guardi, quello che io posso dire, quello che era sicuro che lo sapevamo ero io, Mimmo, Calogero e Stefano. Questi lo sapevamo per certo che l’obiettivo era il dottore Chinnici. Questi quattro nominativi io glieli do per certo che lo sapevamo, però mio compare, che sarebbe Franco Spina e Pippo Spina, io non mi ricordo se gliene ho parlato, però loro in questa situazione sono intervenuti solo ed esclusivamente in questa fase, posteggiare e spostare le macchine  pulite”.
In esito alle citate emergenze processuali il P.M. chiedeva che la contestazione non venisse ammessa e la difesa ne revocava la richiesta.(cfr.ff.50-56).

A specifica domanda precisava che lo spostamento delle autovetture veniva effettuato “minimo una volta al giorno” e non escludeva che ciò avvenisse più volte per non destare sospetti (f.57); non era in grado di ricordare quante volte egli vi avesse preso parte, forse tre o quattro volte. Ha inoltre chiarito che le modalità di sostituzione delle autovetture non erano disciplinate in modo predeterminato, neppure in relazione all’identità dei    soggetti che avrebbero dovuto di volta in volta parteciparvi, purchè comunque vi si provvedesse almeno una volta al giorno.
Anche le fasce orarie non erano predeterminate – per esempio in relazione alla presenza o meno del portiere dello stabile – perchè trattandosi di autovetture “pulite” l’operazione veniva svolta “con una certa tranquillità ed alla luce del sole”.
Nulla è stato in grado riferire in ordine ad eventuali informazioni assunte dall’organizzazione sul conto del portiere dello stabile, con specifico riferimento alla di lui personalità, né se fosse stato sollevato il problema dell’eventuale coinvolgimento dello stesso nell’esplosione.
Su alcune circostanze oggetto di specifiche domande l’Anzelmo ha fornito ulteriori chiarimenti dichiarando quanto segue.
Nella zona teatro della strage quella mattina non aveva notato la presenza di Galatolo Vincenzo né di una Lancia Beta Coupè, precisando di non sapere se qualche uomo d’onore disponesse di un tale tipo di autovettura.
Quando giunse in via Pipitone Federico a bordo di un’autovettura condotta dal Madonia il Ganci, che si trovava insieme a loro, scese e provvide a spostare l’autovettura posteggiata davanti l’abitazione del magistrato per far posto a Brusca alla guida della 126.
Precisava di non ricordare con certezza se il Ganci, spostando la macchina, avesse fatto marcia indietro dirigendosi verso di lui che era rimasto nell’autovettura con il Madonia ovvero se avesse fatto il “giro dell’isolato uscendo dalla Via Leopardi”.
Ribadiva, comunque, di essere poi salito sull’autovettura condotta dal Ganci, mentre il Brusca aveva preso posto a bordo di quella alla cui guida era rimasto il Madonia, dirigendosi tutti e quattro al fondo Pipitone.
Quanto alla presenza del Madonia sul camion, precisava di averlo visto all’interno della cabina “in questi paraggi, tra la via Pipitone Federico e piazza S.Michele” ed in quello stesso posto aveva visto per la prima volta il Ferrante al volante del camion, […].
Nel corso dell’esame condotto dal presidente veniva mostrata al collaboratore una cartina planimetrica della città di Palermo sulla quale l’Anzelmo segnava con una matita il punto in cui era stato posteggiato il camion, localizzato nell’isolato compreso tra la Via Pirandello e la Via Tasso (cfr.f.43,ud.10/3), indicando altresì nella Via Prati la traversa in cui era ubicato l’ufficio di quella ditta di trasporti alla quale aveva telefonato per indurre il conducente a spostare il proprio automezzo.
Un ulteriore chiarimento veniva fornito dall’Anzelmo in ordine all’epoca in cui andava collocata la “leggerezza” che sarebbe stata commessa dal Madonia facendosi notare nell’androne del palazzo in cui abitava il consigliere istruttore, precisando sul punto che l’episodio si era certamente verificato prima della strage mentre non era in grado di ricordare se prima o dopo che gli venisse conferito l’incarico di partecipare alla preparazione ed esecuzione dell’attentato.(cfr.ff.49-50, ud.10/3).
Era certo comunque, in base al tenore dei commenti che aveva sentito fare a Gambino Giuseppe e Ganci Raffaele, che si era trattato certamente di un “sopralluogo” connesso con una attività preparatoria, pur dichiarando di sconoscere se fosse correlato ad eventuali diverse modalità di esecuzione dell’attentato.